Nella serata di ieri il Ddl Cirinnà ha superato il primo voto in Senato. La richiesta di non passare all’esame dei suoi articoli di legge, firmata da circa una settantina di senatori, tra cui Roberto Calderoli (Lega Nord) e Gaetano Quagliarello (Idea), è stata infatti respinta con la maggioranza dei voti validi e senza possibilità alcuna di ricorrere allo scrutinio segreto, possibilità che il Presidente di Palazzo Madama Pietro Grasso aveva già fermamente deciso di non concedere all’assemblea. Il Disegno di Legge non dovrà tornare quindi in Commissione Giustizia e verrà sottoposto, a partire da martedì prossimo, alle votazioni sugli emendamenti che lo riguardano. Ma i promotori della proposta di rinvio in commissione non sembrano proprio volerla mandar giù con dignità questa roba del voto segreto. Per non sbagliare, si attaccano alla burocrazia. Carlo Giovanardi (Idea) dichiara alla stampa di voler sollevare addirittura un conflitto di attribuzione in Corte Costituzionale: i cittadini devono sapere che la legge in commissione Giustizia non è stata discussa nemmeno per un minuto, violando l’articolo 72 della Costituzione che prevede che l’esame dei testi di legge avvenga prima lì, e poi in aula. In questo disperato cattolico grido d’aiuto, gli vanno dietro, fedeli come pecorelle, circa una cinquantina di senatori che firmano il relativo ricorso. Mentre Calderoli e Quagliarello definiscono quella del loro Presidente una scelta politica, scevra dalla dovuta imparzialità che si richiede al suo ruolo, insomma un po’ come se Grasso avesse già deciso da solo la posizione da prendere sul testo di legge. E non mancano di insorgere le opposizioni interne ai partiti stessi, i contrasti nelle alleanze, da sempre più vivi in Parlamento che nella stessa società civile. Saltano così gli accordi tra partiti ormai polari, come Pd, ForzaItalia e Lega, (persino la Dc teneva insieme aree ideologiche più coerenti), su ben cinquemila emendamenti proposti dal partito di Matteo Salvini. Il M5s, più preoccupato di fondare a suon di click la legittimità delle sue posizioni in aula che di affrontare vis-à-vis la portata socio-culturale di una simile proposta di legge (ma l’opinione degli elettori non veniva sopra ogni cosa?), si perde nelle contraddizioni dei suoi stessi rappresentanti poi, come da copione, interviene Grillo e lascia libertà di coscienza a tutti, libertà di votare come vogliono e come credono, però sempre come dice il blog, emendamento dopo emendamento, libertà in generale. Il Pd, che inizialmente era deciso a lasciare ai suoi la libertà di votazione secondo coscienza solo su tre emendamenti, tra cui quello proposto da Stefano Lepri, che modifica la discutissima stepchild adoption in una sorta di affido rafforzato, adesso sembra aperto a lasciare margini più elastici ai sindacato di voto interni. Ma queste unioni civili per il Pd sono diventate una cosa di sinistra, che si devono fare, che spaccano dall’interno, ma vanno fatte. Non importa come. In questo senso l’unione incivile tra partiti come Fi,Pd e Lega, sui circa 5000 emendamenti proposti da quest’ultima, da scambiare in larga parte con il ritiro di quello made in Pd (confezionato apposta per smontare la macchina ostruzionista di Matteo Salvini), è già in partenza un fallimento, che difatti conduce da ieri sera ad un nulla di fatto. Quegli emendamenti restano, e quello del Dem Marcucci finalizzato a farli crollare, pure. Per ora. Per ora è il caos e in ogni partito è molto sentita la dinamica del voto segreto, da poter scambiare con emendamenti e proposte di controproposte, giustificando un sì o un no alle unioni civili con incivili unioni tra conservatori e progressisti, ultra-cattolici e moderati. Nella società civile è invece unione incivile solo tra posizioni estremiste. E nell’incivile guerra ideologica, rigorosamente combattuta nei salotti tv, dove si esprimono tutti, ma proprio tutti, da psicologi a conduttori tv di ogni genere, appositamente ripescati da mamma Rai dall’oblio della dimenticanza, vince come al solito chi urla più forte. E in questo scontro tra titani è unione incivile pure tra le tematiche affrontate. Così il ddl cirinnà viene affiancato senza troppe remore, al dibattito sulla violenza di genere, all’incremento dei divorzi tra coppie etero (grazie, gli omosessuali non possono ancora sposarsi…) e, perchè no, pure a quella sulle adozioni a distanza o sull’omosessualità di preti e monache. Non importa se si fa notare che la violenza di genere, che è prima di tutto violenza in generale, potrebbe ben scatenarsi in apposite forme, anche in una coppia gay. Non importa se si fa notare che l’incremento dei divorzi, non significa che saranno eterne le unioni civili, benchè semplificate nella procedura di cessazione del vincolo (anzi forse proprio per questo). In altre parole, se due uomini o due donne si legano in unione civile, ciò non li relega automaticamente ad un’alea certa di amore eterno, nè li esime (purtroppo) dalla possibilità di ricevere episodi di stalking, violenza sessuale o psichica, i quali peraltro posso manifestarsi, come spesso accade, anche al di fuori di una coppia coniugata o diversamente convivente. Ma i nostri salotti televisivi si ergono comunque a banchi di prova del presunto sentore sociale dove le posizioni estremiste sono principalemente due. La famiglia naturale è quella tra uomo e donna, quella della chiesa, che poi dopo un po in chiesa smette di andarci, ma fa tanti bambini e tutti a casa felici e contenti. Cosa c’entrano con questo le unioni civili? Le coppie omosessuali chiedono infatti di poter accedere ad un istituto che sia giuridicamente formalizzato per avere riconosciuti dalla legge diritti e possibilità che attualmente, come mere coppie di fatto, non hanno. Non credo gli interessi molto invece, per lo meno non prioritariamente, essere considerati famiglia cristiana dalla massa indistinta dei timorati di Dio. Poi c’è quella del libero amore, famiglia come amore in generale, e nel mezzo varie sfumature di grigio, molte più di 50, sulla possibilità o meno per le coppie omosessuali di poter, un domani, adottare figli legalmente. Tutto appare chiaro tranne una sola cosa: gli argomenti effettivi del ddl Cirinnà. Unioni civili nel ddl Cirinnà, matrimonio per coppie gay. La proposta di legge, così come disegnata dal governo, parte dal presupposto che esista ormai l’innegabile necessità di dare un riconoscimento giuridico, effettivo e pregnante, ad una realtà oggi così diffusa, a prescindere dal sesso dei suoi protagonisti. L’istituto delle unioni civili viene così generalmente destinato ai cittadini che, non volendo optare per forme tradizionali di convivenza, quali il matrimonio legale o sacramentale, e preferendo invece forme di convivenza per così dire alternative, ma non giuridicamente regolamentate, si vedono attualmente negati diritti ed obblighi (i primi in modo decisamente più evidente) che attengono normalmente alla coppia sposata: il che è alla base della rigida alternativa attualmente esistente tra vincolo matrimoniale da un lato, e forme di convivenza diverse, di fatto non riconosciute, dall’altro. Il risultato è una discriminazione in fatto, dove la legge tende a riconoscere diritti ed obblighi a chi è legato da vincolo matrimoniale (contratto in comune o in chiesa, e possibile solo tra uomo e donna) e chi invece è legato da un vincolo di convivenza non riconosciuto dalla legge: tra questi ultimi rientrano sicuramente a pieno titolo anche le coppie gay. Il che è ben diverso dal dire che il ddl si indirizza alle sole coppie gay, per permettergli una forma alternativa di matrimonio. In primo luogo cominciamo col dire quindi che le forme di convivenza che l’unione civile aspira a regolamentare non sono solo quelle tra coppie gay, ma anche, per esempio quelle tra un uomo e una donna che semplicemente non vogliano ricorrere al vincolo matrimoniale, e ciò per varie ragioni. Solo che il punto nodale della normativa è di immediata comprensione logica: estendendo infatti i diritti e gli obblighi attualmente annessi al vincolo matrimoniale, anche all’istituto di nuovo conio delle unioni civili, ecco che la nostra coppia etero, presa a titolo di esempio, che non voglia ricorrere al matrimonio, nemmeno a quello in comune per intenderci, avrebbe ancor meno ragioni per ricorrere all’unione civile, posto che in ambedue gli istituti si ripropongono diritti ed obblighi, in misura sostanzialmente analoga (almeno nelle originarie intenzioni del ddl Cirinnà). Di qui la presa di posizione preponderante delle coppie gay sulla scena del dibattito sociale: l’unione civile sembra infatti perfetta, così come ideata, per poter finalmente estendere alle coppie omosessuali, diritti ed obblighi che altrimenti gli sarebbero preclusi, non potendoli essi acquisire tramite il matrimonio. Ma quali sono questi diritti ed obblighi che il ddl Cirinnà si propone volutamente di estendere alle convivenze non riconosciute, anche tra persone dello stesso sesso? Premesso che la procedura di accesso all’unione civile è molto simile al matrimonio così come contratto in comune (è infatti previsto che in ogni comune venga istituito, presso l’Ufficio dello stato civile, un registo delle unioni civili, dove il sindaco o un suo delegato iscrivono il relativo documento che contiene i dati delle parti contraenti, purchè maggiorenni, di qualsiasi sesso esse siano), i fondamentali diritti estesi sono quelli attinenti al vero e proprio accesso al nucleo familiare, alla vita ed alla cessazione dello stesso. Di conseguenza, e a titolo di esempio, un uomo o una donna stranieri, non residenti, che contraggano unione civile, con un uomo o una donna residenti, acquistano automaticamente la residenza in Italia; I figli delle parti dell’unione civile, nati in costanza dell’unione, hanno gli stessi diritti spettanti ai figli nati in costanza di matrimonio. I diritti patrimoniali e successori, oltre a quelli di risarcimento dei danni in caso di morte di una delle parti dell’unione civile, sono gli stessi di quelli spettanti al coniuge, esplicitamente richiamati con rinvio alle norme del codice civile. Lo stesso si dica per tutti quegli eventuali sgravi fiscali che fanno riferimento a particolari condizioni dello stato familiare, estesi all’unione civile, e così le eventuali preferenze previste dalla legge per l’accesso a particolari graduatorie pubbliche, per esempio per l’assegnazione di un alloggio popolare. La step child adoption. La norma che fa più discutere tuttavia è quella presente nell’art. 5 del disegno di legge Cirinnà, la così detta step child adoption, che prevede l’adozione del figlio dell’altra parte dell’unione. Premesso che anche in altri Paesi sia stata di fatto istituita la possibilità per le coppie gay di assumere i diritti che attengono alla coppia sposata, e quindi in fatto di “sposarsi”, è forse bene precisare che in alcuni di quegli stessi Paesi, come Grecia, Svezia ed Ungheria, alle coppie gay sposate non è comunque permesso adottare figli. Non solo, forse in pochissimi sanno che la legge sulle adozioni in Italia datata 1983, e della quale l’art.5 del ddl Cirinnà richiede opportuna modifica, ha già permesso effettivamente a molte coppie gay di adottare figli. Ecco perchè chi vede nella step child adoption il dilagare incontrollato degli uteri in affitto, pratica illegale nel nostro Paese, vede in realtà un falso problema. La nostra legge sulle adozioni del 1983 infatti, prevede per alcuni casi speciali, parametri meno rigidi per ottenere l’adozione, e che sostanzialmente si appoggiano sui legami affettivi del minore: in pratica esercitando apposito ricorso e successivamente a specifiche indagini del tribunale dei minori, quella stessa legge ha già permesso a persone gay, quindi non sposate nè ancora civilmente unite, di ottenere l’adozione in via speciale del figlio, naturale o adottivo, del partner. Questo può avvenire però solo in alcuni casi: se l’altro genitore naturale è morto o ha rinunciato alle sue prerogative e in caso di constatata impossibilità di affidamento preadottivo. Ed è stato proprio quast’ultimo caso speciale (la constata impossibilità di affidamento preadottivo) che ha permesso nel 2014 al Tribunale dei Minori di Roma, di riconoscere l’adozione di una bambina da parte della compagna della madre naturale, accogliendo il suo ricorso, in funzione dei preminenti interesse del minore. Nella sentenza, poi confermata in appello, i giudici constatano come non sia ostativo all’adozione il fatto che le due donne non sono sposate, proprio perchè in caso di impossibilità di affidamento preadottivo, tale condizione non è richiesta dalla legge, dove anzi, ove ciò rientri nell’interesse del minore, si legittima proprio questa tipologia di adozione. In buona sostanza dunque, ed a scanso d’equivoci, il ddl Cirinnà quando interviene sulla legge del 1983, non fa che rendere generale ciò che la legge già prevede solo in via specifica: una stepchild adoption più rapida e correttamente esplicitata. La vera paradossalità del ddl Cirinnà sta semmai nelle estreme posizioni che stanno accompagnando il dibattito, pure così complesso, in aula, così come nella società civile. Buttando in un unico pentolone cose che tra loro c’entrano poco o nulla, fatti già possibili in base alle nostre leggi, episodi incivili (come la violenza di genere) che nulla hanno a che fare con la portata, pure assolutamente innovativa, di questo istituto, significa stravolgerlo a parole ancor prima che sulla carta. Il tutto fino a giustificare spaccature di partito ed incivili alleanze sugli emendamenti ad una legge che, se ben compresa, potrebbe invece portare inusitati benefici a bambini senza una casa, nè un genitore, ed in generale a persone umane che in quanto tali avrebbero diritto di poter essere considerate dalla società “marito” o “moglie” di qualcuno, senza vedersi ingiustamente precluse possibilità, assistenziali e lavorative in primis, che ad altri sono invece concesse. Ma una coppia di persone dello stesso sesso, in funzione dell’unione civile come attualmente congenata, e non legate da alcun vincolo sentimentale, potrebbero adottare un bambino? E perché non cogliere l’occasione per riprendere in mano anche la normativa sulle case famiglia? Come si vede esistono ancora molte zone grige e punti di incontro (o scontro) con la propria personalissima sfera di valori… in generale forse, con la nostra capacità di accettare il cambiamento. Tu ad esempio…come la pensi? Take Our Poll Take Our Poll