POPULISMO E DEMOCRAZIA – DA RAPPRESENTANZA A RAPPRESENTAZIONE (PARTE I)

Articolo Originariamente presente su Universitarianweb.com

La seconda parte dell’articolo è disponibile qui

Introduzione

Il populismo è una categoria che sempre più viene usato dai media e nel linguaggio quotidiano per descrivere fenomeni sociali e politici della più varia natura. In questa sede si vorrebbe proporre un approfondimento sulla tematica per colorare la parola di un significato più articolato, passando dalla definizione di “populismo”, fino ad individuarne le possibili cause ed eventuali contromisure nel contesto del nostro attuale sistema democratico.

Più nel dettaglio, si procederà individuando il problema ed il metodo seguito (Par 1), dando una definizione minimale di populismo (Par 2), valutando, poi, il concetto all’interno delle democrazie rappresentative liberiste[1] (Par 3) e traendo, infine, personali conclusioni (Par 4).

Problema e metodo

La tematica proposta è di difficile trattazione e coinvolgerebbe un ventaglio troppo vasto di ambiti. È opportuno, pertanto, fin da subito circoscriverne l’indagine. In questa sede si vuole trattare del populismo come forma di risposta politica all’interno della cornice della democrazia rappresentativa liberista, un modello che, ritengo, sia affermato e si stia affermando nelle democrazie occidentali (inclusa l’Italia). Non si tratterà pertanto del populismo in generale, ma del populismo in ambito politico e più nel dettaglio nel sistema politico democratico (un approccio, quindi, piuttosto ristretto, dal momento che il populismo è tendenzialmente accostato a sistemi autoritari di governo o comunque non democratici).

Più direttamente, il quesito a cui si vuole rispondere con questo brevissimo saggio è: che cos’è il populismo? Da cosa scaturisce nei sistemi democratici? Come valutare il fenomeno o porvi rimedio?

Per quanto concerne il metodo, si vuol procedere su due direttive: da un lato si valuta opportuno ricercare una dimensione di ”avalutatività” e, per quanto possibile, “eliminare quell’universo del pressappoco in cui si insinuano più facilmente le valutazioni personali” (Bobbio)[2]; dall’altro, a fronte di una dimensione descrittiva dei fenomeni, accostare valutazioni personali che possano essere indice dell’orizzonte di significati in cui lo scritto è immerso. La ricerca di oggettività implica anche il tentativo di individuare il salto che passa fra l’incontrare dati ed interpretarli: è davvero difficilmente concepibile l’idea di avere a che fare con dati senza interpretarli, non fosse che per la scelta e per l’ordine di esposizione degli stessi. A mio avviso, la completezza di una ricerca passa dal sapere accostare parte descrittiva e valutativa con armonia, piuttosto che nel fornire dati atoni al lettore.

Nella definizione di populismo si terrà conto della metodologia proposta da Cotta, Porta e Morlino in Scienza Politica[3]. Non mi soffermerò sulla chiarificazione di termini se non in quanto indispensabile al fine dello sviluppo logico dell’argomentazione.

Il concetto di “populismo”

Per quanto a chiunque sia capitato di parlare di populismo, tale concetto si presenta quanto mai frammentario, tant’è che, nel discorso politico, Peter Wiles ha affermato: “a ognuno la sua definizione di populismo, a seconda del suo approccio e interessi di ricerca”, a sottolineare come si possa rimandare a più referenti empirici con lo stesso vocabolo. In questo paragrafo, mi concentrerò sia sulla connotazione del termine (i.e. le dimensioni e caratteristiche essenziali), sia sulla sua denotazione (ossia sull’estensione empirica posseduta dal concetto esaminato). In particolar modo, qui si cercherà di trovare una connotazione minimale di populismo, in modo tale da concedergli la più ampia denotazione possibile.

Per dare un “ancoraggio storico” a questo termine, è possibile partire dalla sua radice linguistica: esso viene usato inizialmente per riferirsi ad un movimento culturale e politico sviluppatosi in Russia (traduzione russa народничество “narodničestvo”) a cavallo fra Ottocento e Novecento che si proponeva di raggiungere un miglioramento delle condizioni di vita delle classi più povere sulla base della realizzazione di una sorta di socialismo rurale, attraverso, ed è qui l’aspetto rilevante, un’”attività di propaganda e proselitismo” svolta dagli intellettuali nei confronti del popolo[4]. Per estensione, in ambito politico (si tralasciano le accezioni artistico-letterarie), ci si riferisce con “populismo” a programmi politici demagogici che esaltano il popolo in modo velleitario, come attraverso un presunto[5] rapporto diretto fra un capo carismatico e le masse.

Così inteso, è possibile riscontrare il populismo per la prima volta nell’età contemporanea in occidente[6] nel periodo napoleonico, secondo l’interpretazione di Gustave Le Bon. Infatti, scrive Bernardo Paci nel suo articolo Populismo – un’analisi minimale[7], Napoleone fu “il primo capo politico a dar vita ad una mobilitazione permanente delle masse popolari attraverso il cui consenso fornire sostegno e vera e propria difesa al proprio potere, laddove in precedenza le classi dominanti avevano sempre tentato piuttosto di mantenere le popolazioni nella passività e nel disinteresse nei confronti della politica”.

Caratteristica del populismo, ancora, è spesso quella di rivendicare la comunanza fra leader e popolo enfatizzando la distanza con le élites: ripropone, cioè, lo schema per cui la società è omogenea e indivisibile e il regale (le élites) si contrappone al popolo (Sorice). Il leader, quindi, si propone come colui che è in grado di ricomporre ad unità la società.

Condenserei il concetto di populismo in: “dare risposte semplici a problemi complessi con metodi emozionali”. Non è una semplice individuazione di agenti patogeni fuori dal sistema dei problemi sistemici che si vivono (e.g. l’individuazione di un nemico che mina le basi della società o i propri interessi, gli ebrei per il Nazismo, la classe politica dei partiti tradizionali per Grillo, i comunisti per Berlusconi etc.), quasi che la società fosse “un corpo in sé perfetto” (Paci), ma anche sviluppare un discorso critico su elementi strutturali in maniera meccanica invece che organicistica (come in una macchina, appunto, cambiando un pezzo ritorna a funzionare come dovrebbe). Altra tendenza populista è quella di identificare i mali della società come patologici al sistema e mai fisiologici, quasi che i soggetti stessi ne ponessero secondo la propria libera volontà. Come osserva acutamente Paci[8], l’esperienza populista non è mera illogicità (per quanto faccia parte della comunicazione propria del populismo parlare al “basso ventre” del popolo) ma ha una logica a sé stante, che individua in determinati attori liberi e coscienti la responsabilità per i mali di una società, in una “dimensione fantastica” che a volte porta ad individuare responsabili non soltanto senza individuarne le colpe specifiche, ma addirittura senza provarne l’esistenza (e.g. teorie del complotto).

Arnaldo Mitola

1]Si sceglie il vocabolo “liberista” e non “liberale” di proposito.

[2]M. COTTA, D. DELLA PORTA, L. MORLINO, Scienza Politica, Il Mulino, Bologna, 2001, p. 36.

[3]Id. p. 39 ss.

[4]http://www.treccani.it/vocabolario/populismo/, come disponibile 20-05-15.

[5] Scrivo “presunto” in quanto questo tipo di rapporti non ha carattere realmente diretto: il cittadino che inneggia al leader carismatico non lo conosce. Per fare un paragone col mondo dello spettacolo (in un parallelismo con la sfera politica per i motivi che vedremo più avanti), la massaia che si rivolge confidenzialmente a “la Maria”, intendendo Maria De Filippi, non è che vittima di una ”illusione della ragione”.

[6]Come detto sopra, non ci si interessa qui del fenomeno in culture estranee a quella occidentale, né alla civiltà Romana.

[7]http://universitarianweb.com/2014/11/12/populismo-unanalisi-minimale/, come disponibile 20-05-15.

[8]Id.