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Lo scorso 25 febbraio il Dipartimento Nazionale Antimafia, nella sua ultima Relazione annuale, ha puntato il dito contro l’azione repressiva della politica italiana nei confronti della vendita e dell’utilizzo di marijuana. Essa, dati alla mano, risulta controproducente di fronte ad un mercato che vende fra 1,5 e 3 milioni di chilogrammi l’anno di cannabis, arricchendo così di fatto le casse della mafia.

Ovviamente le reazioni non si sono fatte attendere e la notizia -come prevedibile- ha spaccato l’opinione pubblica. Tra i favorevoli primeggia la categoria rappresentata da Roberto Saviano, il giornalista che ha dedicato la vita alla lotta contro la criminalità organizzata e che non ha mai nascosto -anzi- di essere un sostenitore della legalizzazione. Come dimenticare poi i consumatori abituali (coloro, per intenderci, che non visiterebbero Amsterdam per il Museo di Van Gogh o per le piazze) che rappresentano la fetta più consistente dei pro-legalizzazione. Nella squadra avversaria “giocano” i proibizionisti che, nella maggior parte dei casi, non vedono alcuna differenza fra una siringa e uno spinello.  A metà strada fra i due estremi infine, abbiamo i più neutri ”io sarei d’accordo ma in Italia non funzionerebbe” da non sottovalutare perché probabilmente saranno proprio loro l’ago della bilancia nelle prossime decisioni politiche.

Al di là del dibattito, le vere novità sono le iniziative concrete promosse dai cittadini e dalla politica. Lo scorso week-end gli abitanti del Pigneto sono scesi in piazza per chiedere a gran voce dei cannabis social club, strutture che arginerebbero i traffici illeciti che soffocano il rione romano. Per promuovere la petizione, il comitato di quartiere ha regalato semi di canapa ai passanti: scelta tanto provocatoria quanto intelligente, dato che in Italia è consentita la vendita di semi a scopo collezionistico e visto anche il precedente di Marco Pannella nel ’95. Il radicale infatti, in una manifestazione simile, colto nel reato di cessione gratuita di sostanze stupefacenti, dovette scontare 8 mesi di libertà vigilata. Nel volantino diffuso dal comitato, leggiamo: Attenzione, questo è un seme di cannabis (…) è un potente maficida: può liberare i consumatori dal mercato mafioso; può liberare il territorio dalla violenza del narcotraffico; può liberare opportunità di lavoro; può liberare soldi da usare per prevenire e curare tossicodipendenze (assumendo ovviamente che la canapa non sia tossica né provochi dipendenza N.d.A).

Il DNA ha scosso delle coscienze anche a livello politico. Già sessanta parlamentari hanno aderito all’intergruppo parlamentare proposto da Benedetto Della Vedova sottosegretario agli esteri che, mediando fra opinione pubblica e forze politiche, lavorerà ad una proposta comune da presentare entro questa legislatura, con l’obbiettivo di rendere legale la marijuana. Il progetto è ambizioso considerando che tanti, da questo traffico illecito, traggono dei benefici. Si potrebbe pensare che non sia necessario, che la mafia abbia delle radici così profonde che non sarà certo una riforma ad estirparle, ma di certo sarebbe un segnale forte del fatto che la politica non continua solo a gettarci i semi.