Questo 2016 sarà sicuramente un anno dai grandi cambiamenti: la tecnologia indossabile, la realtà virtuale e la diffusione di connessioni internet sempre più prestazionali sono alcuni dei trend più discussioni e interessanti da tenere d’occhio. Quello che potrebbe però stravolgere (di nuovo) le nostre abitudini è l’Internet of Things, vale a dire l’introduzione di oggetti di uso comune capaci di connettersi alla rete per rendere più smart le nostre case e le nostre città. Le applicazioni finora viste lasciano un’unica certezza: le possibilità saranno illimitate. Orologi capaci di rilevare il battito cardiaco, termostati che regolano automaticamente la temperatura e videocamere di sicurezza in grado di riconoscere i malintenzionati sono oggetti che entreranno sempre di più nelle nostre vite abbattendo definitivamente qualsiasi barriera tra internet e mondo reale. Secondo l’agenzia di ricerca Gartner nel 2016 ci saranno 6,4 miliardi di dispositivi connessi nel mondo (+30% sul 2015) e oltre 20 miliardi entro il 2020, numeri che segnano una vera e propria esplosione del fenomeno IoT, con un mercato da circa 3000 miliardi di dollari entro 4 anni. Quali e quanti saranno i benefici della vita intelligente dipenderà dall’uso che pubblico e privato riusciranno a fare di queste tecnologie, ma i primi risultati sembrano dimostrare come le smart city e l’industria 4.0 siano due realtà dal futuro radioso. È il caso ad esempio della Danimarca, dove nel 2015 il 50% delle città ha intrapreso progetti per la città intelligente e solamente nella capitale Copenaghen sono stati creati più di 20 mila posti di lavoro nel settore. L’aumento dell’occupazione e il miglioramento dei servizi pubblici grazie al controllo da remoto sembrano essere due argomenti particolarmente convincenti per i governi di tutto il mondo ed è notizia di questo mese che l’amministrazione Obama, attraverso il dipartimento dei trasporti, abbia messo sul piatto 50 milioni di dollari per progetti di smart city. In questa nuova era saranno due i grandi temi al centro dell’attenzione: i big data e la privacy. I primi, ovvero l’enorme massa di dati generata di questa miriade di dispositivi, sono una risorsa preziosa per enti pubblici e aziende che con le adeguate competenze possono trarre indicazioni importanti sulle abitudini dei cittadini (o, nel caso delle aziende, dei clienti). Il tema della privacy è strettamente legato a quello dei big data: questi ultimi contengono informazioni potenzialmente sensibili e il loro utilizzo potrebbe ledere il diritto alla privacy. Danny Bradbury, giornalista freelance ed esperto di sicurezza informatica, ha definito la questione “un incubo”, ma allo stesso tempo ha ammesso che è difficile fare previsioni sulle evoluzioni future della vicenda essendo questo un territorio finora inesplorato. Nonostante le incognite ancora pendenti, l’Internet delle Cose è qui per restare: il superamento della dicotomia online-offline segna un passaggio importante nella trasformazione della quotidianità del rapporto uomo-macchina e apre ad un’idea nuova di luogo pubblico e privato. La macchina non è più intermediaria tra l’uomo e le informazioni ma diventa un elemento autonomo capace di elaborare gli input dell’ambiente esterno per poi renderli utili all’utente finale. Le cose non potranno più fare a meno di internet e noi non sopporteremo più gli oggetti stupidi. The next big thing.