C’era una volta, su un tozzo ramo di un insignificante anonimo albero, un nero e brutto corvo. Che i corvi siano neri molti ne saranno già a conoscenza, ma di un corvo così brutto e sgraziatamente nero pochi faranno testimonianza, perchè corvi come questi la gente preferisce scordarli. Vi era qualcosa in quel particolare nero brutto corvo, che nessuno aveva mai notato: qualcosa di cui nessuno era mai venuto a conoscenza, perchè da corvi neri e brutti come quello ci si tiene alla larga. Quel nero brutto corvo su quel tozzo ramo di un insignificante anonimo albero, era felice. Mai si era specchiato in una pozzanghera, nè in un lago, nè in alcuna goccia di rugiada, perchè lui preferiva specchiarsi nel cielo. Così azzurro e così sincero, non poteva che dare un onesto riflesso del nero brutto corvo, che nulla aveva mai visto che non fosse bello. La mattina l’alba lo svegliava, sussurrandogli i colori dell’amore che lui era convinto il tempo gli avrebbe fatto trovare, e il fruscio delle foglie coccolate dal vento lo faceva sentire vivo, e parte di una musica senza tempo che eternamente gli sarebbe appartenuta. Quello stesso vento lo sospingeva in danze sgraziate che per lui erano libera espressione di ammirazione per il mondo, e ogni cosa, anche il suo verso, esprimeva lode verso la vita e ogni singolo ticchettìo di esistenza che gli veniva concesso. Era felice, e il tramonto gli suggeriva i sogni più audaci, e la notte con le stelle brillava della luce della speranza che quei sogni si facessero realtà. Ma un giorno passò di lì uno stormo di lievi rondini, che andò vicino a quell’insignificante anonimo albero solo per deriderne i tozzi rami, e trovò un oggetto di risate assai più valido: il nero brutto corvo. Non avevano mai visto un uccello così, e non si capacitavano di come questo potesse continuare a vivere con la consapevolezza di essere così brutto e sgraziatamente nero, e ridevano di lui, e lui si rallegrava di quelle belle risate finchè non si rese conto che erano solo per deriderlo, e non un regalo per la sua giornata. Mai il cielo gli aveva dato qualcosa che non fosse un dono, nè la terra gli era mai stata ostile, nè quel tozzo ramo di quell’insignificante anonimo albero lo aveva mai tradito, ma ora, per la prima volta, sentì qualcosa di molto diverso dalla felicità…qualcosa che sapeva di salato. Il nero brutto corvo per la prima volta pianse. Non si spiegava la cattiveria, non l’aveva mai vista, e non capiva perchè esistesse cosa simile. Non riusciva ad individuarne un fine: il cielo versava acqua perchè le piante potessero bere, e la terra si metteva a tremare per creare vulcani o futuri mari, ma quelle rondini ridevano per ridere di lui…per ‘deriderlo’ si dice. E quando queste rondini migrarono, il corvo si ritrovò solo. E l’alba regalava le stesse tonalità, e il vento coccolava le stesse foglie, ma quei colori e quei sentimenti portarono il corvo a convincersi che l’amore per lui non sarebbe mai arrivato, e che brutto com’era, come dicevano gli altri, era lui stesso uno scherzo della natura su cui conveniva ridere. Ma lui non poteva permettersi di ridere insieme a loro, perchè sarebbe sembrato strano: -Hahahahaha -Perchè ridi? -Perchè sono uno scherzo della natura -Ah okay Suonava strano. Troppo tempo passò, con mattinate sprecate perchè non apprezzate, e tramonti trascurati e brezze ignorate. Ma proprio una di queste portò un’altra rondine, tutta sola, che aveva scelto quella brezza, e di tutto era succube,ma non del caso. Lei cercava il corvo, e infine, lo aveva trovato. Per il corvo fu difficile guardarla negli occhi, tanto aveva paura di rispecchiarvisi dentro, brutto com’era, ma lei diceva di aver visto il sole, e la luna, e l’alba che le avevano colorato gli occhi e il cuore di un colore che lei aveva ritrovato solo in lui. Avevano trovato l’amore, e da quel giorno, ogni alba, tramonto e brezza li coccolava insieme, tanto che la felicità, condivisa, sembrava cento volte la metà.