L’addio di Trump ad UNESCO: accuse di “anti-Istraelian bias”

UNESCO

Correva l’anno 1945 quando la potenza statunitense firmava la costituzione dell’UNESCO. Una firma che comportò un’erogazione di finanziamenti pari quasi a 83 milioni e mezzo di dollari l’anno. Tuttavia queste cifre a 5 zeri sono negate all’UNESCO da ben sei anni, un finanziamento bloccato che oggi sfiora un debito di 500 milioni.

Debiti saldati o meno, sono altre le ragioni che hanno portato il Presidente Donald Trump alla decisione di lasciare l’organizzazione.

Ebbene sì, la storia si ripete dopo circa 40 anni dal primo tentativo di Ronald Reagan. In questo caso la miccia ha iniziato a bruciare nel 2011, quando la Palestina è ufficialmente diventata un paese membro. Da quel momento la relazione tra l’istituzione internazionale culturale e gli USA si è incrinata.

Nel Luglio 2017, Unesco dichiara la Città Vecchia di Hebron e la Terra dei Patriarchi ,“siti Palestinesi” del Patrimonio mondiale. In allegato a tal definizione troviamo “in pericolo”, alludendo maliziosamente alla vicinanza con Israele.

Apriti cielo.

L’indignazione degli Israeliani si accompagnò a nuovi sentimenti di ostilità, condivisi con il potente alleato statunitense che osservava amareggiato dalle retrovie.

Il legame polito-economico tra USA e Israele ha radici profonde, non per altro già durante la presidenza di Abram Lincoln si avviarono i primi movimenti sionisti volti a riconoscere una patria per gli ebrei, appoggiati dal presidente stesso. Un vero e proprio “sogno condiviso da molti americani” a detta di Lincoln.

Israele era una nazione amica in un campo minato, un fattore che si rivelò fondamentale durante la Guerra Fredda, quando gli Israeliani elargirono un po’ più di qualche informazione sull’armamentario Sovietico, unito in accordo con le vicine Siria ed Egitto.

La svolta arrivò dopo l’11 settembre 2001, quando la questione musulmana diventò un tabù per gli Stati Uniti:  un argomento impensabile che non poteva prendere forma nemmeno mentalmente, tanta era la paura, tanta era la rabbia.

In quel frangente Israele rimase l’unico stato non-musulmano in quella zolla terrestre.

Nel frattempo, Hamas e Israele si impegnavano da anni in una politica di (auto)distruzione in una “striscia” di arena diventata ormai un’ecatombe, fin quando nel 2008 la man forte israeliana ideò l’operazione Piombo Fuso al fine di terminare questa guerra. A seguito di una presa di posizione troppo marcata, le Nazioni Unite dichiararono che Israele aveva violato i diritti umani del popolo palestinese. Ancora una volta gli Stati Uniti difesero la causa israeliana.

Arrivando ai giorni nostri, l’America accusa l’UNESCO di “anti-Israelian bias”, un attacco pungente rilasciato dall’amministrazione di Trump. Quest’ultima è stata attenta a precisare che la decisione non è avvenuta “nottetempo”, bensì è la reazione ad un sentimento di delusione già ben radicato negli animi della popolazione.

L’acronimo UNESCO sta per “Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura”, un’istituzione che dovrebbe vantare una maturità culturale tale da non lasciare spazio a pregiudizi. A questo proposito è evidente come la potenza americana non sia troppo d’accordo, riconoscendo che forse a renderci uniti c’è solo un’ipocrisia fondante.

Nonostante ciò, l’obbiettivo primo dell’organizzazione continua ad essere un quid fondamentale nella linea politica statunitense, pertanto la confederazione continua ad impegnarsi come “stato osservatore” abbandonando la membership, ma mettendo a disposizione competenze consultive.

Quello compiuto degli Stati Uniti in data 12 Ottobre 2017 è un grande passo- forse addirittura troppo grande- che indica però una forte determinazione a procedere secondo la linea isolazionista da sempre preferita dalla nuova amministrazione.

Questa è solo l’ultima mossa (per ora) di una lunga serie, che potrebbe portare gli Stati Uniti a distaccarsi pesantemente dalla politica filo-liberale adottata dalla maggior parte degli stati a livello mondiale, e che, non bisogna escluderlo, potrebbe portare alla nascita di movimenti più radicalizzati e soprattutto basati su principi completamente diversi da quelli con cui vennero fondate istituzioni come le Nazioni Unite.