Non ho mai scelto di chi innamorarmi, ma tante volte avrei voluto. Avrei voluto scegliere il ragazzo che mi scriveva lunghi e appassionati messaggi come un poeta romantico del 2010 o quello che già mi prometteva vacanze e viaggi di lusso in giro per il mondo. E invece finivo sempre in lacrime o a tormentarmi per il paio di occhi verdi o blu di turno, tanto irresistibili quanto crudeli. Però ho sempre scelto a chi raccontare i miei tormenti da adolescente convinta che il mondo si risolva nel grande amore: dal liceo, la vittima dei miei interminabili racconti è il mio (sventurato) compagno di banco, Marco. Nemmeno Marco ha mai scelto di chi innamorarsi, ma i disastri e le scelte sbagliate erano sempre le stesse e così passavamo ore di lezione tra confessioni e rielaborazioni del Simposio di Platone. Una mattina, anni fa, durante un’interrogazione di Italiano, il soggetto dei racconti di Marco è passato da Alessandra a Federico. Ho annuito e ho continuato ad ascoltare, ma per un po’ ho smesso di capire. Fino a quel momento gay aveva significato due cose per me: un insulto usato dai miei compagni delle medie o comunque dagli uomini in generale tra di loro; una condizione astratta e irreale che tolleravo perché non conoscevo al pari del buddismo. A quel punto, però, ‘’omosessuale’’ non era più né un insulto, né un unicorno in una dimensione parallela: era il mio migliore amico, che aveva anche bisogno di un consiglio. Così ho continuato ad ascoltare, ma ho cominciato a capire. Anche perché, a dirla tutta, non c’era molto da capire. Se Marco avesse parlato di Alessandra, Federico, Giulia o Davide senza farne il nome, quello che avrei visto e sentito sempre e comunque era il mio migliore amico, col suo carattere sui generis, che aveva i comuni sintomi da innamoramento scemo e travolgente che hanno tutti e come la maggior parte degli under 20, voleva un qualcosa di più di un amico con cui condividere le proprie passioni, i momenti felici e – perché no? – le proprie psicosi. A differenza di quell’idea stereotipata che spesso viene data, lui non mi aveva mai dato pareri caustici sull’abbinamento smalto-outfit, ascoltava musica rock/metal e no, non aveva quella voce affettata e stridula da serie tv. Da quella mattina, sono cambiate molte cose: è aumentata la mia consapevolezza, la mia età, la mia coscienza sociale e il mio numero di amici gay, ma Marco resta, nonostante l’università ci separi, il mio migliore amico (e, sì, spesso e volentieri chiedo a lui un parere sui ragazzi che mi piacciono). “Homophobia” deriva dal Greco e, letteralmente, non significa paura degli omosessuali, significa ‘’paura dello stesso, di ciò che è uguale’’. Omofobia è la paura di scoprire di che l’amore è sempre lo stesso. E’ quella terribile paura di essere uguali agli altri e non poterli più discriminare, di non poter sentirsi più superiori ma di dover reggere il confronto. Certo, esiste una parte ‘’esaltata’’ del mondo non-etero: come in tutti i moti umani, anche qui bisogna saper distinguere tra moderati ed estremisti e come non condivido la secessione della Padania Libera, ugualmente mi lascia perplessa quella parte della comunità LGTB che si vuole stereotipare a tutti i costi. Non prendiamoci in giro, ad alcune persone piace impersonare la caricatura dell’emarginato e piangere per la discriminazione, rifiutare al contempo l’aiuto esterno perché ‘’tanto voi non diversi (?) non potete capire’’ e colpire alla pancia delle persone con atteggiamenti grotteschi e poco apprezzabili, per poi appellarsi alla libertà di espressione e dare agli altri dei ‘’moralisti’’ (che comunque, non vorrei dirlo, ma la morale è effettivamente limite alla libertà di espressione, nda) Eppure non mi sembra che un governo democratico abbia tra i principi fondamentali impedire il godimento di determinati diritti ‘’fondamentali’’ ad una persona perché mangia con la sinistra, beve il tè alla pesca e non al limone o guarda Real Time. Se le discriminazioni individuali sono interminabili ed esistono sia perché ascolti i One Direction, sia perché esci con una persona del tuo stesso sesso, per le discriminazione generali non si può restare con le mani in mano. Come direbbe il mio professore di Costituzionale, è tutta una questione di bilanciamento. Bisogna saper cogliere le esigenze democratiche di uguaglianza formale e sostanziale, ma anche quelle di una società non ancora completamente pronta al cambiamento e soprattutto bisogna cominciare, muovere il primo passo. E per quel primo passo #contasudime.
Editoriale10 maggio 2015 Cameron è una brutta notizia per l’Europa? Perché l’Europa non dovrebbe essere felice del risultato elettorale per le #GE2015 nel Regno Unito