“Una guerra condotta con mezzi etici è quella che prevede la possibilità di difendersi e contrattaccare. È per questo che l’utilizzo dei droni può avere un’etica… Discutibile”. Queste parole vengono dette in un assolato pomeriggio di fine agosto, in una stanza piccola dell’IAI, l’Istituto affari Internazionali. La stanzetta è nel centro di Roma, dove la storia la mette in ombra facilmente. Lo spazio è stretto e gli spettatori della conferenza sono riuniti intorno ad un tavolo che appare troppo grande per le aspettative di chi guarda quel signore senza cravatta che cerca di indottrinarli, sperando che il sudore si asciughi da solo, o che almeno si noti poco. Ciò nonostante, quel piccolo signore senza cravatta, con i capelli bianchi e gli occhi da nonno affettuoso, riesce ad avere opinioni imponenti. Forse non per il mondo, che chissà se lo avrebbe ascoltato, ma una altisonante inflessione nella voce gli concede quell’aura di arrogante autorità che fa presupporre assoluta correttezza. L’argomento di cui parla gesticolando è l’utilizzo di droni di combattimento, o aeromobili a pilotaggio remoto, nei conflitti armati. L’illustre signore senza cravatta ci racconta con entusiasmo di quanti modelli la moderna tecnologia, soprattutto quella israeliana, sia riuscita a partorire! Ci sono i droni nani, quelli micro, quelli a lungo raggio, quelli a corto raggio, e persino un modello chiamato lethal – nessuno ha il coraggio di chiedere perché si chiami così, tutti preferiamo immaginarlo. Poche tonnellate di materiale e un computer aprono, dunque, nuove frontiere per la gestione dei conflitti. Non serve nemmeno un vero pilota per guidare un drone, solo uno stratega che sappia dare dei comandi da remoto, magari mentre beve un caffè senza farlo rovesciare sulla tastiera. Tutto perfetto. Ed è in questo punto che si insinua nell’entusiasmo per la scienza quella infida materia che da quando esiste il mondo la limita e la boicotta: l’etica. Così, il signore senza cravatta ci spiega che nelle guerre dell’800 era facile definire l’etica di una guerra perché l’etica stava nel dare a chi veniva attaccato la possibilità di premere il grilletto in anticipo, battendo sul tempo l’avversario, per poi tornare a casa con la coscienza pulita. Il nemico era poi riconoscibile; era l’occhio di chi reggeva il fucile a fare da giudice e boia. “Ciò non vuol dire che non ci fossero vittime collaterali, attenzione”, ma queste erano limitate. Potremmo dire, come suggerisce il signore senza cravatta, che si trovavano semplicemente nel posto sbagliato e nel momento sbagliato. Erano vittime sfortunate. Con un drone, queste prodigiose proprietà di giustizia si annullano. Non c’è un pilota umano a bordo, il giudice e boia resta lontano dai grilletti e dai campi di battaglia. La logicità del pragmatismo ti dice che lui non sgancia bombe. Lui preme pulsanti. E le vittime sfortunate smettono di essere sfortunate, e restano solo vittime. Il signore con la cravatta allora ci dice che non c’è da essere categorici, però. Tutto ciò che serve sono normative che sappiano far fruttare un fenomeno così dinamico e carico di opportunità. D’altronde, è un fenomeno recente che ha ancora bisogno di svilupparsi e di far sviluppare normative che ne sappiano accompagnare e regolare l’impiego. Per il signore senza cravatta è quindi possibile, tramite una normativa precisa ed efficace, dare ai droni la giusta gloria che meritano, impiegandoli così eticamente in una guerra giusta. Alla fine del suo discorso, il signore senza cravatta resta in silenzio, apparendo compiaciuto della propria esposizione. Le sue soluzioni sembrano semplici e prodigiose: una normativa, ecco quel che basta a far diventare giuste le guerre moderne! Ma la sala resta in silenzio, nessuno sembra pronto ad applaudire. Solo ad un tratto una mano si alza, e la voce leggera di una ragazza sembra liberare l’aria da quella domanda che galleggiava sulle menti di tutti: “ma come può, in qualunque modo, una guerra essere giusta?”.