Scrivo per dar sfogo ai miei pensieri. Scrivo per trasmettere i miei sentimenti. Scrivo per lasciare traccia di me. Un po’ come credo facciano i pittori o gli scultori con la loro arte: lasciano traccia. Ed oltre a far questo- e oltre a diventare immortali perché ricordati attraverso le loro opere- trasmettono sentimenti individuali e/o collettivi, l’etica e i costumi di un’epoca, rilasciano informazioni. Per me scrivere rappresenta una forma di arte per coloro i quali non sono stati dotati da madre natura del dono di saper disegnare, un dono che ammiro tantissimo e che coltiverei volentieri, se fosse in mio possesso. Lenisco questa mancanza attraverso la scrittura che proviene da me e che, talvolta, si concretizza in pochi miei versi dal sapore ermetico. Lenisco la mia personale mancanza di abilità nelle arti visive anche grazie alla scrittura che nasce per mano di altri. S. King insieme al suo “IT” mi ha insegnato che il sentimento, se vero, non può essere spazzato né dal tempo, né dall’oblio. “Notre Dame de Paris” di V. Hugo mi ha permesso di vedere quanto la scrittura contenuta in un volume sia dotata del potere dell’ubiquità: un volume ristampato si trova contemporaneamente in posti lontani, in mano a persone che probabilmente non si conosceranno mai. “Il ritratto di Dorian Gray” di O. Wilde mi ha abbacinata con il potere della bellezza in tutte le sue forme e mi ha sedotta con un moralismo riprovevole quanto lecito. Come non menzionare “Se questo è un uomo” di P. Levi, testimonianza diretta di atrocità che le generazioni, giorno dopo giorno, dimenticano. Come non riconoscere nei libri come questo la pena per crudeltà passate ancora vive nella memoria di chi le ha sentite sulla propria pelle; un auspicio per un futuro migliore. È una forte volontà a parlare, per impedire che la memoria cada nella dimenticanza. La scrittura, dunque, si rivela un filo rosso che connette le persone di ogni generazione, qualora la gente si sforzi di utilizzare tale strumento secondo il ruolo a cui esso è preposto: il compito di trasmettere ed unire. Leggere la scrittura di altri consente di diventare gli altri e permette di non focalizzarsi solo su se stessi, sul proprio stile di vita, sulla propria maniera di pensare. Mi dona gli strumenti per abbattere i pregiudizi. Scrivere espande i miei orizzonti. Scrivere è conoscenza. Scrivere è punto di aggregazione. Scrivere mi rende creativa: concretizzo su carta mondi che IO creo e che prendono vita dalla MIA scrittura creativa; la scrittura scientifica, invece, mi permette di sintetizzare anni di ricerca indefessa in poche pagine. Scrivere è, a mio avviso, espressione della migliore versione di sé e si esplica nella maniera che più aggrada l’autore; permette di selezionare il registro linguistico che lo scrittore ritiene consono sia a se stesso, sia al pubblico deputato all’ascolto. Scrivere consente di ottenere il gradimento delle persone che la pensano alla stessa maniera e la critica di coloro che hanno opinioni distanti o divergenti: utilizzando una scrittura appropriata e rispettosa della libertà di pensiero altrui, la critica costruttiva giammai lederà la sensibilità di un autore che, prima di essere tale, è un essere pensante dotato di sensibilità. Per questo motivo ritengo che la scrittura sia, inoltre, opportunità di mutua crescita anche nella consapevolezza della propria libertà di espressione e nella fondatezza delle proprie idee, mai dimenticando che i limiti di esse si riscontrano nella affermazione dell’opinione altrui. Il punto di unione tra diverse persone e pensieri risiede nella reciproca considerazione e tolleranza. Il mio giudizio finale sul ruolo della scrittura non può che rivelarsi altamente positivo: la scrittura è lo specchio dell’animo umano in tutte le sue mutevoli forme e in tutte le sue cangianti espressioni. Ritengo che scrivere sia necessità antropologica, quadrifarmaco per l’animo accorato e – dulcis in fundo – opportunità per esternare la più grande felicità.