Tempi interessanti, dunque. Di un mondo post moderno, post ideologico e post cristiano che, forse per la prima volta nella lunga- ma neanche troppo- storia dell’umanità, vuole fare a meno della politica e della religione; nella convinzione che la tecnica non ha certo bisogno di Dio e che il progresso rappresenti un processo irreversibile, inarrestabile ed assolutamente virtuoso: “avremo la possibilità di acquistare computers sempre più sofisticati ad un prezzo sempre più basso”. Del mondo della post verità, delle fake news, della libertà sessuale e della laica inquisizione sulle molestie sessuali, della guerra dei sessi, delle battaglie per l’assestamento del medio oriente e della rottura del contratto sociale, almeno in Europa. Di un mondo dove la Turchia di Erdogan rimprovera il Presidente degli Stati Uniti di avventatezza, e ha pure ragione. Dove un approccio relativista, che dovrebbe essere adottato come extrema ratio, è diventato l’unico modo in cui sembriamo capaci di interpretare la società, i valori a cui essa deve ispirarsi e di dare risposte- a volte giuste- alle domande che ci poniamo, che sempre più spesso sono quelle sbagliate. L’uomo è per natura buono o cattivo? Napoleone fu sovrano di popoli e signore di nazioni? Oppure un tiranno con cui la storia è stata già fin troppo tenera? Delle due cose l’una? O un po’ l’una e un po’ l’altro? Un certo assassino è colpevole o innocente? Dio esiste oppure no? Quelle di questo tipo sono le sole domande in rapporto alle quali possiamo ammettere di non avere una risposta certa, per assumere una posizione di tolleranza nei confronti di quanti la pensano diversamente da noi e per cogliere tutte quelle sfumature che, a volte, caratterizzano situazioni complesse; la terra è tonda? O piatta come un vassoio d’argento? In realtà la terra è ovale, come un uovo. Accade, però, che si fondino religioni che hanno l’ambizione di dominare il mondo e che si condanni qualcuno alla pena capitale, cosa che accade praticamente ovunque nel mondo. E’, invece, in rapporto a questioni che meriterebbero una predisposizione più radicale, o forse semplicemente un po’ più di coraggio, che oggi si adotta un approccio relativistico, quando si relativizzano i valori, che sono oggettivi, nel nome di libertà assurde o solo apparenti- dal libero amore al libero mercato-. O quando la società evita di ammettere che tutti devono essere assolutamente e totalmente uguali, che questa è l’unica cosa giusta,al di là di ogni dubbio, e che, di conseguenza, questo obiettivo dovrebbe essere perseguito da tutti e ad ogni costo. E’ giusto che tutti abbiano pari dignità? Lo dice la Costituzione. Il buon senso dice che in una società ispirata alla logica del profitto personale e della sopraffazione non c’è dignità. Se il sistema capitalistico è entrato in crisi praticamente in tutto il mondo, dove è impegnato a combattere contro i lestrigoni delle sue profonde contraddizioni interne e dove non sembra nemmeno più tanto apprezzato dall’opinione pubblica , il socialismo sembra l’unica via democratica ad un modello di governo alternativo. Chissà che, in questo senso, il PSE non sia un contenitore politico interessante e chissà che l’Italia, che all’interno del PSE ha la maggioranza con il partito democratico e che meglio delle altri nazioni europee resiste -almeno per ora- all’ondata delle destre e del nuovo liberismo leaderistico di matrice macroniana, possa essere il trascinatore di una trasformazione della gestione economica dello Stato. D’altronde, proprio in Italia, sembrano esserci le condizioni, alcune più serie di altre, per il passaggio coraggioso ad un’economia di Stato. E’ celebre il caso- letterario- del Giulio Cesare di Shakespeare, dove il dittatore democratico- e italiano- lascia tutti i suoi averi al popolo di Roma. Meno celebre, perché sembra il tentativo di un dittatore sanguinario di rientrare incredibilmente nella scena politica nazionale continuandone a influenzare gli scenari, è il caso- reale- di un Mussolini che, ormai sconfitto, durante le trattative con il CLN, propone che sia lui a disporre a favore del popolo quei poteri che non esercitava già da tempo. Non dimentichiamo che in Italia il partito socialista ha governato, per due anni, dal 91 al 93,e con tanto di ministero per le partecipazioni statali; con Craxi e con la democrazia cristiana, certo, e fino a Tangentopoli, senza la quale lo stesso Craxi sarebbe potuto diventare, secondo alcuni, uno dei Presidenti del Consiglio più virtuosi ed amati di sempre. Tanto che una parte della DC, forse per timore, gli avrebbe preferito qualche esponente del partito comunista, con il quale si era cercato di formare un Governo già dal 1976. Passando dalle cose belle alle cose serie, dal piano delle speculazioni e delle suggestioni a quello delle proposte concrete- anche se vagamente provocatorie- e delle reali possibilità, bisogna chiedersi se, in Italia, ci siano le condizioni giuridiche per il passaggio da un’economia di mercato ad una di stampo socialista. La Costituzione del 1948, in effetti, sancisce la libertà di iniziati economica all’articolo 41, in una sedesmateriae diversa da quella nella quale sono elencati i diritti fondamentali del cittadino e, cosa più importante, la funzionalizza al perseguimento dell’interesse generale, quasi a volerci lasciare un messaggio per un futuro, allora soltanto ipotetico, in un l’esperimento capitalista fosse fallito. Se è dubbio che il diritto alla libera iniziativa economica possa essere “funzionalizzato” fino ad essere totalmente limitato , è certo che ci si potrebbe limitare ad abolire proprio l’articolo 41 della Costituzione, per realizzare un socialismo moderno e democratico, che possa convivere con la forma repubblicana e con la proprietà privata. “Abolire l’articolo 41 della Costituzione”. Una proposta politica? O una provocazione che è seria solo in parte, tanto per evitare di continuare a dirci sempre le medesime cose, per allargare gli orizzonti a nuovi panorami, anche improbabili?. Il risultato sarebbe quello di un socialismo a costituzione invariata, o quasi. Tale per cui potrebbe dirsi che ogni uomo nasce libero e socialista. Sempre che il popolo, inteso come l’insieme dei soggetti politici presenti un un dato territorio in un determinato periodo, non voglia ammettere che, arrivati a questo punto della storia, niente più può essere cambiato -neanche le cose sbagliate- , rinunciando a quel ruolo di creatore della storia universale che “egli” è chiamato a svolgere come una funzione.