Lasciatemi essere chi voglio essere, lasciatemi essere chi dico di essere. Lasciatemi sbagliare nel mio modo giusto di vedere le cose che poi maturerà al tempo opportuno. Lasciatemi i miei tempi, i miei spazi, che a volte si stringono un po’. Lasciatemi il mio mondo, solitario ma così colorato da far bruciare gli occhi. Lasciatemi, me. È così bello quando a volte riusciamo ad auto convincerci che sì, possiamo far finta che tutto il mondo intorno a noi (ed intendo il mondo di relazioni, più strette o meno) non esista. Ma più che non esistere del tutto, è come se fossimo capaci di pensarlo come in stand-by, un flusso di fiume in pausa, una lancetta dei secondi prima di corsa poi ferma. Le preoccupazioni diminuiscono, la mente sembra più leggera. Che giorno è oggi? Non lo so e mi va bene così. Decidiamo di dedicarci a chi vogliamo, a cose che ci fanno solo bene. Momenti che si allungano e acquistano valore anche se tempo e spazio si stringono. Poco tempo, pochi chi. Eppure, ogni istante scelto diventa una memoria, diventa qualcosa da ricordare per davvero. Come uno di quei racconti che facilmente troveresti in un diario non giornaliero né settimanale, con pagine interamente bianche non segnate da righe ma da lacrime di gioia e di dolore. Pagine ingiallite, angoli consumati. Stringere lo spazio diventa sempre di più un’esigenza involontaria, un bisogno di ricevere emozioni vere. E quando gli occhi si alzano verso il mondo esterno, così carico di foto con finti sorrisi che non diventano ricordi ma solo un post da cui togliere il proprio nome tra un paio d’anni, gli angoli delle labbra si levano leggermente, gustando il piacere di sentirsi nel (piccolo e ristretto) spazio giusto. Il mio mondo mi piace proprio per questa sua caratteristica: capace di stare insieme, amante della solitudine. Quando i rumori del mondo esterno bussano troppo forte, chiudere la porta è facilissimo. No, non voglio starci. No, non sono così. Si, decido io con chi passare questo tempo prezioso. Che sia con me stessa, che sia con chi rientra anche nella nostra più totale solitudine, che sia con il valoroso protagonista di un romanzo… la scelta è solo mia. Eppure, questi momenti si contrappongono a giornate in cui le porte sono spalancate. Il colore non manca mai in realtà, neanche quando la porta è chiusa. Il portone mi piace riverniciarlo ogni stagione, ma anche ad ogni cambiamento di umore. Praticamente, il pennello è sempre a portata di mano. Ma quando le porte sono aperte, sul muro del mondo si dipingono strisce grezze di vernice, stese in modo grossolano e spesso, con qualche colatura; come se qualcuno avesse preso un po’ di vernice nel palmo della mano e l’avesse lanciata contro la parete bianca. Dopo aver gettato i colori contro il muro, alcuni nodi si formano nella lunga chioma dorata del nostro amato mondo solitario. Il flusso del fiume non si ferma, la lancetta dei secondi non smette mai di correre. Ci sono cose che non possiamo rinviare a lungo, cose che non possiamo mettere in stand-by. Soprattutto perché poi sciogliere i nodi fa sempre male, qualsiasi sia il pettine. E allora bisogna occuparsi dei nodi come fiori che, prima di appassire, ci offrono l’ultima opportunità per salvarli. Non ho il pollice verde. Il mio mondo con il mio tempo e i miei spazi mi sembra così perfetto e confortevole. Bisogna davvero dare conto al mondo esterno? Bisogna davvero coltivare tutto e far crescere un rigoglioso giardino? Io dico ancora, a modo mio, no. Voglio un orto, non un giardino, perché i fiori non mi piace guardarli appassire con le mani nelle mani. E questo orto lo voglio all’interno delle mie porte. Questa è la parte più importante: coltivare sì, ma con chi e cosa scelgo di dividere quel tempo speciale, quel tempo che crea ricordi. Voglio dare retta al mondo che mi dà emozioni vere, perché altrimenti le pagine del mio diario ingialliscono senza alcun inchiostro. Dico sì ad un po’ di sana scelta ed egoismo, quel pizzico che serve per farci essere felici: riconoscere ciò che ci fa stare bene. E allora lasciatemi, me. Lasciatemi il mio portone giallo e l’orto delle meraviglie che poi colgo e cucino per tutti, col grembiule bianco macchiato che mi fa sentire un po’ una pittrice. Lasciatemi i colori abbaglianti e la solitudine, il mio paradosso preferito. E se bussate, siate pronti a vivere vere emozioni.
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