Le recenti polemiche sulla campagna del Fertility Day hanno riportato alla luce il problema della fertilità femminile, come se il corpo di una donna fosse una bomba ad orologeria pronta ad esplodere da un momento all’altro, e come se ogni rapporto che non funziona dovesse farci sentire in colpa per non aver trovato ancora il partner ideale, pronto ad aiutarci a mettere su famiglia, perché la nostra data di scadenza è sempre più vicina. Ma l’orologio biologico esiste davvero? Questo termine è stato introdotto dagli scienziati a metà del ‘900 per indicare i ritmi circadiani, ovvero i processi che dicono al nostro corpo quando dovrebbe dormire, svegliarsi e mangiare. Tuttavia, è entrato ben presto a far parte di una storia di scienza, ma anche di sessismo: infatti, è il classico esempio di come una metafora generica per il corpo umano sia stata trasformata in una verità assoluta, esclusivamente però per il corpo femminile. In un periodo di grandi cambiamenti sociali, dove le donne si apprestavano ad entrare nel mondo del lavoro e a vedere i loro diritti riconosciuti, gli stereotipi sulle differenze di genere venivano rafforzati. “Per la donna in carriera le lancette dell’orologio corrono” scriveva Roger Cohen sul Washington Post del 16 marzo del 1976. In men che non si dica, questa espressione sarebbe stata usata per indicare una “naturale” debolezza del corpo femminile, che avrebbe costretto ogni donna in carriera a dover pianificare meticolosamente la sua vita amorosa, se spinta dal desiderio di avere prima o poi una famiglia, mentre l’uomo, libero dall’ossessione dello scorrere del tempo, sarebbe potuto rimanere uno scapolo senza età. Il tutto accompagnato dalla rassegnazione, per chi scegliesse di diventare madre, di rimanere inevitabilmente indietro nella carriera lavorativa, qualora vi fosse stato un uomo con cui competere a livello professionale. Non sono mancate, poi, statistiche fuorvianti: i dati usati per indicare la diminuzione della fertilità femminile spesso si sono basati solo su studi condotti su pazienti che si sono rivolte ad un medico perché non in grado di avere figli. Altri farebbero affidamento a dati vecchi centinaia di anni: si dice quindi alle donne quando avere figli su studi effettuati quando non c’erano gli antibiotici, la luce e la procreazione assistita rimaneva un lontano miraggio. Ovviamente, non si può negare che la fertilità diminuisca con l’età, ma non vuol dire che si diventi sterili, e soprattutto che il problema riguardi solo ed esclusivamente le donne. In un mondo dove vi sono Paesi, come gli U.S.A e il Regno Unito, con più della metà della forza lavoro composta da donne, non sarebbe forse più utile abbandonare l’idea di dover fermare il tempo e iniziare a favorire politiche di sostegno alla maternità per aiutare i problemi che ogni famiglia è costretta ad affrontare quando entrambi i genitori sono inseriti nel mondo del lavoro? L’idea dell’orologio biologico è servita da sempre per far sembrare naturale che il peso della riproduzione ricada inevitabilmente sulle donne. Il messaggio che passa è: se una donna non programma bene la sua vita, rischia (e merita) di rimanere sola e disperata. Questo influisce negativamente sul rapporto uomini-donne, carica di eccessiva responsabilità il sesso femminile e soprattutto distoglie dal riconoscere semplicemente che sì, il corpo delle donne invecchia, ma anche quello degli uomini, e sì, ogni Paese civile dovrebbe garantire delle politiche sociali che possano permettere ad ogni essere umano di avere, se lo desidera, la propria intimità e la propria famiglia con il dovuto rispetto.
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