Requiem

Ovvero dell'amore

Ovvero dell'amore

L’aria fresca del mattino inondava la piazzola del mercato; nel frattempo acquirenti e passeggiatori si aggiravano sotto il primo, tiepido sole. La brezza filava leggera e portava lontano l’odore delle patate appena cavate, quello acre dell’aglio o quello inconfondibile del pesce fresco. Andrea si muoveva svelto fra i più mattinieri e le casse di verdura, fermandosi solo dai commercianti di fiducia. Ogni mattina lo stesso giro, gli stessi orari, la stessa spesa e forse anche gli stessi occhi a scrutarlo, senza che in fondo lo guardassero davvero. In breve ebbe tutto l’occorrente per la cena.

Preoccupato di non essere pronto in tempo, cominciò a pulire e riordinare l’appartamento già lindo; nel primo pomeriggio, la tavola era imbandita; al tramonto, Andrea, dopo essersi lavato e fatto la barba, si annodava la cravatta davanti allo specchio. Diede un rapido sguardo alla casa, trovandola perfetta. Si sedette infine sul divano e iniziò a fissare l’orologio.

Lei era molto puntuale: le lancette scoccavano le otto quando Andrea sentì un rumore di tacchi che salivano le scale. Nonostante la preparazione psicologica, si agitò, combattuto fra l’impulso di correre ad aprire e le buone maniere, che imponevano di attendere il suono del campanello. Udito il tintinnio, Andrea si precipitò ad aprire.

“Ciao papà!” esclamò la ragazza sulla soglia.

“Ciao Chiara, prego entra”.

Tutti i parenti dicevano che Chiara non assomigliava molto al padre e, vedendola crescere, anche Andrea se ne convinse. Le appese la giacca e la fece accomodare a tavola, curandosi di scostare la sedia per farla sedere.

“Com’è andato il volo?” chiese Andrea.

“Tutto bene grazie, l’unico problema è stato arrivare all’aeroporto. Un traffico immane”.

“Non potrei mai abitare in una città grande come Londra. Con John, tutto bene?”.

“Direi proprio di sì. I primi problemi di convivenza sono superati, e lui ha ottenuto un aumento” rispose Chiara, mentre Andrea serviva lo sformato di verdure e un calice di vino.

“E tu papà, come passi le tue giornate?” domandò la ragazza.

“Beh, solita vita da pensionato. Niente di nuovo sotto il sole. L’unica cosa che faccio davvero è ingrigire”.

“Hai solo settant’anni, non lo sai che è la nuova gioventù?” Rise Chiara.

“Oh bene, allora domani andrò a comprarmi dei pattini e ci farò un giro”.

“I pattini si usavano negli anni ottanta papà”.

“Hai detto che dovevo tornare giovane, non hai specificato quale giovinezza”.

Trascorsero buona parte della serata discorrendo della vita di Chiara a Londra e del suo lavoro, o delle stranezze dei vecchi amici di Andrea. Nel frattempo gustavano la cena e Chiara elogiò più volte la cucina del padre, che non era mai stato bravo a fingersi modesto. La sala comunicava con la cucina ed era illuminata da una luce soffusa, quasi lunare. La condensa sul vetro delle finestre era solcata da piccole goccioline d’acqua; queste s’intrecciavano a formare gocce più grandi, o scendevano rapide senza incontrarsi. Nell’appartamento di Andrea i colori sembravano rispondersi da una stanza all’altra, grazie a precise simmetrie e accostamenti. Le foto erano sistemate in ordine di tempo, gli ammennicoli disposti dal più piccolo al più grande e i mobili ad angolo retto fra loro.  Una maschera tribale africana appesa al muro e un kriss malese dal pamor damascato creavano un piacevole contrasto con un arredamento tutto sommato classicheggiante e rendevano più accogliente la casa.

“Qualche giorno fa sono stata in quel locale che ti dicevo al telefono l’altra volta -disse Chiara- e c’era un tizio all’ingresso che era identico e spiccicato a Ryan Gosling. Jasmine per poco non si beccava un ordine restrittivo da un perfetto sconosciuto”.

“Chi è Ryan Gosling?” rispose Andrea storpiando la pronuncia del cognome.

“Lascia stare papà, tu sei rimasto a Marlon Brando e Maria Schneider”.

Andrea nel frattempo raccoglieva i piatti sporchi per portarli nel lavello e, come talvolta accade, le parole uscirono dalla bocca di Chiara senza passare per il cervello. Dicono che quelle sono le parole migliori, perché vengono dal cuore, lo stomaco o da altre interiora, ma la gente dice troppe cose senza farle passare prima per il cervello.

Ovvero dell'amore

“Perché non mi racconti come vi siete conosciuti tu e la mamma?” esclamò.

“Come mai ti è venuta voglia di saperlo?” rispose Andrea vagamente incupito.

“Non me l’hai mai detto, sono curiosa”.

Il padre lasciò perdere i piatti e tornò a sedersi di fronte alla figlia. Chiuse un istante gli occhi e prese un lungo, profondo respiro.

“Portava una giacca di jeans -disse- e delle scarpette basse, i capelli castani raccolti in una lunga treccia e masticava una gomma americana. Sembrava una delle tante spocchiose che aspettavano il tram. Non so perché ma sono andato a sedermi nell’unico posto libero vicino al suo. Non era troppo alta, né troppo magra; mi sentivo a mio agio standole a fianco, perché neppure io ero mai stato qualcosa di preciso. Dopo due o tre fermate iniziò a parlarmi e se ne uscì con una memorabile recensione di “Singin’ in the rain”. Dio quanto parlava! E quando parlava troppo le si coloravano le guance. Scendemmo alla stessa fermata, solo che io non dovevo scendere lì, e lei neppure”.

“Dovevate essere proprio due teste calde” sorrise Chiara. “Ricordo che da piccola mi avevi fatto vedere una foto in cui tu e la mamma eravate in barca a vela”.

“Ce la scattò un certo George, al largo delle coste di Bequia. Tua madre quel giorno non la smetteva di ridere. Rideva per qualsiasi cosa. Non l’avevo mai vista così felice, e così bella. Il sole chiudeva i suoi verdissimi occhi -disse Andrea carezzando l’aria come per accarezzare i ricordi- e quando si passava la mano nei capelli, tutti i braccialetti che aveva facevano un rumore particolare, come quando si accende un fiammifero. Ma prendi con le pinze tutto quello che ti racconto, negli anni ci ho ricamato sopra; di noi due ero io quello romantico” concluse con un filo di voce.

Pur non dubitando delle parole del padre, Chiara insisteva a picchiettarsi il ginocchio ed era visibilmente turbata. “Io non potrò mai ringraziarti abbastanza per quello che hai fatto per me: mi hai cresciuta da solo, mi hai dato tutte le possibilità. Sei un buon padre. Però da come ne parli, tu e la mamma vi siete amati davvero, allora perché qui non c’è una sua foto, perché non sei mai andato al cimitero, perché non sei venuto neppure il giorno del funerale?”.

Andrea non si scompose: aspettava quella domanda da sempre.

“L’hai appena detto: tua madre l’ho amata, e l’amo ancora. Sai cosa si deve fare quando due conigli hanno vissuto sempre insieme e uno dei due muore? Bisogna lasciare il coniglio morto vicino a quello vivo, fino a che non si accorgerà che l’altro non c’è più. Solo allora si può seppellire quello morto” rispose Andrea.

“Che cosa vuoi dire?”.

“Non ho mai seppellito tua madre, per me non è mai morta. Avere intorno sue fotografie, o qualsiasi cosa che me la ricordi non farebbe altro che ucciderla di nuovo, nell’unico posto in cui vive ancora”.

La ragazza rimase lungamente in silenzio.

“Scusa papà” disse poi sottovoce.

“Non preoccuparti Chiara. Forza, mangiamoci una fetta di dolce” rispose Andrea.

“Un’ultima cosa. Quando ti fece chiamare nella sua stanza, prima di morire in ospedale, cosa ti ha detto?” domandò Chiara stropicciando il tovagliolo.

Negli occhi del padre, la figlia vide passare come un’ombra scura. Un buio che durò poco, presto sopraffatto dall’affetto con cui l’uomo guardava sempre Chiara.

“Disse che mi amava e che dovevo prendermi cura di te, poi mi strinse la mano e poi la macchina a cui l’avevano attaccata iniziò a suonare… Beh, lo sai cosa è successo dopo” concluse Andrea. La ragazza capì che il tempo della memoria era finito.

La serata volse al termine. Chiara abbracciò forte il padre e, nel chiudere l’uscio, fece pianissimo.

 

Fuori il cielo notturno era limpido e stellato. L’uomo stava ultimando la pulizia dei fornelli, quando sentì una voce acuta e leggera. Dietro di lui, sulla poltrona cenere, sedeva una donna magra, con le scarpette basse e i capelli castani raccolti in una lunga treccia.

“Grazie per non averle detto la verità”, disse la donna.

“Che senso avrebbe farle del male ora come ora” rispose Andrea.

“Chiara aveva ragione, sei stato un buon padre”.

“Le ho semplicemente voluto bene”.

“Hai fatto molto di più. Hai reso mia figlia felice e lo hai fatto scegliendolo, scegliendo di essere suo padre. Te ne sei mai pentito?”.

“Mai -e aggiunse- Chiara non t’assomiglia tanto, deve aver ripreso dal padre”.

La donna prese a guardare con gli occhi grandi il bianco del soffitto e notò che delle piccole crepe, appena visibili, disegnavano i contorni di un cipresso.

“Potrai perdonarmi un giorno?” chiese.

Andrea la guardò un’ultima volta, poi spense la luce e andò a dormire.