Il 23 aprile scorso è uscito il sesto disco di Beyoncé, Lemonade, che è anche un lungometraggio, ovvero un esteso videoclip a cui fanno da colonna sonora le canzoni del disco. Questo lavoro ha fatto molto parlare di sé, dal momento che è stato molto apprezzato dalla critica sia per la qualità e l’originalità della musica, ma anche per la sua capacità di trattare di temi non banali, quali l’integrazione razziale e di genere. Tuttavia, quest’opera ha anche portato in luce un tema che già più volte aveva toccato l’artista: il femminismo. Infatti, è emerso un dibattito circa la rappresentazione delle donne che emerge dal lungometraggio. Questa discussione ha visto coinvolto molte femministe, che hanno dato pareri contrastanti tra di loro. Bell Hooks, autrice americana e femminista nonché attivista sociale, loda il disco di Byoncé per l’ampia portata del panorama visivo, che ricostruisce una solidarietà simbolica tra le donne di colore, spostando anche l’attenzione dalla cultura bianca dominante e riuscendo persino a cambiare il modo in cui il corpo delle donne nere viene percepito. Tuttavia, sottolinea come la rappresentazione di quest’ultimo nel video sia troppo estetizzata, dicendo che mettere in mostra l’aspetto fisico delle donne di colore non crea una cultura equa di benessere, dal momento vi sono molti più progressi da fare per far sì che le donne nere si sentano davvero rispettate e realizzate. La risposta di Janet Mock, scrittrice e sostenitrice dei diritti delle persone transgender, è critica verso la collega ma anche verso chiunque sostenga che mostrare bei corpi debba per forza togliere serietà a quello che viene detto o fatto. Il corpo dovrebbe essere complementare e non limitante. Nella nostra società vi è la necessità di eliminare la fobia della femminilità, che influenza il nostro ambiente, le nostre teorie ed il modo in cui giudichiamo le altre donne ed il loro lavoro. Per ciò che riguarda quest’ultimo aspetto, ovvero il modo in cui il lavoro delle donne è percepito, interessante è l’opinione di Patricia Leavy, femminista accademica americana, e di Claudine Candy Taaffee, PhD all’Università dell’Illinois, che evidenziano un’ironia presente nell’universo femminile, soprattutto tra le donne di colore, che sono sistematicamente disavvantaggiate nel mondo accademico per quanto riguarda il riconoscimento delle ricerche fatte. L’ironia e il paradosso sta nel fatto che queste donne, invece di promuovere con entusiasmo il lavoro svolto dalle colleghe, spendono le loro energie nel promuovere il lavoro circa la gender equality di artisti famosi, invece di fare ogni sforzo per ripagare le energie spese per diffondere le ricerche fatte in ambito accademico circa il femminismo. Dunque, quel che è certo, indipendentemente dal fatto che Beyoncé possa farsi portavoce della gender equality, è che c’è bisogno di maggiore coesione e sinergia tra le femministe stesse, e le donne in primis, per arrivare a diffondere la consapevolezza dei problemi sulla diseguaglianza femminile.