Quando i selfie immortalano un incubo

erdogan

Il 14 Dicembre alle ore 9 locali (23 italiane) un uomo autoproclamatosi “sceicco Haron” ha fatto irruzione in un caffè di Martin Place, il quartiere degli affari di Sydney.

Poco dopo eccolo esporre sulle vetrine una bandiera nera che recita la professione di fede mussulmana (” non c’è altro Dio all’infuori di Allah e Maometto è il suo profeta” ).

Non è ancora chiaro ai media quanti precisamente siano gli ostaggi, la polizia locale si è limitata a riferire che “non arrivano a trenta”, ma alcuni ritengono che il numero sia pericolosamente più alto.

Durante la fase di negoziamento il sequestratore ha fatto due richieste: che gli sia portata una bandiera dell’Isis e che gli sia permesso di parlare con il primo ministro Tony Abbott.

Nessun accordo è stato ancora raggiunto.

Se è vero che conoscere il nemico è il primo passo per diustruggerlo o affrontarlo possiamo dire che siamo sulla buona strada. L’uomo si chiama Man Haron Monis, 49 anni, rifugiato israeliano, autopraclamatosi sceicco, guaritore ed esperto di magia, è tristemente noto alle autorità australiane per essere stato accusato di omicidio (della moglie) e di diverse violenze sessuali che lo hanno portato alla condanna a 300 ore di servizi sociali. Molto attivo sui social media, aggiornava quotidianamente un sito internet ora sospeso.

Ed è sui social media che le persone si sono rivelate ancora una volta più attive; non solo pubblicando e diffondendo articoli, video e notizie ma stavolta, bisogna ammetterlo, con uno spettacolo leggermente inquietante. Decine e decine di persone arrivano davanti al luogo del sequestro per scattare un selfie che li ritragga sulla scena dell’incubo, come a dire “ci sono anch’io”, come a dire che questo fatto di cronaca che sta facendo il giro del mondo è, in qualche misura, anche loro.

Ogni giorno ascoltiamo impotenti notizie di ostaggi, prigionieri uccisi, e la maggior parte di queste ha sempre più frequentemente il nome dell’Isis sullo sfondo. Ma questa volta è diverso. Questa volta la storia non riguarda il mondo arabo, non riguarda la Siria, l’Iraq, l’Iran, no. Stavolta si tratta di un paese occidentale (anche se non geograficamente), di un paese “civile” e il selfie è il sistema catartico; la risposta che il mondo occidentale da a questa paura, a questo fantasma. Spesso sentiamo dire che noi, la nostra generazione, è più interessata a fissare il momento attraverso foto e video, piuttosto che a viverlo; io però preferisco pensare che ci sono alcune cose, tante cose, che vale la pena fissare, ricordare, non dimenticare, e perchè no, questo ragionamento vale anche per le cose non piacevoli o terribili, come in questo caso.

Ci troviamo fra le mani un grande potere quale è internet e, come tutte le grandi cose, è pericoloso quanto fantastico, capace di tramutare un gesto disumano in fonte di informazione.

E l’informazione è il più grande strumento che abbiamo. Facciamone buon uso.