Mirai 2016: welcome to the japanese adventure!

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    Articolo di Chiara Filipello e Stefania Montagna.

    Tempo di finire gli esami, preparare le valigie e dirigersi in aeroporto. Quasi 20 ore di viaggio con scalo a Bruxelles ed ecco che io, Stefania ed Asvero ci ritroviamo incredibilmente nella terra del sol levante: il Giappone. L’opportunità che ci è stata offerta è unica: il MIRAI program. Interamente organizzato dal MOFA (Ministry of Foreign Affairs) in collaborazione con JICE (Japan International Cooperation Center) ed EFIL (European Federation for Intercultural Learning), il progetto consiste in una settimana (dal 14 al 22 dicembre) di scambio interculturale offerto ad 80 studenti europei con lo scopo di fornire una conoscenza a 360° del Giappone.

    Sinceramente parlando, non sono partita verso una terra completamente sconosciuta. Io il Giappone lo conoscevo già, come se fosse una terra lontana ma non così ignota, estranea sì ma relativamente poco. Ho fatto conoscenza con il Sol Levante già all’età di sei anni, quando il pomeriggio accendevo furtivamente la televisione e guardavo Ranma 1/2 saltare tra i tetti delle case giapponesi, e ci ho stretto amicizia il giorno in cui ho comprato il mio primo fumetto. Quindi, ho da sempre immaginato quello che, grazie al progetto MIRAI, si è finalmente materializzato ritrovandomi tra i grattacieli che sovrastano la stazione di Shinagawa, a Tokyo.

    Il MIRAI Program ci ha dato l’opportunità di essere più che semplici turisti. Durante il nostro soggiorno nella terra del Sol Levante abbiamo avuto il privilegio di essere stati ospiti sia presso il Ministero degli Affari Esteri giapponese che in due delle più rinominate università nipponiche: la Waseda University e la Kyoto University. Abbiamo seguito diverse lezioni e abbiamo avuto un breve scambio interculturale con i loro studenti. Poi ancora: Hiroshima, la vita frenetica di Tokyo, i santuari di Kyoto, la cerimonia del thé, i vestiti bianchi e rossi delle miko nei templi, le maschere degli yokai e degli oni, le geishe, tanto (anche troppo) sushi. Il momento più emozionante? La visita al Peace Memorial di Hiroshima e il privilegio di poter parlare con una donna sopravvissuta al tragico evento dell’8 agosto 1945. Sensazioni incredibili ed esperienze indimenticabili di sicuro.

    Sotto l’effetto del jet-lag e deprivati delle necessarie e salutari 8 ore di sonno (perché ammettiamolo… chi avrebbe il coraggio di restare nella propria stanza d’albergo di sera, quando sei in Giappone?), abbiamo vissuto un’indimenticabile avventura. All’inizio di questo percorso siamo partiti tutti con uno sguardo diverso sul Giappone: chi, come Stefania, a malapena ne conosceva la cultura, chi l’aveva studiata per anni, chi ancora faticava a distinguerlo dalla Cina e chi, come me, invece già tentava di leggere (con scarsi risultati) i kanji sugli annunci pubblicitari e a scandire qualche goffo saluto in giapponese.

    Da inguaribile appassionata della cultura nipponica, devo ammettere di essere stata inizialmente sorpresa nel constatare che, insieme a me, ci fossero persone totalmente inesperte sul Giappone. Eppure, sono state proprio loro che, offrendomi un punto di vista nuovo, curioso ed imparziale, mi hanno dato l’opportunità di guardare ciò che amavo e che da sempre ammiravo con una luce diversa, senza abbandonarmi ai tipici cliché. È stato divertente guardare il Giappone con i loro occhi (e affrontare gli imbarazzanti momenti di scontro culturale con loro). Probabilmente ciò che mi fa più sorridere ripensando a quei giorni è che al termine di questo viaggio abbiamo finito involontariamente per adottare lo stesso sguardo: affascinato e un po’ malinconico, ma assolutamente entusiasta.

    Sì, anche i più restii simpatizzanti della cultura cinese alla fine hanno ceduto.