Le urne hanno rispettato i sondaggi. L’affluenza è stata superiore al 73% confermando l’entusiasmo per il voto di domenica scorsa, il nuovo parlamento si divide in quattro confermando la fine del bipartitismo e l’ascesa di Podemos e Ciudadanos. “E’ una Spagna nuova quella in cui viviamo” ha detto proprio Pablo Iglesias, leader di Podemos, alla fine dello spoglio delle urne. Senza dubbio ha ragione. La tradizione che ha voluto per quarant’anni di democrazia due forze politiche al comando in continuo confronto deve abituarsi all’idea di essere finita, lasciando spazio a un sistema pluripartitico e aperto ad ogni imprevedibile scenario. Mariano Rajoy vince e sembra rimanere al governo, tuttavia nulla sarà più facile come prima. La più naturale alleanza di governo con il partito di Albert Rivera raccoglierebbe poco. Il 28% del Partido Popular sommato al 13,7 di Ciudadanos è assai lontano dalla maggioranza assoluta. Nulla toglie a un governo di larghe intese la possibilità di nascere, soprattutto se la seconda e la terza forza politica del Paese sono rispettivamente il PSOE di Pedro Sànchez con il 22,1% e Podemos con il 20. Si apre dunque una fase di ampia concertazione e, come ha detto lo stesso primo ministro Rajoy, ciò è fondamentale per non far perdere alla Spagna e ai mercati la scia della ripresa e della crescita. Una fase di nuova responsabilità dopo gli schiaffi morali della campagna elettorale, i colpi che nessun partito si è risparmiato. Ora è il tempo dei fatti, ma i numeri sono propensi a complicare notevolmente le cose, alla luce di una volontà politica dei cittadini spagnoli così frastagliata. L’ascesa dei nuovi partiti incoraggia la voglia di cambiare il Paese e di promuovere un nuovo modo di pensare la politica. La vittoria relativa di Rajoy suggerisce l’esatto opposto, mostrando come oltre uno Spagnolo su quattro pensi che le scelte del Partido Popular siano state paradossalmente impopolari, ma alla fine giuste o quantomeno necessarie, dato l’insieme delle difficoltà e delle sfide interne e internazionali che il mondo attuale propone. Oggi nasce una nuova Spagna, ma il parto di un nuovo governo sarà alquanto complesso. I popolari conquistano 122 seggi, molti, ma non moltissimi se guardiamo a una maggioranza assoluta che dovrebbe essere costituita come minimo da 186 deputati. A questi numeri si aggiungono quelli delle altre tre forze politiche principali, i 90 seggi dei socialisti, i 69 di Podemos, i 40 di Ciudadanos, più gli altri delle comunità autonome che hanno confermato di essere in piena crescita, come i partiti baschi e quelli catalani. Particolarmente rilevante a Barcellona è stato l’impatto della alcaldesa, il sindaco Ada Colau, che ha fornito forse il più grande endorsement a Pablo Iglesias, peraltro ex studente laureato in scienze politiche ed Erasmus presso l’università pubblica della capitale catalana. A questo punto non resta quindi che seguire gli esiti della concertazione e dell’era del dialogo, tutt’altro che prevedibile, tutt’altro che scontata. Rajoy festeggerebbe a metà, se non avesse tanto lavoro per formare una nuova maggioranza, magari più credibile e popolare della prima.
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