Erano oltre duemila le persone che assistevano alle partite dell’Albanova in C2. La fede calcistica sa adorare anche i piccoli dei, Mercurio come Giove. Meno sentimentalismi, però, portavano la cosca di Francesco Schiavone a riunirsi nella sede del club cittadino. Pur non avendo la formale proprietà o incarichi dirigenziali, la squadra casalese vantava come dominus Walter Schiavone e sapeva farsi efficace strumento di profitto per coinvolgere imprenditori e politici, dal proprietario dello zuccherificio più grande del meridione, Dante Passarelli, al politico del Pd Mario Natale. Perché tra gli spalti si consolidano alleanze, anche quelle criminali. Non capivano, gli appassionati tifosi, che certi destini camminano insieme. Così, all’arresto del suo padre naturale, anche l’Albanova conclude la sua scalata di categoria. Sono morti premature, per omicidi o arresti, a cui i boss parametrano i loro piani.”Operano con il respiro corto, con l’idea della trimestrale di cassa, vogliono ottenere il massimo il prima possibile, disinteressandosi del futuro, così imponendo questo segno anche al destino di squadre”, chiosa Raffaele Cantone. L’affaire calcio è la riproduzione in campo del modo di agire delle mafie, occasione di costruzione del consenso e di produzione del denaro. Una miniatura rappresentativa delle intelligenze sociali prima ancora che economiche. Perché non sono le faide a fondare il potere mafioso, sono le paci. È un occhio attento quello dei boss. Sa curare i piccoli feudi, culla di grandi fedeltà. Si spiega così l’ingerenza nella gestione delle squadre di paese. Sono movimenti già sperimentati nei rapporti commerciali: un finanziamento per pagare i debiti del negozio in cambio di favori. Una macchina per commettere un omicidio, una carta di identità per recuperare una partita di droga. Nel calcio di provincia questa beneficienza si chiama scuola-calcio. La carriera di un figlio vale ben un vincolo, cui le famiglie si impegnano per assicurargli l’ingresso in campo. Piccoli debitori crescono fino a diventare quei “giocatori invisibili” di cui parla il collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura, ex reggente di una cosca di Crotone. “Esistono dei calciatori invisibili la cui carriera è programmata e accompagnata da organizzazioni criminali. Il loro compito è quello di pilotare i risultati sportivi e i comportamenti dello spogliatoio”. I grandi, invece, di raccomandazioni non hanno bisogno. Certo la vicinanza non fa del vicino l’avvicinato. Penalmente neutri sono i rapporti di Lavezzi con membri della famiglia Lo Russo o le vasche da bagno che ospitano Maradona e l’allora latitante Carmine Giuliano. Meno ambiguo è stato il fuoriclasse brasiliano dell’Avellino Juary, che, su invito del presidente Sibilia, consegnò una medaglia d’oro a Cutolo, rinchiuso in una gabbia del tribunale napoletano. Ma non di solo consenso vive l’uomo. Il calcioscommesse figura come posta nel bilancio per la criminalità di ogni denominazione. Il pentito Guglielmo Giuliano del clan di Forcella ricorda un ex calciatore del Napoli come colui che “quando giocava nel Catanzaro combinava il risultato sul campo, così noi sapevamo con anticipo quale sarebbe stato l’esito finale della partita”. L’idillio si concluse con la perdita di una partita con il Genoa di cui si era garantito il pareggio. “Poiché avevamo avvisato anche le altre famiglie dell’esito combinato della partita, il risultato causò una perdita secca nostra e degli altri clan. Il calciatore doveva essere ammazzato, e riuscì a salvarsi solo grazie al rapporto che aveva con Giovanni Paesano di Posillipo“. Proprietà di agenzie di sommesse, ma anche milioni in gioco e complicità dei giocatori. Sono combinazioni di facile replicabilità, ma non di esclusiva proprietà. Nel maggio 2015, l’operazione “Dirty Soccer” ha portato all’arresto di15 calciatori, 6 presidenti di società sportive, 8 dirigenti sportivi, allenatori, direttori generali, 10 “finanziatori”. Un ‘ndranghetista, Pietro Iannazzo, senza ‘ndrangheta. La mafiosità è una modalità di azione, non una categoria soggettiva. Scrive il giudice per le indagini preliminari che “Iannazzo non agisce da soggetto esterno alle dinamiche sportive, bensì quale consulente di mercato e preposto alla gestione tecnica della società calcistica Neapolis e, dunque, ricoprendo un preciso ruolo nel mondo calcistico”. C’è un calcio malato anche quando il termometro non segna 416 bis.