Tre tedeschi, uno svizzero, un austriaco e un’italiana. Ogni volta che racconto questa storia sembra l’inizio di una vecchia barzelletta e, invece, si tratta di quella che è stata la mia vita nei tre mesi che ho passato nell’Essex. Un Erasmus che devo dire, nonostante l’entusiasmo iniziale, non è cominciato proprio alla grande, tra l’alloggio vuoto e triste che mi ha accolta – non dimenticherò mai il trauma di non avere neanche un cuscino per la prima notte! –, il primo pasto che io e i miei coinquilini decidiamo di cucinare insieme – mettendo subito in chiaro che la pasta con pollo non era un’opzione, e una rovinosa caduta con slogatura della caviglia che nella frenesia della prima settimana non ha certo aiutato. Poco a poco, però, arredata la camera, conosciuti i non così nordici coinquilini e ripreso il mio passo di marcia, l’inziale sconforto si è dissolto, lasciando spazio alla curiosità e all’eccitazione che per primi mi avevano spinta a fare domanda per l’Erasmus. Ho cominciato finalmente a sentirmi parte della grande comunità della University of Essex. Un’università impegnata, stimolante, con un grande spirito associativo ed un motto intrigante, “rebels with a cause”. Un’università che in parte mi ha tenuta lontana dagli inglesi ma ad un passo dal mondo intero essendoci oltre centotrenta nazionalità diverse tra studenti e corpo docenti. Un’università a pochi minuti dalla piccola città di Colchester, uno dei centri più antichi del Regno Unito, che mi ha fatto scoprire il volto autentico delle piccole comunità inglesi, gentili ed ospitali – nonostante il marcato accento locale – ben diverse dalla convulsa e a tratti distante metropoli londinese che più volte avevo visitato. Un’università, infine, che mi ha stupita per la sua grandezza – le prime settimane trovare le aule sembrava impossibile -, per l’immensa biblioteca in cui avrei passato ore e ore, per il senso di vivacità che la caratterizza, per il metodo didattico che tra la realizzazione di presentazioni, saggi, report e un documentario mi ha dato un bel da fare e ha stimolato il mio interesse nei vari corsi. Tornando alla barzelletta, o meglio, ai miei coinquilini, sono stati loro i principali compagni di viaggio di questi mesi nell’Essex. Quasi tutti alla nostra prima esperienza di studio all’estero, siamo divenuti il punto di appoggio l’uno dell’altro e compagni di svago e divertimento. Certo, essere l’unica a non conoscere il tedesco talvolta mi creava una certa confusione ma mi ha anche dato modo di apprezzare una lingua che fino a poco tempo fa suonava ben più severa e autoritaria. Con loro ho scoperto il piacere di sorseggiare un sidro e uno snake bite – in Italia penso risulterebbe estremamente imbarazzante essendo una birra rosa – e ho condiviso l’incredulità nel constatare il diffuso e discutibile abbinamento cappotto invernale-infradito. A loro ho tentato – con modesti risultati – di far capire la sacralità della pasta e che il ketchup è un’ottima salsa per hamburger e patatine ma non un sugo. In questi mesi ho imparato che una delle espressioni più usate al termine di una conversazione nel British English è cheers, termine a metà strada tra un saluto e un ringraziamento. Perciò, ripensando al mio Erasmus, finito ormai da un mese, posso solo dire: cheers Essex, see you soon!