Nini: la nuova forma di passività del XXI secolo

Ni estudia y ni trabaja

Ni estudia y ni trabaja

Ni estudia y ni trabaja, è questo il significato del termine “Nini”. Ma che cos’è un Nini? Ebbene non cosa, ma chi. Forse ne avrete incontrato più di uno in vita vostra. Una persona, o meglio, un giovane uomo o una giovane donna che impiega le sue migliori qualità intellettive per fare zapping e si assume le proprie responsabilità dal divano, denigrando continue e ripetute lamentele dei propri genitori (o tutori) come fossero voci lontane, perse nell’universo.

Questo “esemplare” di gioventù è un vero e proprio fenomeno studiato, con la speranza che non diventi un valore medio.

Alle soglie del XXI secolo il termine fu ufficialmente introdotto nel suo corrispettivo inglese “Neet”, definendo quella fascia di età compresa tra i 16 e i 18 anni che non si impegnava né a livello scolastico né in quello lavorativo. Oggigiorno il Nini supera la maggiore età, protraendosi verso i 30. Lo studio sul Nini si diffuse a macchia d’olio e presto ogni nazione ebbe una documentazione chiara e limpida sul numero di Ninis presenti entro i confini, con tanto di “lettere motivazionali” che hanno definito la loro posizione.

Dietro ad ogni Nini c’è una motivazione, tra le più gettonate abbiamo cause ti natura sociale, l’ozio e, come risultato della National Youth Survey condotto nel 2010, la difficoltà economica unita all’aumento delle tasse. Prime fra tutti le tasse universitarie.

 

Partiamo dalle cose semplici. L’ozio è il migliore amico di quei ragazzi che se volessero potrebbero, ma ahimè non vogliono. Non capita spesso di nascere in una famiglia economicamente agiata, ma quando accade, grande è la tentazione al dare per scontato.

Regola numero 1: campare della rendita di mamma e papà senza alzare un dito. Disinteresse a 360 gradi verso anche solo la minima possibilità di diventare una persona produttiva. Ingratitudine sprezzante verso il lavoro di chi ha costruito il materasso su cui si lasciano cadere ancora e ancora. Spreco è la parola d’ordine. La motivazione persa dentro ad un Martini.

 

Fattore numero due: difficoltà economica e tasse. E qui ne abbiamo quante vuoi, o per lo meno, quante bastano a ridurre in schiavitù famiglie con un reddito borderline. Facendo riferimento all’Italia, si parte dal CANONE RAI, costringendo gli italiani in una sorta di prigione psichica in cui “Visto che la devo pagare almeno la guardo” oppure a sentirsi in colpa per l’abbonamento SKY anche se voluto. Poi passiamo all’IVA che ogni anno è sempre più verde, per arrivare alla TARES che forse è la più oscura di tutte visto che di recente la spazzatura sembra invadere le città meglio degli alieni.

Tra la moltitudine spiccano le tasse universitarie. Essendo di fronte ad un bivio si sa che i beni di prima necessità vanno pagati e il superfluo eliminato. E fu così che l’università per molti diventò off-limits. Allo sconforto di un percorso negato si aggiungono le numerose porte in faccia che questo tipo di Ninis affronta in ambito di lavoro, poiché, privi di laurea, sono incapaci di competere con i loro colleghi dalla corona d’alloro.

 

Giunti alla deriva danno libero sfogo alla Santa rassegnazione. Grazie ad essa forte è la sensazione di essere ad un limite verso il quale vengono spinti molti altri di loro. Ad aggravare il carico vi è una società che li considera come appestati. La conseguenza diretta è la marginalizzazione, ossia allontanare il nocivo, o meglio, l’inutile.

Molti si stancano di lottare e vedono l’emancipazione solo da lontano e con bordi sfocati. Un’influenza sociale così forte sommata ad una crescente vulnerabilità di questi soggetti sfocia a tratti nella criminalità. In questo caso è il “vorrei ma non posso” che grida a gran voce e cerca ogni scappatoia da questo tunnel degli orrori, usando la delinquenza come mezzo per raggiungere ciò che a loro è precluso, protestando al tempo stesso contro un sistema che puntualmente glielo nega.

Arrivando al dunque, abbiamo anche una ragione per cui Nini è diventato il termine per eccellenza nel descrivere questa categoria sociale. Sembra che gli inglesi non possano aggiudicarsi la supremazia linguistica questa volta. Secondo i dati dell’Eurostat degli ultimi anni la Spagna insieme all’America Latina sembra dar man forte a questo fenomeno aggiudicandosi i primi posti.

Tuttavia in Europa sembrano esserci altri due concorrenti per maggior numero di giovani che non studiano e non lavorano. l’Italia nel 2015 ha superato la soglia del 31,1 % seguita dalla fedele compagna Grecia con una percentuale di 26,1. Inutile dire che il Regno Unito si allontana da queste cifre anni luce.

In Europa, attualmente, abbiamo 5 milioni di giovani compresi tra i 20 e i 24 anni che abitano questo limbo, tra chi ci sguazza e chi ne vorrebbe uscire.

 

A fronte di questi risultati, c’è chi ha fatto della generazione Nini una vera e propria scienza.

Ne è un esempio vivente lo psicologo argentino Alejandro Schujman. Si dà il caso che il signor Schujman sia un esperto in materia e che stia portando le sue ricerche a spasso per il mondo.

Nel suo libro “Generación Nini”, egli tenta di dare una risposta a questo fenomeno, o per meglio dire, scatenare un’onda d’urto. Secondo il dottor Schujman una delle possibili vie da percorrere per contrastare il fenomeno è in mano ai genitori. Ad essi è rivolto il suggerimento di prendere coscienza che i giovani non devono in nessun modo contemplare come opzione l’ozio o la rassegnazione. Devono incentivare i figli ad uscire dalla bolla familiare mano a mano, senza permettere che si adagino sui famosi allori. Spesso i genitori della generazione 2k18 non comprendono che i propri figli sono cresciuti in un’epoca in cui tutto si muove alla velocità di un click. Quanti di noi vorrebbero tutto subito. Non sappiamo aspettare, ci peniamo ad aspettare. L’attesa non solo ci logora ma è indice di fallimento. Non abbiamo la pazienza di riprovarci una volta in più, di crederci una volta in più. Al contrario, chi ci ha cresciuto ha una storia completamente diversa. Arrendersi per godere del lusso del Nini non era concesso. Dopo una formazione anche minima c’era il lavoro, doveva esserci per portare il pane a casa.

Non era tutto subito, si andava a tentativi ma non c’era posto per lo scoraggiamento.

 

Nel 2012, Rodolfo Tuirán, sottosegretario dell’Educazione superiore dell’istruzione pubblica messicana e José Luis Ávila, professore della Facoltà di Lettere e Filosofia della UNAM, pubblicarono la la diagnosi del fenomeno in Messico, rivelando possibili strategie per cambiare le carte in tavola.

 

Ciò che emerge dall’analisi condotta è che la condizione insofferente del Nini lo porta a rifiutare lo stile di vita tradizionale fatto di studio e lavoro, lo stesso che li ha esclusi e marginalizzati. Di conseguenza, vi è la maturazione di un disprezzo senza precedenti verso lo sforzo in sé per sé, data la dubbia realizzazione del beneficio.

La politica del rifiuto è a questo punto una determinante che scatena la rivoluzione. La debolezza dei soggetti in questione apre le porte alla violenza, alla criminalità organizzata e ogni scappatoia di sovversione, facendo dei Ninis delle bombe ad orologeria.

Per questo, fondamentale è il ruolo delle politiche pubbliche. La salvezza vien dall’alto.

La gran maggior parte dei giovani è attualmente classificata come studente o persona occupata, ed è un dato di fatto. Dato che non deve fungere da giustificazione per i governi affinché non prendendo provvedimenti di fronte ad un fenomeno che cresce giorno dopo giorno.

Ed è proprio questa la proposta che conclude lo studio di Tuirán e Ávila. Questa è la nota positiva della loro ricerca. La comprensione che un cambiamento è possibile ed è in mano a chi di cambiamenti ne può fare. Lo stato e la società devono riconoscere come priorità l’emergenza giovani. Un codice rosso che se trascurato può portare al degrado, alla regressione.

I suggerimenti a fine studio ammontano a svariate azioni di politica pubblica come maggiori opportunità d’apprendimento aperto e a distanza, programmi di borse di studio e potenziamento di interventi pubblici che collegano la domanda all’offerta di lavoro, facilitando il passaggio tra istruzione e lavoro.

 

A rigor di logica, ogni soluzione ricorre alla re-impostazione. Del sistema ma anche delle menti. Soprattutto delle menti. La popolazione di “sdraiati” ha bisogno di incentivi. Ha bisogno di capire che l’azione è fondamentale e parte da loro, perché il mondo non aspetta nessuno. Non aspetta lamentele inutili tantomeno giustificazioni. Se i giovani sono il futuro, come si sente spesso dire, quel che ci aspetta sarà di certo una sorpresa.