Non potete perdervela, “a suo modo, è una chicca”, ti direbbero in un bar a Pigento. Vi stanno ingannando, e se vi fate ingannare da uno con la barba finto incolta e gli occhiali con la montatura spessa stile pentapartito, fatevi qualche domanda. San Paolo non è bella. San Paolo è, anzi, brutta, a tratti molto brutta. Eppure ci ho vissuto. Abitavo in Rua Major Sertorio 284, la strada di trans e puttane più famosa di San Paolo. Non andare ad abitare lì, è pericoloso, dicevano. Quelli con la montatura spessa invece mi avrebbero detto: è un quartiere che si sta rivalorizzando, molto bohémienne, ci devi assolutamente vivere. L’appartamento superava standard minimi di sopravvivenza, ed era una ragione sufficiente per abitare in Rua Major Sertorio, che non era certamente bohémienne, semplicemente perché i quartieri bohémienne non esistono a San Paolo. Alzavo lo sguardo sui palazzi del centro. San Paolo del Brasile. Città difficile. Da capire, da vivere. Il cielo non è mai azzurro, di notte non è nero (ci arriva il riverbero delle luci), e non è neanche plumbeo. È un cielo strano quello di San Paolo, e non vuole essere definito. San Paolo non “è particolare”, non “ha il suo fascino”. San Paolo, semplicemente, non è. San Paolo è un non-luogo. Non c’è grande bellezza, a San Paolo. San Paolo, nonostante l’ora, non è mai del tutto deserta. Anche di notte, ti capita di vedere gente. Pare irrequieta. Forse per questo tarda ad andare a dormire. C’è tanto cemento armato e molto grigio, ma se ci sai mettere i filtri giusti pare quasi bella. È vero però con la luce giusta e un Sierra ben assestato è bella anche Terni. O no? San Paolo accoglie circa 20 milioni di persone, accoglie tutti. Qui c’è tutto infatti: ci sono le favelas, i grattacieli, le case basse, tutte uguali, tutto neutro. E chi non ha un tetto dorme per strada, tanto le temperature lo permettono praticamente in qualsiasi periodo dell’anno. San Paolo è gigante. È una vera metropoli. Offre una buona scena musicale e una sconfinata scelta culinaria – dal miglior ramen fuori dal Giappone a ottimi ristoranti italiani che, tuttavia, lascio provare agli altri, non ambendo a pagare venti euro una gricia. San Paolo incuba cambiamento, cultura, arte. O meglio, se c’è una città in America Latina che sa fare questo meglio delle altre, quella è lei, San Paolo. O ameno così direbbero quelli con la montatura spessa. E allora, se è brutta, perché ci ho passato quasi sei mesi? La risposta corretta è che avevo chiesto io, alla LUISS, di mandarmici. Un’altra possibile risposta (quella che mi piace darmi) è che la vita è troppo lunga per vivere solo nelle città belle. Quindi no, non ci andate a San Paolo. Se proprio vi va, viveteci, che è diverso. E magari ve ne innamorate. Magari no.