Era il 5 luglio del 2014. Sensazioni opposte animavano il rettangolo verde dell’Estádio Nacional Mané Garrincha: da un lato l’Argentina festeggiava l’accesso alla semifinale di un Mondiale che l’avrebbe vista, dopo tempo, vera protagonista di una competizione iridata, costretta ad arrendersi solo ai colpi dei Panzer teutonici. Dall’altro lato dei Diavoli Rossi ammaccati, in lacrime, eliminati ma ancora a testa altissima, applaudivano i propri sostenitori che li avevano raggiunti e sostenuti fino a li. In quel momento, qualche giorno la mia “profezia” sul Cile Campione d’America popola sconfitta ai rigori col Brasile, nella mia testa balenò un pensiero: quello che quell’eliminazione potesse essere l’inizio di una bella storia di Calcio per una Nazione ed una Nazionale che da tempo lavoravano sotto traccia per crescere davvero ed arrivare al vertice, il tutto guidato da un mediocre ex giocatore delle serie minori belghe. Questo anziano signore di nome Michel Sablon, pare essere l’artefice principale di una rinascita partita da lontano, addirittura dalla disfatta europea casalinga del 2000. Dopo quell’umiliazione la Federazione Calcistica Belga decise che era arrivato il momento di voltare pagina e di intraprendere una profonda riforma, a partire dai settori giovanili fino alla Nazionale. La prima mossa di Sablon fu di investire gli utili dell’organizzazione dell’Europeo in nuove strutture in cui la Federazione potesse formare i tecnici e gli allenatori del futuro. Approcciò in maniera analitica il lavoro dei settori giovanili arrivando alla conclusione che il gioco non permetteva il miglioramento dal punto di vista tecnico. Si arrivò alla stampa e alla distribuzione nei vari centri tecnici e nelle scuole calcio di un voluminoso opuscolo, “La vision de formation”. Un decalogo che Sablon iniziò a distribuire dal 2006 che permetteva il miglioramento delle abilità tecniche dei giovani calciatori e l’introduzione di un sistema di gioco uniforme fino alla Primavera: il 4-3-3. L’importante non era vincere tutte le partite, l’importante a quell’età “è lo sviluppo e l’identità di un giocatore. Sapevamo che il nostro obiettivo era già utopico dall’inizio: creare squadre in grado di mantenere il controllo della partita, il 100% di possesso palla”. Il tutto sintetizzato dall’acronimo G – A – G, nel quale si nasconde l’adesione a diverse scuole di pensiero calcistico. La prima G, sta per Globale e, come spiega lo stesso Sablon, richiama ai principi della Scuola Olandese: predominio della tecnica, gioco a zona e divertimento come fine ultimo. La A, sta per Analitico e richiama ai valori della Scuola di pensiero Francese, che portò al duplice trionfo Mondiale ed Europeo del ’98 e del 2000, ovvero rispetto del multiculturalismo dello spogliatoio, forza fisica e disciplina tattica. Con la seconda G, invece, si ritorna al Globale, cioè alla “sintesi del meglio che hanno da offrire le Scuole Olandese e Francese per poi riproporle al mondo in salsa belga”, per citare l’artefice del progetto. Non a caso quella Francese e quella Olandese sono le due componenti principali della società belga, come a testimoniare che in caso di riuscita di sintesi tra le due scuole di pensiero e di vita il Belgio potrebbe essere “più di un piccolo mosaico di lingue e territori nel cuore dell’Europa”, come ha dichiarato di recente Vermaelen in un’intervista al mensile Francese So Foot. Si può stare a discutere per ore se effettivamente Michel Sablon sia un visionario che ha compiuto un miracolo o se sia tutto frutto del caso e della fortuna. Ciò che è certo è che il Belgio è in netta crescita grazie a questa sintesi tra Globale ed Analitico, questo sincretismo di culture provenienti dai quattro angoli del globo e che ha portato lo spogliatoio Belga ad essere un alveolo di lingue, usi e costumi che, se sfruttati nella maniera migliore dal CT Marc Wilmots, possono essere l’arma in più di una Nazionale giovane e dannatamente talentuosa. Una Nazionale, ahinoi, che potrebbe dare del filo da torcere a chiunque a partire dai gironi, dove noi stessi la incontreremo. Forse l’unica pecca potrebbe essere l’inesperienza, anche se quella eliminazione contro l’Argentina dalla quale questo breve viaggio è partito, di esperienza nei bagagli dei giovanissimi ed altrettanto talentuosi calciatori belgi ha lasciato, e vedremo se sarà bastata solo quella a far alzare l’asticella a Kompany, Hazard, Nainggolan, Witsel, Lukaku e compagni. La parte mancante di quel pensiero che balenò nella mia testa il 5 di Luglio di due anni fa, però, è che il Belgio al prossimo Europeo sarebbe arrivato in Finale. E che, incroci permettendo, avrebbe affrontato la Francia padrona di casa di Pogba, in una delle finali più giovani della storia del Calcio Europeo. Questo è solo un pensiero, un’idea, un pronostico, una follia passeggera che probabilmente non si avvererà mai. Ma per caso qualcuno di voi ricorda quale squadra ha vinto l’ultima Copa America?
Calcio and Sport11 marzo 2016 Belgio: Diavoli Rossi tra presente e futuro Il percorso di crescita del Belgio, dalla disfatta del 2000 al primo posto nel ranking FIFA