Pensate che io sia un peso? Questa l’apertura potente del video ‘A Child is a Child’ realizzato dal fotografo e regista britannico John Rankin e pubblicato lo scorso 13 settembre in occasione del lancio del rapporto UNICEF-IOM ‘Harrowing Journeys’. È un video musicale, che sulle note di ‘Four walls’ dei Bastille, vede i piccoli migranti protagonisti porre interrogativi pungenti a chi visualizza nel nord del mondo, mentre sullo sfondo scorrono fotografie di altri bambini ritratti in situazioni di emergenza. Il messaggio centrale è che le etichette di ‘rifugiato’, o ‘migrante’ che sia, non tengono di fronte ad un bambino: ‘un bambino è un bambino ed è tutto quel che conta’, come rilascia Rankin in una intervista. La clip si conclude con un appello da parte di Unicef ai leader della terra, perché proteggano i bambini migranti e rifugiati. Nonostante l’innegabile carico emotivo di questo video, pensato per sensibilizzare anche i cuori più duri e le menti più chiuse, quello dei minori migranti non è uno strumento per bagnare di lacrime facili il dibattito sui migranti, ma un fenomeno reale che cresce in maniera sempre più consistente. Secondo il nuovo report Unicef infatti, sono quasi 50 milioni i minori costretti a vivere fuori dal proprio Stato di nascita o sfollati all’interno dei loro paesi, ed almeno 28 milioni di essi sono veri e propri rifugiati da conflitti armati ed instabilità nei paesi di origine. Ed è inoltre drammaticamente crescente il fenomeno degli UASC – unaccompanied and separated children: sono infatti almeno 300.000 i bambini non accompagnati e separati dalle famiglie registrati in circa 80 stati tra il 2015 e 2016, 5 volte la cifra registrata nel 2010. Sono bimbi sperduti, indifesi ed esposti a continue violenze, abusi e stress emotivo durante il viaggio, cui bisogna aggiungere tutti i ‘bambini invisibili’ che non vengono registrati al momento dello sbarco e che continuano a soffrire anche stando in Europa, cadendo nelle mani di trafficanti, sfruttatori ed organizzazioni criminali. Nonostante non domini i dibattiti televisivi e le testate giornalistiche tanto quanto i numeri degli sbarchi e la loro attesa riduzione, quella dei bambini migranti, accompagnati e non, è una realtà che coinvolge l’Italia in maniera evidente. Lo scorso maggio infatti, in occasione del lancio della petizione all’Unione Europea ‘Per ogni bambino sperduto’ che chiede protezione dei diritti e accesso ai servizi essenziali per tutti i minori migranti e rifugiati, Unicef Italia e l’Istituto di ricerca sulle popolazioni del CNR hanno diffuso il rapporto ‘Sperduti. Storie di minorenni arrivati soli in Italia’. Si tratta di un rapporto molto narrativo, che racconta singole storie di successo e insuccesso di bambini invisibili, che tuttavia fornisce dati quantitativi ben chiari: nel 2015, 12.360 minorenni sbarcati erano non accompagnati, mentre l’anno seguente sono stati 16,863, ovvero il 15% di tutti gli sbarchi nel periodo. Ed è dedicata agli UASC in Italia la dashboard pubblicata lo scorso 14 settembre dal Regional Office for Southern Europe dell’UNHCR. Ci rivela che, nonostante il numero effettivo -13,227- di minori non accompagnati sbarcato tra gennaio ed agosto 2017 sia diminuito rispetto all’anno passato, in linea con la recente riduzione generale degli sbarchi, la percentuale sugli sbarchi totali è scesa solo al 13%, mostrando che il fenomeno ‘bambini sperduti’ non è in riduzione. In Italia esiste un contesto normativo che assicura un alto livello di protezione al minore straniero non accompagnato, ed è ratificata sin dal 1991 la convenzione Onu sui diritti dell’infanzia che riconosce la specificità della condizione minorile e assicura la non espellibilità del minore immigrato. Inoltre nel marzo scorso è stata approvata una legge che rafforza ancora di più le misure di tutela, ad esempio riducendo a 30 giorni la permanenza massima del minore in strutture di prima accoglienza e vietando condizioni di promiscuità con adulti nelle stesse, prevedendo cautele particolari di carattere culturale, psicologico e linguistico durante il processo di identificazione, prescrivendo lo svolgimento di indagini familiari su ciascun minore ai fini del ricongiungimento ed istituendo un elenco di tutori volontari disponibili ad assumere la tutela di al massimo un minore o più minori nel caso siano fratelli o sorelle. Tuttavia ci sono ancora molte lacune al livello normativo e disfunzioni nella sua applicazione. Il permesso di soggiorno concesso ai minori infatti termina al compimento della maggiore età e necessita di conversione al permesso ‘ordinario’ a condizione che il soggetto sia in Italia da almeno tre anni ed abbia partecipato ad un percorso di integrazione per almeno due anni. Su piano applicativo invece, aumentano gli ‘irreperibili’, ovvero i minori che fanno perdere le proprie tracce per proseguire il viaggio verso altri paesi europei, continuando ad essere a rischio, ed aumentano i minori stranieri nel circuito penale, per reato di spaccio di stupefacenti nella maggior parte dei casi, a segnale del fallimento dei programmi di integrazione e di tutela dei minori dalle organizzazioni criminali. C’è dunque bisogno di un impegno maggiore per far sì che gli UASC in territorio italiano, che formalmente hanno gli stessi diritti dei minori italiani, ne godano in maniera sostanziale. Servono piani di intervento sistematici ed a lungo termine, anziché esclusivamente a carattere emergenziale, affinché questi bambini possano lasciarsi alle spalle quanto di negativo c’è nelle difficoltà che hanno affrontato e ne mettano a frutto le opportunità positive per iniziare a progettare le proprie vite.