privacy

Il termine “evoluzione”, nella maggiore dei casi, include progressione, avanzamento, o un cambiamento di concezioni e significati che attribuiamo ai gesti e alle parole. Prendiamo sotto esame la parola privacy. Privacy significa: godere del diritto di riservatezza delle informazioni personali e della propria vita.

Stando a tal definizione, noi siamo i primi detentori di un possibile veto su tutto ciò che ci riguarda. La legge dà man forte a riguardo, sostenendoci come affermati proprietari della nostra vita in ogni campo.

Eppure è estremamente curioso come oggigiorno la più grande violazione di privacy provenga da noi stessi.

La stessa identica foto in intimo spalmata su Instagram in tutte le pose, con o senza specchio/gatto/fenicottero-gonfiabile, diventa un tabù se diffusa da terzi.

Ulteriore esempio lampante è la diretta globale dell’ecografia di un bimbo in grembo, monitorato e seguito da tutto il mondo stile “The Truman Show”.

E’ agghiacciante come recriminiamo il fatto che ogni persona che conosciamo a mala pena sappia già tutto di noi e ne parli a suo piacere, mentre non ci facciamo lo scrupolo di mettere i puntini sulle “i” del nostro background, riportato a caratteri cubitali in ogni profilo di ogni social network.

Chi decide siamo noi. Chi si vende siamo sempre noi. Gli ipocriti siamo ancora noi, quando pensiamo di urlare una ragione costruita sul beneficio di un potere decisionale, di un diritto.

La verità cari lettori è che non c’è più privacy. O meglio, non vi è più senso di rivendicarla.

Tutto viene messo in piazza, i soggetti del XXI secolo non tengono più nulla per sé. Condividere, condividere e ancora condividere. E non è tanto il “come”, ma quanto il “cosa”.

Il risultato è una comunità sociale strutturata sulle fondamenta di un “1984” fra le righe. Vi è mai capitato di sentirvi osservati? Sapete che siete voi a permetterlo?

Gli utenti che pubblicizzano la loro vita pensano di stendere un “red carpet” fittizio affinché ogni persona sia in qualche modo partecipe. E qui scopriamo una mania di protagonismo in visibilio, accompagnata da iniezioni di insicurezza pungente, la quale reclama attenzione in giorni pari e dispari.

Lo scopo primo è incuriosire. L’informazione alla “vedo non vedo”  è la strategia vincente, porta i contatti a volerne sapere di più.

Lo scopo ultimo è far sapere.

Ma far sapere cosa?

Tutto.

Dalla vita sessuale, ai referti medici di malattie che meriterebbero discrezione e riservatezza piuttosto che essere instrumentalizzati per portare il “gossip” sulla bocca di tutti.

Questa politica di commercio al dettaglio di informazioni personali è stata condivisa da un consistente e temerario 71% dei cittadini europei secondo uno studio condotto dall’Eurobarometro Data Protection 2015.

Questo ci porta a pensare che probabilmente lo stesso 71% acconsenta a condividere la frequenza con cui fa il suo tour de toilette sottoscrivendo giorno ed ora.

La nostra cara vecchia privacy, quasi elevata ad altarino morale in passato, va deteriorandosi mano mano e, sotto certi aspetti, questa perdita non sembra toccarci particolarmente. Anzi la nostra inclinazione verso una trasparenza a raggio universale risulta un accessorio che fa tendenza.

Se spendessimo un minuto in più a pensare quanto ci costi cara forse non saremmo così generosi nel pubblicare la nostra vita privata. Il lato oscuro della medaglia, come i cosiddetti cybercriminali, si nutre di questa ingenuità e, al tempo stesso, si compiace di averci fatti tutti fessi.

In effetti, è un po’ come se tenessimo porte, portoni e finestre sempre aperte, con tanto di tappetino all’ingresso con su scritto “mi casa es tu casa”.

In questo caso, laddove si è radicata una concezione simile circa la sfera personale, non può nulla neanche la più rigida delle leggi, quanto meglio una rieducazione di massa. Il cambiamento parte da dentro, dall’interiorizzazione di concetti e pratiche.

Il progresso, quello vero, sarebbe comprendere che lo “sharing is caring” è applicabile se, e solo se, c’è un contenuto utile all’informazione della comunità, e cestinare dati privati ridotti a mero contorno, o nella peggiore delle ipotesi, ad una ritorsione.