Sicuramente a qualcuno di voi sarà capitato di vederlo.
E’ una cosiddetta pubblicità progresso, o campagna di sensibilizzazione che dir si voglia, che ci dovrebbe ricordare la nostra appartenenza all’Unione Europea. O meglio, quanto sia conveniente e proficuo per l’Italia far parte dell’Unione, anche monetaria, non lo dimentichiamo.
Al di là delle considerazioni politiche e di carattere socio economico sui contenuti di questo “spot”, come la visione migliorativa che viene data a certi piccoli e grandi progressi italiani, uno per tutti lo sfruttamento delle risorse energetiche o i vincoli di adattamento in numerosi settori alle direttive UE, ci sarebbe da chiedersi perché ad oggi una campagna del genere nel nostro Paese risulti a chiunque “stonata”.
Mi spiego meglio: stando al messaggio dello spot, senza l’Europa certe cose da noi non sarebbero state nemmeno possibili.
A noi Italiani va ricordato.
Ci va ricordato che questa Europa, che tiene in scacco la nostra politica e l’economia a vantaggio di grandi potenze dalle quali come popolo riceviamo fiducia scarsa, in fondo è significativa. Questa Europa che ci ha resi “belli” agli occhi della diplomazia internazionale, imponendoci progresso in ogni dove, ci ha forzati a diventare un’Italia “che conta”. Spesso con metodi duri, ma di cui è d’obbligo ricordare i risultati. Questo sembra dirci lo spot.
Del resto si sa, noi italiani andiamo come treni quando si tratta di riforme, più o meno imposte, da politiche sovranazionali. Pessimi condottieri, conosciamo fin troppo bene il ruolo dei dominati. Ora, in un Occidente dove riprendono piede i nazionalismi in politica e le velleità indipendentiste di gruppi etnici interni più o meno credibili (vedi da noi i secessionisti di casa padana), sicuramente mamma Europa sa che è meglio tenere a bada i suoi fedelissimi e ricordare loro che “l’Unione fa la forza”.
Ma la vera domanda è la seguente: cosa ci sarebbe di nuovo?
Forse guardando all’attuale panorama internazionale possiamo dare un senso a quello spot, farlo maggiormente nostro. Io abbozzo una mia ipotesi: nel mondo oggi si combatte una guerra che ha il suo bacino di interessi in medioriente. E lo scacchiere dove Stati Uniti ed Europa (come unione di forze militari nazionali) stanno giocando una partita senza esclusione di colpi è ben lontano dai progressi energetici e dalle varie altre innovazioni che l’Europa ci ha permesso (quella istituzionale difesa dallo spot, per intenderci).
In pratica esistono due Europe. L’una, l’Unione Europea, affamata di consenso tra i suoi popoli e forse spaventata dall’Italia, Francia e Inghilterra, dalle ondate di euroscetticismo nazionalista che la crisi economica ha alimentato. L’altra, intesa come l’insieme delle forze militari dei vari paesi che idealmente compongono l’eurocontinente e che, all’ordine del giorno, cambia posizione tra gli schieramenti di un conflitto latore di grosse limitazioni di diritti umani, anche nelle sue appendici più estreme: sequestri di inviati di guerra e califfato iraqueno compresi.
In conclusione mi chiedo, perché l’Europa istituzionale, la prima, invece di ricordarci di prendere coscienza di una identità sempre più difficile da tutelare, non introduce una tematica di uniformità e sensibilizzazione verso la seconda? Di più, ad un approssimativo paragone delle politiche estere di molti stati europei, alcuni governi risultano evidentemente schizofrenici rispetto alle posizioni prese in Europa. Ecco che allora nel buio della confusione risplende la luce di quel concetto che in Italia vivono con imbarazzo persino i giornalisti: informazione consapevole. In primis sulle politiche internazionali, quelle di cui Renzi parla pochissimo, o di cui forse è meglio non parlare.
Questo articolo è stato scritto da Romana Angeloni