A distanza di tre anni, la bomba d’acqua torna a colpire nel genovese
Sono ormai cinque giorni di fatica e sofferenze quelli che caratterizzano Genova, in ginocchio per la violenta terribile alluvione. Lo stato di Allerta 2, cessato nella mezzanotte di lunedì, è soltanto temporaneo: il capo della protezione civile infatti, prevede nuove ondate di piena nei giorni seguenti, e conseguente instabilità diffusa sul territorio. Nel frattempo scuole, parchi, mercati e impianti sportivi restano chiusi.
Inutile rimarcare l’enormità dei danni: la stima è di circa 300 pubblici, più altri 100 alle imprese.
Lo scenario che si riversa sulle strade è di paura e disperazione, ma mostra anche grande lavoro di squadra per i cittadini, per la gente che non si vuole arrendere. Stivali ai piedi e pale in mano, noncuranti della pioggia incessante che può spazzare via la tua casa da un momento all’altro, dell’odore soffocante di pattume e fogna. Sulle strade non solo carabinieri e protezione civile, ma anche moltissimi giovani volontari, gli “angeli” che, tramite i “potenti mezzi” della rete – whatsapp e Facebook- si organizzano per spalare il fango dalle strade e riportare speranza alle generazioni più anziane.
È la stessa storia dal 1994, lo stesso incubo del 2011, il grido di chi si vede portare via tutto, sommerso da melma, cemento e pioggia, aspettando inutilmente una risposta, che è sempre la stessa: mancano i fondi.
Contrario a questa paralisi burocratica è anche il Cardinal Bagnasco, che dopo il sopralluogo nel genovese ha lanciato un chiaro messaggio di intervento alle amministrazioni statali e locali: “basta parole, vogliamo i fatti”. Anche il Sindaco Doria viene attaccato direttamente dai genovesi: “prenda la pala e pulisca”.
L’impressione generale è quindi quella di un paese che osserva ma non agisce o, peggio, lo fa ma con troppa lentezza; dove il cittadino è abbandonato a se stesso, dove l’allarme viene lanciato troppo tardi, dove il “barile di colpe” è scaricato continuamente da un potere all’altro.