Tempi più rapidi per le procedure, ma meno garanzie processuali per i richiedenti asilo Pochi giorni fa, il ministro della Giustizia Orlando ha anticipato la proposta governativa di riforma della legge sul diritto d’asilo in Italia, in attuazione dell’accordo dei Paesi dell’area Schengen del 21 giugno scorso. Questo prevede più obblighi per i migranti beneficiari di accoglienza e lascia meno spazio di manovra agli Stati membri, sostituendo la direttiva per le procedure (strumento che lascia molta discrezionalità agli Stati) con un regolamento, attraverso il quale l’Ue fisserà non solo gli obiettivi, ma anche il modo per raggiungerli. Bruxelles, inoltre, è pronta a dare ad ogni singolo Stato 10 mila euro a profugo accolto. Per di più, l’Unione intende fissare a sei mesi il tempo massimo entro cui decidere se concedere o meno i permessi per rimanere sul suolo comunitario, con un’unica possibile proroga di tre mesi. In linea di principio, chi non ha diritto di ricevere protezione deve essere rimpatriato il prima possibile, mentre chi ne ha bisogno deve avere protezione garantita finché è necessario. La riforma italiana del diritto d’asilo è concepita come legge delega, attualmente sottoposta al vaglio del Dipartimento degli affari giuridici e amministrativi della Presidenza del Consiglio dei ministri. Il nocciolo duro di questa riforma sta nell’annullamento del grado di appello per coloro che hanno ricevuto il diniego di asilo in primo grado di giudizio. L’articolo 10 della Costituzione italiana tutela il diritto d’asilo per tutti coloro ai quali venga impedito nel Paese d’origine l’esercizio delle libertà democratiche. Il richiedente asilo deve presentare alla questura o alla polizia di frontiera la domanda di protezione internazionale, che deve essere esaminata dal Dipartimento libertà civili e immigrazione del Ministero dell’Interno. In particolare, le domande vengono analizzate da commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale. Le decisioni delle commissioni vengono prese a seguito di interviste individuali ai richiedenti asilo. Queste possono essere impugnate prima presso i tribunali ordinari, poi in appello e, infine, in Cassazione. Il governo, nell’avanzare la proposta, parte dal presupposto che nei primi cinque mesi del 2016 sono stati presentati circa 15.000 ricorsi da parte dei richiedenti asilo a cui la commissione territoriale competente aveva negato protezione. Per velocizzare le procedure, il governo ha elaborato alcuni punti chiave: creazione di tribunali di primo grado specializzati nell’analizzare i casi di richiesta d’asilo; niente udienza, in quanto il rito sommario di cognizione sarà sostituito dalla visione, da parte del giudice, della videoregistrazione del colloquio del richiedente asilo davanti alla commissione territoriale; la già ricordata soppressione dell’appello contro le decisioni di primo grado del tribunale. La proposta del governo è stata criticata, soprattutto nella parte che elimina l’appello, da molti giuristi che ritengono che essa non garantisce un diritto costituzionale, quale è il diritto d’asilo. Molto contestato è anche il ventilato annullamento dell’udienza, che ora si concretizza nella possibilità per il giudice di primo grado di ascoltare di persona il richiedente asilo. Il suo annullamento è in contrasto con il ruolo del giudice nell’accertare la violazione dei diritti soggettivi. Insomma, tra molti avvocati e giuristi c’è la sensazione che questa proposta di legge non faccia altro che creare un diritto speciale (in negativo) per gli stranieri, fatto che sarebbe non auspicabile in un Paese membro dell’Unione Europea. L’Associazione italiana studi giuridici (Asgi) ha elaborato proposte alternative a quella del governo, come, ad esempio, aumentare il numero dei tribunali in grado di valutare i ricorsi e introdurre altre vie legali per ottenere il permesso di soggiorno, quali il visto per lavoro o per studio. Un’altra proposta degna di interesse, ma non facilmente condivisibile, consiste nel sospendere l’assistenza dei richiedenti asilo che si trovano nei centri di accoglienza e in attesa dell’appello, al fine di ridurre i costi di permanenza.
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