Ludovica Ferrari – 360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it Sun, 18 Feb 2018 20:38:03 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.8.2 http://www.360giornaleluiss.it/wordpress/wp-content/uploads/2017/02/cropped-300px-32x32.png Ludovica Ferrari – 360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it 32 32 97588499 Attacco a Save The Children in Afghanistan http://www.360giornaleluiss.it/savethechildren-attacco-jalalabad/ Wed, 24 Jan 2018 10:00:22 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=9148 Afghanistan, 24 Gennaio- Quest’oggi, alle ore 9 locali (5.30 italiane), a Jalalabad City è stata attaccata la sede dell’ONG “Save The Children”, che, basata a Londra, da oltre novant’anni si occupa di aiutare i bambini in paesi devastati da guerre, insurrezioni e calamità naturali. In Afghanistan, la situazione è sempre più grave, e gli attacchi sempre

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Afghanistan, 24 Gennaio- Quest’oggi, alle ore 9 locali (5.30 italiane), a Jalalabad City è stata attaccata la sede dell’ONG “Save The Children”, che, basata a Londra, da oltre novant’anni si occupa di aiutare i bambini in paesi devastati da guerre, insurrezioni e calamità naturali.

In Afghanistan, la situazione è sempre più grave, e gli attacchi sempre più frequenti. Basti ricordare l’attacco kamikaze al Tabyan Media Center il 28 Dicembre dello scorso anno, dove le vittime furono 40, tutti civili, e ancora, quello più recente, di soli quattro giorni fa, all’Hotel Intercontinental di Kabul, un attacco da parte di un kamikaze e quattro uomini armati che durò ben 17 ore e che fece 43 vittime.

Quello di oggi è solo l’ultimo di una lunga serie di attacchi che hanno prodotto un elevato numero di vittime civili, ma tra questo e quelli precedenti vi è una sostanziale differenza, infatti, mentre gli altri due attacchi sopra citati sono stati reclamati dall’Isis, in questa occasione l’Emirato Islamico ha, forse onestamente, dichiarato di non aver nulla a che vedere con gli eventi riportati.

Sino ad ora sono due i morti e undici i feriti, ma il bilancio potrebbe crescere, infatti, nonostante la zona sia stata prontamente evacuata, all’interno dell’edificio stesso i militanti sono riusciti a prendere degli ostaggi e si trovano momentaneamente trincerati ai piani alti dell’edificio. Come anche in altre occasioni, per garantirsi l’accesso, gli attaccanti hanno utilizzato un kamikaze, per poi entrare e diffondere il panico. Un testimone- Mohammad Amin- ha raccontato di essere riuscito a fuggire saltando da una finestra, ma prima che ciò accadesse è riuscito a vedere un uomo, all’entrata dell’edificio, che si faceva strada con un lanciarazzi.

Nell’area colpita questa mattina non vi è solo la sede di Save The Children, infatti in vicinanza risiedono anche altre ONG e Uffici Governativi, il che rende possibile pensare che l’agenzia britannica non fosse il sito di interesse, ma essendo l’edificio ancora sotto assedio, le notizie rimangono incerte, come anche il numero di vittime.

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Leggere tra le righe- Le “riforme” dell’Arabia Saudita e le loro controversie http://www.360giornaleluiss.it/8875-2/ Wed, 27 Sep 2017 11:22:45 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8875 Ieri, Re Salman, dell’Arabia Saudita ha sollevato il “ban” che vedeva l’Arabia Saudita come unico paese al mondo a proibire alle donne di poter conseguire la patente di guida. Non vi è alcun bisogno di dire quanto questa notizia abbia sollevato l’umore internazionale. Infatti, dopo notizie sempre meno incoraggianti che vedono la Corea del Nord

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Ieri, Re Salman, dell’Arabia Saudita ha sollevato il “ban” che vedeva l’Arabia Saudita come unico paese al mondo a proibire alle donne di poter conseguire la patente di guida. Non vi è alcun bisogno di dire quanto questa notizia abbia sollevato l’umore internazionale. Infatti, dopo notizie sempre meno incoraggianti che vedono la Corea del Nord come antagonista mondiale della democrazia, questa riforma si presenta non solo come un grande passo verso la parità dei generi anche nei paesi islamici, ma soprattutto come un incoraggiante passo verso la democratizzazione di quei paesi che fino a pochi anni fa sentivamo come culturalmente opposti, specialmente per il loro livello di disparità di genere.

Nel caso specifico, l’Arabia Saudita ha iniziato soltanto 10 anni fa ad apportare delle riforme che precedentemente erano state ritenute impensabili, e la possibilità di avere la patente di guida è solo l’ultima di una lunga serie.

Questo è ciò che oggi ci dicono i giornali, dalla BBC alla CNN, al New York Times; si parla di “positive step towards promoting women’s rights”, “great step in the right direction” e “right culmination after years of activism”, ma come ogni notizia, anche questa è “double-sided” e a noi viene data a vedere solo la sua parte migliore, la più rassicurante, nonché quella che meglio promuove l’immagine di questo paese che era rimasto l’ultimo al mondo a non permettere alle donne di guidare un mezzo autonomamente.

Ma le testate giornalistiche, forse sottovalutando le parole di chi parla, forse coscienziosamente tentando di celare la verità più scoraggiante, riportano tra le righe una citazione proveniente direttamente dal testo redatto dal Re, che riferendosi alla nuova legge, sottolinea come essa dovrà “essere applicata aderendo agli standard specifici della Shariah”. Nessuno ci spiega cosa esattamente questa frase voglia significare, e anche ricercando più specificamente su internet, non viene reso chiaro come la Shariah possa limitare la nuova legge. Quindi, per valutare quali potrebbero essere le effettive conseguenze di questa improvvisa riforma che rappresenta un effettivo passo verso la parità di genere, ho deciso di analizzare l’impatto che le riforme precedenti, sempre di stampo democratico, hanno avuto sulla popolazione femminile nel corso degli anni.

Un esempio piuttosto lampante viene dal diritto di voto concesso alle donne tramite decreto nel 2011 e venuto a compiersi con la prima effettiva consultazione a suffragio universale nel 2015. Secondo il decreto promulgato dal Re Abdullah bin-Abdelaziz, le donne non solo avrebbero potuto votare, ma anche essere elette nei Consigli Comunali. La verità dei fatti è però ben diversa da ciò che pensavamo quando abbiamo esultato alla notizia dell’estensione del diritto di voto e di elezione. Infatti, come ogni legge, anche questa ha dovuto “essere applicata aderendo agli standard specifici della Shariah”, il che vuol dire che non è stato possibile usare le foto delle donne per la campagna elettorale, che alle candidate è stato impedito di parlare ad un pubblico misto, che una separazione totale dei sessi è stata imposta durante la campagna elettorale e soprattutto, che molto donne hanno dovuto affrontare molteplici ostacoli connessi al “male guardianship system” quando sono andate a votare. Infatti, per poter votare bisogna avere la cittadinanza e una residenza, ed entrambi i requisiti sono contenuti in documenti che una donna non ha diritto di custodire per se stessa. Le case, come anche gli oggetti mobili e immobili non vengono intestate alle donne, e tutto ciò che le riguarda viene amministrato dall’uomo che ne detiene la custodia. Questo implica che se anche la donna volesse votare, dovrebbe richiedere i propri documenti al marito, al padre o al fratello, che spesso, avendone pieno diritto, deciderà di negarle di poterli portare con se in sede di votazione.

Chi ha avuto il coraggio di esprimersi liberamente riguardo alle reali conseguenze di queste “riforme”, ha espresso sconforto nel riconoscere che il “male guardianship system” rimane una componente fondamentale nel sistema Saudita, e che questo spesso comporta l’annullamento delle riforme stesse, in quanto queste non possano essere applicate totalmente in conformità con le leggi della Shariah.

Per accorgerci delle reali conseguenze di tali leggi in paesi cosi distanti culturalmente, bisogna “saper leggere tra le righe”, e verificare con un occhio esperto, il cambiamento, a distanza di anni, nelle vite delle persone che avrebbero dovuto accusarlo positivamente.

Come già riportato, questi cambiamenti che vengono spacciati come radicali, stanno avvenendo in realtà in maniera molto lenta, rallentati particolarmente dagli estremisti e coloro che alla volta del secondo decennio del ventunesimo secolo, non vogliono dare spazio ad innovazione e progresso, preferendo arretratezza culturale e disparità dei sessi.

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Io non ho vissuto in America http://www.360giornaleluiss.it/non-vissuto-america/ Sun, 04 Jun 2017 13:40:22 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8670 Durante il mio quarto anno di liceo ho avuto il privilegio di partire per “l’anno all’estero”, e oggi vorrei parlare di quell’esperienza di cui non ho ancora mai avuto il coraggio di scrivere per paura di portare alla luce ricordi che forse non ero pronta ad affrontare. Sono stata presa in California da una bellissima

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Durante il mio quarto anno di liceo ho avuto il privilegio di partire per “l’anno all’estero”, e oggi vorrei parlare di quell’esperienza di cui non ho ancora mai avuto il coraggio di scrivere per paura di portare alla luce ricordi che forse non ero pronta ad affrontare. Sono stata presa in California da una bellissima famiglia che mi ha amata come una figlia e che, sin dal primo giorno, ho sentito come mia. La California mi ha dato tanto: mi ha fatto scoprire i miei limiti, che erano molto più estesi di quanto non pensassi, mi ha insegnato che nella vita vera, se vuoi qualcosa “you have to make it happen”, e che a volte bisogna solo guardare i problemi da un altro punto di vista. Parlo di California e non di America non per una questione di velleità, ma perché IO NON HO VISSUTO IN “AMERICA”.

La mia sorellina Amalina, di soli dodici anni al tempo, ma con la lungimiranza di un adulto, mi correggeva sempre dicendomi che io “non stavo vivendo in America, ma bensì in California”.

Non credo di aver mai capito queste parole per davvero. Fino ad oggi.

Oggi, per la prima volta, ho riflettuto sulle sue parole che prima suonavano solo come una frase fatta, un modo di dire, e ho capito che Amalina non voleva intendere che la California fosse migliore del resto, ma solo che non era uguale al resto.

In California ho imparato “l’amore per il diverso”, ho conosciuto persone che in Italia avrei etichettato come “sfigate”, e che in realtà nascondevano un universo dietro la loro stravaganza, ho imparato a rispettare le scelte altrui, anche se diverse dalle mie, e ho imparato che una persona con il colore della pelle, l’aspetto fisico o l’orientamento sessuale diverso dal nostro, è esattamente uguale a noi. Ho imparato a rispettare l’ambiente, e ad amare i nuovi orizzonti, ma soprattutto ho imparato a non giudicare.

La mia “esperienza americana” si è limitata a questo tanto. Ho vissuto per dieci mesi in una bolla magica che nella mia mente ho innalzato a stereotipo dell’intero Paese. Per me l’America era quello: era gioia, era voglia di fare, rispetto e dialogo. Io ho vissuto il mio “American Dream” e per questo mi sono sempre sentita riconoscente verso quel Paese che mi aveva accolta e fatta sua. Ma mi sbagliavo.

In questi mesi mi sono chiesta in che America ho vissuto e oggi, guardando il telegiornale, ho trovato la risposta: io non ho vissuto in America ma in California, che è diverso.

Amalina aveva ragione a correggermi, perché se gli americani hanno scelto Trump come loro presidente, significa che egli ne rappresenta la maggior parte in ogni sua scelta, e ogni sua scelta va nella direzione opposta rispetto all’educazione che la mia mamma americana mia ha dato.

Sono mesi che Trump porta il suo Paese sempre più lontano da quella che era la mia America, ma oggi il passo è stato decisivo. Oggi egli ha confermato quello che tutti temevamo e, con la sua innata faccia di bronzo, ha annunciato che ha intenzione di ritirarsi dai Trattati di Parigi, portando il secondo Paese più grande del mondo a poter contribuire, senza regole né limiti, al riscaldamento globale. Quello stesso fenomeno che, d’altronde, Trump ha definito “un’invenzione dei cinesi per ostacolare le industrie americane concorrenti” e che quindi risulta, agli occhi di un’America ignorante e inibita, una grande bugia alla quale tutto il resto del mondo ha creduto.

Non sono bastate le proteste, non gli slogan, e neanche Macron che rivisita la grande massima Trumpiana: “Let’s make America great again” riportando su tutti i canali nazionali “Let’s make the world great again”. Ogni sforzo è stato vano, perché Trump, di fatto, può, e può perché quella stessa popolazione che a breve soccomberà sotto una politica ultra-protezionista ed individualista, lo ha eletto.

Dove ho vissuto io i musulmani, gli hindi, i cristiani e i mormoni erano la stessa cosa, e quando uno studente faceva “outing” gli si stava vicino, ma poi neanche troppo, perché è una scelta come un’altra e nessuno sentiva il bisogno di farne un dilemma. Dove vivevo io i ricchi si vestivano come i meno ricchi, frequentavano gli stessi posti e uscivano con le stesse persone, tutti facevano la raccolta differenziata e ogni membro della comunità provvedeva al sostentamento della stessa, indipendentemente da orientamento sessuale o religioso, dal sesso o dalla classe sociale di provenienza.

Dove vivevo io, il giorno in cui è stato approvato il matrimonio per le coppie gay, la città si è fermata e la gente si è riversata in strada tra baci abbracci e urla di gioia.

Dunque se questa è l’America, io non ho vissuto in America e, di questo, rimarrò per sempre delusa.

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La Famiglia o la Vita http://www.360giornaleluiss.it/la-famiglia-o-la-vita/ Tue, 11 Apr 2017 06:55:17 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8506 Tra i tanti casi di cronaca oggi voglio parlare di cinque, tutti accaduti nel giro degli ultimi sette giorni, che sono la dimostrazione non solo di come la violenza sulle donne nel mondo arabo sia ormai un luogo comune, ma anche la chiara prova che finalmente qualcuno sta iniziando ad alzare la voce, a voler

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Tra i tanti casi di cronaca oggi voglio parlare di cinque, tutti accaduti nel giro degli ultimi sette giorni, che sono la dimostrazione non solo di come la violenza sulle donne nel mondo arabo sia ormai un luogo comune, ma anche la chiara prova che finalmente qualcuno sta iniziando ad alzare la voce, a voler combattere. Probabilmente si sentiranno come tenui focolari in aperta campagna, le quali luci soffuse vengono viste da pochi, ma la realtà è che qualcuno le ha viste e, grazie a questo, altre hanno avuto il coraggio di accendersi e brillare, riportando alla luce in pochissimi giorni un fenomeno del quale in pochi si preoccupano veramente, ma che con i crescenti flussi di immigrazione dovrebbe rappresentare uno dei punti di maggior interesse di chi si occupa di integrazione.
Sono dunque “le fantastiche cinque” di Aprile a riportare in luce il fenomeno della violenza contro le donne nella cultura musulmana. I giornali non ci forniscono i loro nomi, forse per proteggerle, ma ad identificarle non serve il nome, basta l’atto di coraggio che ognuna di loro ha voluto perpetrare per assicurarsi una vita migliore.
La prima, in ordine cronologico, è la quattordicenne di Bologna, che il 31 Marzo scorso arrivò a scuola in lacrime e senza capelli. Raccontò agli insegnanti – primi a dare l’allarme – che fu la madre stessa a rasarla a zero per punirla per il suo stile di vita e le sue amicizie. Lei, come anche le sue sorelle, sono state affidate ai servizi sociali, mentre gli inquirenti cercano di far luce sulla vicenda. La stessa sorte è toccata alla sedicenne di Pavia, che già da Febbraio mandava segnali di richiesta di aiuto per aver ricevuto ripetute percosse dai familiari. Anche in questo caso, la ragazza conduceva uno stile di vita “troppo occidentale e promiscuo” secondo i familiari e, per questo, si sarebbe meritata le violenze fisiche ricevute per mano non solo del padre supportato dalla madre, ma anche dal fratello maggiore. Dopo mesi di attesa, è stata finalmente affidata ai servizi sociali mentre la polizia, ancora una volta, tenta di far luce su questi avvenimenti riguardo ai quali i genitori si dichiarano innocenti: essi infatti riportano di aver messo in punizione la figlia per via delle sue attitudini, ma di non averle inflitto alcuna violenza fisica.
Gli ultimi due casi, cronologicamente parlando, accadono lo stesso giorno – il 9 Aprile – rispettivamente in provincia di Vicenza e Napoli. Nel vicentino, a diventare carnefice è il padre di una ragazzina di 15 anni, che si è presentata a scuola piena di lividi e tumefazioni. Ad intervenire sono stati gli insegnanti che hanno poi chiamato i servizi sociali per assicurare un intervento immediato. Anche lei, come altre, si rifiutava di mettere il velo per andare a scuola e per questo è stata punita. Il caso nel napoletano vede invece coinvolta una ventottenne sposata e con figli, che però minacciava il marito di divorzio e che non voleva più indossare il velo. La ragazza è stata picchiata e chiusa nel bagno di casa così che non potesse chiedere aiuto; solo dopo esser riuscita a fuggire ha potuto attirare l’attenzione di alcuni vicini che hanno chiamato la polizia.
E giungo ora a quello che è per me il più raccapricciante tra tutti questi casi: quello del tentato suicidio di una quindicenne a Torino, che avrebbe preferito la morte piuttosto che darsi in sposa ad uno sconosciuto molto più vecchio di lei. La ragazzina ha infatti tentato di togliersi la vita e, solo cosi facendo, è riuscita a richiamare su di sé le attenzioni delle autorità che sono riuscite a risalire ai motivi di un gesto così avventato. Anche lei ora vive in una comunità protetta, e come tutte le altre è stata tolta alla sua famiglia perché possa vivere in pace.
In meno di sette giorni, sono cinque i casi di violenza fisica e mentale perpetrate da uomini autoritari su ragazzine o donne e riportati dai giornali, cinque di una lunga serie; ma queste vicende, se osservate dal giusto punto di vista, ci dovrebbero donare prima di tutto speranza. Sì perché questi casi esistono da anni, che se ne parli o no, ogni giorno migliaia di donne vengono picchiate da mariti, fratelli o padri perché vogliono vivere una vita diversa da quella che viene loro imposta, ma la novità è che finalmente qualcuno ha trovato il coraggio di parlare e, ancora più significativa, è la tempestiva risposta delle forze dell’ordine, che sicuramente darà coraggio ad altre voci di poter riportare gli abusi subiti sentendosi finalmente protette da uno Stato e da una società che vogliono sentire come “loro”.
Ognuna di questo donne ha dovuto scegliere tra “La Famiglia” e “La Vita”, e ognuna di loro ha scelto di vivere, ma non sempre va a finire così, non sempre si ha il coraggio di lanciare un urlo, anche sommesso, per provare a salvarsi, ma soprattutto non sempre si trova qualcuno disposto ad ascoltarci. Credo che le storie di queste donne possano fungere da torcia che illumina il sentiero per molte altre, ed è nostro compito come cittadini, come donne, come uomini, e come esseri umani, ascoltare le loro grida e illuminare loro il sentiero.

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CHI CE LO DICE CHE COSA SI PROVA http://www.360giornaleluiss.it/ce-lo-dice-cosa-si-prova/ Tue, 21 Feb 2017 10:11:32 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8140 Oggi voglio parlare di quel rapporto travagliato che intercorre, nella maggior parte dei casi, tra madri e figli. Rapporto che spesso è pieno di conflitti, discordanze, segreti, ma anche di amore e mutuo rispetto e che, invece, molto meno frequentemente, si tramuta in una frattura irreparabile che porta all’allontanamento del genitore dal figlio e viceversa.

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Oggi voglio parlare di quel rapporto travagliato che intercorre, nella maggior parte dei casi, tra madri e figli. Rapporto che spesso è pieno di conflitti, discordanze, segreti, ma anche di amore e mutuo rispetto e che, invece, molto meno frequentemente, si tramuta in una frattura irreparabile che porta all’allontanamento del genitore dal figlio e viceversa.
In questi giorni, a ricordarci della fragilità dell’animo umano e dei giovani che si vedono travolti da un mondo divenuto forse troppo pesante per loro, c’è il caso di Giovanni, sedicenne di Lavagna (GE), che si è suicidato durante la perquisizione operata della Guardia di Finanza nell’abitazione dello stesso.
Era stata la madre adottiva, Antonella Riccardi, a chiamarli, probabilmente mossa non solo dalla rabbia e dal senso di esasperazione che nascono dal vedere un figlio buttare via la propria gioventù, ma penso soprattutto dall’amore verso chi hai visto crescere e cambiare, verso una persona così cara e allo stesso tempo così lontana da quel modello idealizzato che ogni madre ha nel rispetto dei propri figli.
La mamma del giovane è venuta in caserma e ci ha detto che il figlio usava droghe leggere, che aveva paura che fosse finito in un brutto giro. Abbiamo capito che non ci trovavamo davanti a un criminale e siamo intervenuti quasi con una finalità pedagogica visto che erano appunto pochi grammi”, queste le parole del generale della GdF Nisi, che non biasima il gesto di questa mamma che “non ha avuto paura e non si è nascosta dietro il problema”, ma che ha cercato, dopo mesi di preoccupazioni, di imporre una fine, sebbene drastica, alla vita segreta del figlio che, come riportato da una compagna, “aveva qualcosa che lo tormentava”. Giovanni aveva dei problemi che evidentemente non sapeva come risolvere, e i suoi genitori, come la scuola e gli amici, hanno fallito nel capirli e nell’aiutarlo.
In casi come questo, in cui decisioni “forti” fatte per il bene del soggetto, portano al danneggiamento dello stesso, sembra sin troppo facile giudicare chi, piuttosto che tacere come fanno tanti, ha tentato di cambiare la situazione. Facile perché noi non capiamo. Noi ragazzi “comuni”, senza tormenti, con storie familiari “normali” alle spalle non capiamo i tormenti di Giovanni, non capiamo la preoccupazione di una madre che d’un tratto si sente un’estranea nella vita di quel figlio che ha scelto volontariamente di prendere con sé e di accudire con amore, non capiamo come l’azione stessa del suicidio da parte del giovane fosse una reazione non concepibile da parte dei genitori che hanno deciso di rivolgersi alle forze dell’ordine.
Antonella, nel discorso che ha fatto davanti alla bara del figlio, si scusa per non averlo “capito”, ma ringrazia anche la Guardia di Finanza per la disponibilità con la quale si è mossa e per essere stata giusta nell’operare; e poi si appella ai ragazzi ed ai genitori spingendoli al confronto, a parlare e a chiarirsi, a non vergognarsi dei propri problemi perché “non c’è vergogna se non nel silenzio”.
Questo articolo non vuole essere di cronaca e neanche di opinione, ma piuttosto di riflessione. Non voglio imporre il mio punto di vista a nessuno, né tantomeno tentare di rimuginare su ciò che è già stato detto da chi di certo ne sa più di me. Quella che volevo portare è una visione adottata da pochi nei riguardi di questa vicenda che ha lasciato l’Italia con l’amaro in bocca. Perché sì, chiamare le forze dell’ordine è stato un gesto forte, ma forte non è sinonimo di avventato. Chi ci dice infatti che quello di Antonella non fosse che l’ultimo disperato tentativo che è succeduto ad una serie di numerosi conflitti e tentativi di condivisione con il figlio? Chi ci dice che Giovanni si sia suicidato per la vergogna e non perché quell’ulteriore responsabilità non risultasse per lui insopportabile? Ma soprattutto, chi ci dice che noi, come ipotetici genitori, non avremmo reagito così?
Le domande sono tante, e ancora di più sono le possibili spiegazioni: problemi psicologici o familiari, la tensione di dover vivere una vita segreta, la vergogna per essere stato scoperto, la rabbia verso i genitori che lo hanno volutamente denunciato, e potrei andare avanti all’infinito. La verità credo, è che chiunque di noi si permetta di giudicare, lo fa con poca coscienza e visione d’insieme; nessuno, se non chi conosce l’intera verità e le cause che hanno spinto Giovanni a togliersi la vita, può prendersi il lusso di giudicare le azioni dei genitori o del figlio. Ciò che come italiani, come ragazzi e come adulti possiamo fare è invece tentare di aprirci verso noi stessi e verso gli altri, tentare di non dar peso ai pregiudizi sociali e capire fino a che punto quello che sembra un innocuo “passatempo illegale” possa non rappresentare un problema per noi e per chi ci vuole bene.
A farmi riflettere su questo argomento è stata mia madre che, sorprendentemente, non ha accusato la signora Riccardi di negligenza ma, al contrario, mi ha portata a mettermi nei suoi panni e a capire come l’amore di una madre sia spassionato e disinteressato, tanto da subire la vergogna di dover ricevere la Guardia di Finanza nella propria abitazione per sequestrare sostanze illegali al figlio, che tra l’altro era minorenne. Se non avesse amato quel figlio che da un po di tempo a questa parte le aveva regalato una serie di delusioni, non avrebbe accettato l’umiliazione di doversi dichiarare sconfitta come madre e tutrice legale tanto da chiedere l’aiuto della polizia, non si sarebbe fatta odiare gratuitamente solo per cercare di migliorargli la vita e non gli avrebbe chiesto scusa pubblicamente, al suo funerale, per non essere riuscita a capirlo.
In conclusione, ho ritenuto quasi doveroso tentare di riscattare, almeno di fronte ai giovani, l’immagine di una mamma che è quella di Giovanni, ma che avrebbe potuto essere la mia o la vostra che, spinta dall’ansia provocata da questi comportamenti ambigui e dal doversi confrontare con una nuova realtà che probabilmente la spaventava, ha deciso di agire in maniera netta, aspettandosi probabilmente odio e rancore, ma non di certo di perdere quel figlio che si era andata a prendere fino in Colombia quindici anni prima. Una mamma non è un essere perfetto, non è quell’automa in grado di sconfiggere malattie e accidenti vari come credevamo da piccoli, anche le mamme sbagliano ma, nella maggior parte dei casi, lo fanno con l’implicita speranza di poterci risparmiare un dolore, di prenderci prima che cadiamo a terra, di asciugare quell’oceano di insicurezze e dubbi che si va a creare attorno a noi.

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PER CHI HA POCO E NIENTE, MA HA COSI’ TANTO DA OFFRIRE. http://www.360giornaleluiss.it/per-chi-ha-niente/ Wed, 28 Dec 2016 08:42:19 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=7875 Il giorno di Natale, mentre ognuno di noi è a casa, riscaldato dal calore della propria famiglia e dall’affetto dei propri cari, a Roma come in molte altre città d’Italia, si svolge un evento che, per quanto possa apparire di poca importanza, dona invece speranza e gioia a oltre 200 persone tra bambini, anziani, donne

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Il giorno di Natale, mentre ognuno di noi è a casa, riscaldato dal calore della propria famiglia e dall’affetto dei propri cari, a Roma come in molte altre città d’Italia, si svolge un evento che, per quanto possa apparire di poca importanza, dona invece speranza e gioia a oltre 200 persone tra bambini, anziani, donne e uomini di ogni età e provenienza, che si ritrovano nella stessa grande sala addobbata a festa, per condividere e festeggiare un giorno così importante, durante il quale nessuno dovrebbe mai restare solo.

Il “Pranzo per i poveri”, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio, è una tradizione che viene portata avanti con costanza ed amore sin dal 1982, quando nella Basilica di Santa Maria in Trastevere, un gruppo di venti persone tra poveri e senzatetto, venne riunito attorno ad una tavola imbandita a festa, così da poter dar loro il calore di una casa e di una famiglia, se non altro in un giorno di gioia come il Natale.

n2

Negli anni, non solo la tradizione del “Pranzo di Natale” è stata portata avanti, ma in molti si sono aggiungi dando vita ad un gruppo eterogeneo di oltre 200 persone.

Il pranzo romano si è tenuto in Via Livorno 50, dove sono riusciti ad affluire molti tra i bambini della “Scuola della Pace”, i profughi siriani che sono stati aiutati dalla Comunità e che a loro volta provvedono ad arricchirla, i numerosi senzatetto di cui i volontari si occupano giornalmente in modo da assicurare loro pasti caldi e compagnia, e la vicinanza ad un istituto per anziani ha permesso che anche questi ultimi abbiano potuto passare il Natale in compagnia di questa così calorosa famiglia multietnica.

A rendere tutto ciò possibile c’è stato un grande lavoro da parte dei volontari che hanno provveduto ad organizzazione, cucina, pulizie e regali, tutto per assicurarsi che, anche quest’anno, il giorno di Natale fosse davvero “un giorno speciale proprio per tutti”. E, proprio a questo proposito, il 25 Dicembre non sarebbe così speciale senza la presenza di Babbo Natale, che quest’anno ha assunto le sembianze di Gabriel, un ex-senzatetto rumeno, che grazie alla Comunità, ora ha un tetto sopra la testa e sta uscendo dalla vita di strada.

n3

Il giorno di Natale si è svolto all’insegna della gioia e della condivisione, dalla Messa, vissuta da cristiani e non come momento di raccolta spirituale e condivisione, al pranzo, fino al momento della distribuzione dei doni ai più piccoli.

“La comunità vive appieno questa gioia” – così parla Alessandro Moscetta che, oltre ad essere veterano nel campo del volontariato, è anche un importante punto di riferimento per l’intera Comunità romana- “questo giorno serve per dare una famiglia a tutti, ma anche un po’ per senso di giustizia”, e mentre mi racconta di questa meravigliosa giornata che lo ha reso visibilmente euforico, fa riferimento al Salmo 112 che dice:

“Solleva dalla polvere il debole, dall’immondizia rialza il povero, per farlo sedere tra i prìncipi, tra i prìncipi del suo popolo.”

Parla di “invocazione del popolo dall’immondizia”, e mi fa capire che è questo quello che lui e la comunità vogliono fare: ridare un senso di dignità ed appartenenza a chi non ne ha più, aiutare i più bisognosi a stare in piedi con le proprie gambe, per poi lasciarli andare così che anche loro possano fare del bene a chi ne avrà bisogno.

Durante il pranzo sono nate tante nuove amicizie, tra giovani ed anziani, tra chi è appena entrato a far parte della Comunità e chi invece la sostiene e ne beneficia da lungo tempo, tra persone di nazionalità diverse e con i background più disparati, ma una delle più peculiari è sicuramente quella tra una signora di 107 anni, Lidia, e Sofia che ne ha solo 3: “un’amicizia che supera un secolo”, a dimostrarci come anche dalle situazioni più inusuali, possano nascere grandi cose, basta solo dare a noi stessi, e a maggior modo agli altri, una chance.

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Guardando le foto, quella del Natale di Sant’Egidio sembra più una favola che non una storia vera eppure, con le giuste dosi di dedizione e passione, questa Comunità composta di studenti e lavoratori, tutti volontari e con tanta voglia di fare, è stata in grado di raccogliere i fondi e organizzare un “Natale con i fiocchi” per tutti coloro che hanno poco o niente, ma che hanno sicuramente molto da offrire. Ma, come mi ricorda Alex, “per noi ogni giorno dovrebbe essere così, ogni giorno è Natale”, perché far arrivare un pasto caldo ai senza tetto, dar loro coperte e compagnia, togliere quanti più bambini e famiglie dalla strada sistemandoli in roulotte o strutture ausiliarie e far nascere un sorriso dove prima scorreva una lacrima, sono tutti grandi traguardi raggiungibili solo grazie alla dedizione di chi si è messo veramente a disposizione degli altri.

Il prossimo grande incontro sarà a Capodanno e, ovviamente, Alex ci tiene a ricordarmi che siamo tutti invitati a partecipare. L’evento è stato nominato “Capodanno solidale con i senzatetto” e si terrà alla Parrocchia di San Giuseppe, in via Francesco Redi a Roma, mentre la mattina dopo sarà possibile partecipare alla Marcia verso Piazza San Pietro per ascoltare il messaggio di Papa Francesco, che sarà sul tema della Pace.

Dopo un anno difficile come quello appena passato, dove a segnare le prime pagine come anche i nostri cuori, sono stati più le guerre, i bombardamenti, i genocidi di popoli innocenti, e le morti accidentali dovute al terremoto che ha colpito il centro Italia, che non fenomeni positivi, è rincuorante sapere che ci sono persone, tante persone, che lavorano impercettibili e silenziose, per portare del bene a chi ne ha più bisogno. In un momento così buio per la nostra storia come nazione, ma anche per l’uomo come entità, sono forse questi piccoli gesti quotidiani a tenere viva la fiaccola della speranza per un futuro migliore e più pacifico, dove non dovremo temere il prossimo e saremo più chini invece, a tendergli la mano.

Un Buon Natale a tutti, ma soprattutto a chi ha più bisogno.

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“Credere nella scienza significa credere nel futuro” http://www.360giornaleluiss.it/credere-nella-scienza-significa-credere-nel-futuro/ Wed, 09 Nov 2016 10:27:35 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=7483 “Credere nella scienza significa credere nel futuro”. Questa una delle più grandi citazioni del celebre professore, medico e chirurgo, Umberto Veronesi, spentosi oggi, 8 Novembre 2016, nella sua casa a Milano. Nato nel 1925, Veronesi avrebbe compiuto 91 anni a breve, 70 dei quali sono stati spesi per portare avanti la sua passione: la Medicina,

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“Credere nella scienza significa credere nel futuro”. Questa una delle più grandi citazioni del celebre professore, medico e chirurgo, Umberto Veronesi, spentosi oggi, 8 Novembre 2016, nella sua casa a Milano.

Nato nel 1925, Veronesi avrebbe compiuto 91 anni a breve, 70 dei quali sono stati spesi per portare avanti la sua passione: la Medicina, in ogni sua forma.

Laureatosi a Milano nel 1952, Veronesi scelse fin da subito di dedicare la propria vita alla lotta contro i tumori, e dopo aver speso parecchi anni come volontario all’Istituto Nazionale dei Tumori del quale divenne direttore generale nel 1975, nel 1982 fondò la Scuola Europea di Oncologia, istituto del tutto rivoluzionario per l’epoca, e ancora riconosciuto tra i migliori per la preparazione degli studenti nel campo dell’oncologia.

Forte della sua visione “laica ed empirista”, l’illustre professore vanta, inoltre, il merito di aver portato la Medicina e la concezione di essa, fuori da una visione meticolosamente ostruita dalle credenze religiose, e per questo obsoleta ed incoerente con l’avanzamenti nel campo della medicina di quegli anni. Cresciuto da una madre estremamente legata al “credo” nazionale, Veronesi non si è mai fatto premura nel definirsi laico e nel combattere tutte quelle credenze influenzate dalla religione, che impedivano a coloro che lo circondavano di vedere la Medicina con la stessa passione che aveva spinto lui stesso a farsene una ragione di vita.

A dare la fama che si spetta a questo chirurgo, però, non sono soltanto le scoperte in campo scientifico e la fondazione di numerosi Istituti tra i quali l’Istituto Europeo di Oncologia (fondato nel 1991, e del quale è anche stato, per ben due volte, direttore scientifico); infatti Veronesi condusse altre battaglie molto importanti, come quella per l’eutanasia, quella per l’affermarsi di una vera e propria “cultura scientifica”- utopicamente pensata per non avere legame alcuno con la Chiesa e le sue visioni apocalittiche – e quella per la dieta vegetariana, utilizzata in molti casi da lui stesso nella cura di pazienti affetti da tumori.

Veronesi aveva una visione “politica” della malattia – così la definiva lui stesso -, una visione fresca, innovativa, piena di speranza e di passione, quella stessa passione che lo ha portato ad aprire il suo ospedale nel 1994, con l’intento di creare una struttura che ruotasse attorno al paziente nella sua integrità e complessità; voleva non solo fornire a tutti le più innovative cure mediche, ma che il paziente fosse assistito dal punto di vista psicologico, perché la Medicina per lui era questo: non solo un monotono ripetersi di interventi e visite volti a salvare vite, ma “strumento di crescita collettiva e progresso”, uno studio approfondito dell’essere umano nella sua interezza. Egli voleva strutture avanzate e “ricerca, ricerca, ricerca”, che tecnologia e innovazione fossero un tutt’uno con il suo ospedale, così che il maggior numero di pazienti potesse avere accesso a tutte le terapie più avanzate.

Umberto Veronesi, nei suoi 90 anni, non si è fermato davanti a niente, non davanti alle Brigate Rosse che per anni lo minacciarono di morte costringendolo ad una vita fuori dagli schemi, solo perché sostenne fermamente che, nonostante gli scioperi fossero un importante diritto dei lavoratori, i medici dell’ospedale non potessero permettersi il lusso di scioperare lasciando i pazienti senza assistenza, e non di certo davanti a coloro che non riuscivano a guardare nel futuro come ci riusciva lui, sputando sulle sue visioni laiche ed empiriche che gli hanno permesso di contribuire, senza pregiudizi ne ostruzioni morali, all’avanzamento scientifico, e non si è fermato neanche davanti al cancro, da sempre inesorabile nemico dell’uomo.

Questo professore, cresciuto nella campagne di Milano, ha rivoluzionato radicalmente il mondo della medicina a livello nazionale ed internazionale, rendendo Milano la capitale della ricerca biomedica, introducendo la quadrantectomia in alternativa alla mastectomia come metodo per affrontare il cancro al seno e prendendo in considerazione, per la prima volta nella storia, il paziente come un essere umano, considerando gli effetti che tali interventi e determinate cure avrebbero potuto produrre sulla salute non solo fisica, ma anche psicologica, degli individui presi in causa.

Ringraziamo quindi un grande medico e professore, ma soprattutto un grande Uomo, per averci lasciato un così grande patrimonio culturale e la consapevolezza che passione e tenacia possono portarci al raggiungimento di grandi obiettivi.

#GrazieProf

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La terra trema e noi con lei http://www.360giornaleluiss.it/la-terra-trema/ Wed, 02 Nov 2016 09:47:54 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=7396 Alle 7.40 del 30 ottobre 2016, la terra è tornata a tremare sotto i nostri piedi. Non è passato molto dal terremoto con epicentro situato tra la valle del Tronto e i Monti Sibillini che nel mese di Agosto ha distrutto molti comuni nel centro Italia segnandone profondamente la morfologia, eppure in questi mesi molto

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Alle 7.40 del 30 ottobre 2016, la terra è tornata a tremare sotto i nostri piedi.

Non è passato molto dal terremoto con epicentro situato tra la valle del Tronto e i Monti Sibillini che nel mese di Agosto ha distrutto molti comuni nel centro Italia segnandone profondamente la morfologia, eppure in questi mesi molto era stato fatto. Nei comuni colpiti si era iniziato a ricostruire, non solo gli edifici e le abitazioni, ma anche una vita.

Come dopo ogni catastrofe, l’Italia aveva iniziato a rialzarsi grazie all’aiuto dei volontari e alla prontezza delle persone, delle quali la voglia di vivere e riiniziare ha prevalso sullo sconforto di aver perso tutto, anche gli affetti più cari. Questo nuovo terremoto di ottobre ha però riaperto una ferita non ancora cicatrizzata, spingendo violentemente il centro Italia fuori dalla sua casa, distruggendo tutto ciò che era rimasto e molto di più, facendo crollare anche quel tanto discusso “Palazzo Rosso” di quattro piani di Amatrice, simbolo di speranza per gli abitanti della zona perché rimasto intatto a svettare sul territorio martoriato dalle frequenti scosse.

La terra ha tremato, e stavolta fino a Roma. Dopo la scossa preparatoria del 26 Ottobre, il 30 ne è arrivata una più grossa che è entrata a far parte del “ranking” come una tra le più forti negli ultimi 110 anni in Italia. Più forte del terremoto in Emilia, e chi l’ha vissuto lo sa, più forte addirittura di quella dell’Aquila che aveva provocato oltre 200 morti e più forte di quella del 2002 in Molise, dove 27 bambini furono trovati morti tra le macerie di una scuola. Tanti i paesi colpiti, ma a straziare sono le parole del sindaco di Ussita: “Stavo dormendo in macchina e ho visto l’inferno. […] il paese non esiste più”.  Molti di questi centri abitati, Ussita compreso, rischiano di diventare “paesi fantasma” e intanto il bilancio degli sfollati cresce e le previsioni arrivano fino a 100000 persone senza abitazione fissa. L’unica nota positiva è che il bilancio delle vittime è a zero, forse per pura fortuna, o forse per quel senso di paura ancora insito nel cuore di coloro che hanno vissuto i sismi degli ultimi mesi, ma tutti sono riusciti tempestivamente a mettersi in salvo, ci sono solo feriti, alcuni dei quali gravi, ma neanche un decesso registrato per ora.

Nel frattempo, l’allarmismo sale alle stelle: previsioni di “nuove scosse in arrivo” hanno spinto la popolazione fuori dalle proprie abitazioni, o con le valigie e le scarpe sul ciglio della porta, pronte nell’eventualità che “succeda ancora”. L’angoscia che questi fenomeni possano protrarsi nel tempo, e la paura di doverli affrontare senza previsione, sta devastando metà del Paese, e nel frattempo il Governo si muove con tempestività per procurare i fondi che serviranno a ricostruire, per l’ennesima volta, questa nostra Italia che negli ultimi anni è stata martoriata vigorosamente, dal Nord al Sud, da fenomeni di entità sismica.

Il clima di sconforto è però alleviato dall’empatia e dal supporto di tutti la nazione, infatti sui social è stata diffusa la frase “Restiamo in piedi anche se questa terra trema”, che negli ultimi mesi e soprattutto negli ultimi giorni ha fatto il giro di Facebook, Twitter e Instagram insieme all’ hashtag #PrayForItaly. Connazionali all’estero, personaggi famosi, e la popolazione italiana, hanno tutti fatto sentire il loro supporto fornendo indicazioni con numeri di Pronto soccorso e iniziando immediatamente a donare al numero verde fornito dalla Protezione Civile.

Le scosse di cui si è parlato potrebbero essere solo le prime di una lunga serie, ma tutti gli aiuti possibili sono stati mobilitati per assicurare la massima messa in sicurezza delle zone più a rischio e in molti sono stati fatti evacuare per far sì che quel “bilancio a zero” rimanga tale fino a che questo ennesimo incubo sarà concluso.

 

 

Per eventuali donazioni potete contattare il numero:

Protezione-civile

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Il Festival di “Internazionale” colora Ferrara prima di arrivare a Roma http://www.360giornaleluiss.it/festival-internazionale-colora-ferrara-arrivare-roma/ Tue, 04 Oct 2016 09:17:13 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=7133 Come ogni anno dal 2007, a Ferrara (città d’arte e patrimonio dell’UNESCO, situata in Emilia Romagna), nel mese di Settembre, si tiene uno dei festival giornalistici più importanti a livello nazionale: il “Festival di Internazionale”. “Internazionale” – così di chiama la famosa rivista ad uscita settimanale- si occupa di temi di attualità: dalla politica, alla

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Come ogni anno dal 2007, a Ferrara (città d’arte e patrimonio dell’UNESCO, situata in Emilia Romagna), nel mese di Settembre, si tiene uno dei festival giornalistici più importanti a livello nazionale: il “Festival di Internazionale”.

“Internazionale” – così di chiama la famosa rivista ad uscita settimanale- si occupa di temi di attualità: dalla politica, alla letteratura, alla scienza. Raccogliendo articoli provenienti dai giornali più famosi in tutto il mondo, Internazionale fornisce al proprio lettore uno sguardo a trecentosessanta gradi su tutti i temi più “hot”, come anche su temi più ricercati o meno affrontati.

La rivista di Giovanni De Mauro, il direttore, è molto attiva anche e principalmente sul web, dove, oltre ad alcune rubriche, vengono pubblicati quotidianamente brevi articoli per avere un riscontro con i lettori, che possono commentare fornendo indicazioni o giudizi riguardo al contenuto e alla stesura dei suddetti.

Ogni anno dal 2007, quando il team del giornale, supportato dal Comune di Ferrara, da ARCI Ferrara e da Ferrara Sotto le Stelle, ha iniziato questo progetto, Internazionale organizza l’omonimo festival nella cittadina emiliana, che viene invasa da giovani interessati, curiosi e motivati, giornalisti provenienti da tutto il mondo, capaci di creare un clima multietnico estremamente stimolante.

Come sempre, l’attualità ha giocato un ruolo fondamentale: nuove conferenze e incontri sull’immigrazione – tema centrale dei nostri tempi – insieme all’economia e all’ambiente. Naturalmente si è discusso anche di “Brexit” e del “Il futuro dell’Unione Europea dopo l’uscita della Gran Bretagna”.

Quest’anno sono stati 31 i Paesi rappresentati da 240 ospiti con i background più diversificati; tra i più importanti hanno presenziato: la giornalista egiziana Lina Attalah con il sociologo e senatore Luigi Manconi che, con la compartecipazione di Claudio Regeni (il padre di quel Giulio ucciso proprio in Egitto qualche mese fa), hanno parlato dell’Egitto a cinque anni dalla Primavera araba. Eric Jozef di Libération, Tom Kington di The Times e Regina Krieger di Handelsblatt, sono stati moderati da Gad Lerner in un dibattito sulle riforme di Renzi e sul loro possibile effetto in Italia. E ancora Jonathan Freedland del “Guardian”, la giornalista francese Natalie Nougayrède e il giornalista americano David Rieff, moderati da Renato Coen di Sky TG24, hanno voluto mettere a confronto il candidato alle presidenziali statunitensi che rappresenta in questo momento una delle più grande minacce al mondo occidentale, e i populisti europei.

All’evento anche la nostra Università ha avuto la sua rappresentanza. Infatti, oltre allo “Stand Luiss” in piazza Trento e Trieste (piazza principale della città, nonché grande punto di raccolta) domenica 2 Ottobre, sullo stage del Cinema Apollo, il professore di sociologia del terrorismo, Alessandro Orsini, con il sociologo franco-iraniano Farhad Khosrokhavar e il politologo Olivier Roy, ha tenuto una conferenza dal titolo “I nuovi jihadisti europei. Chi sono e cosa vogliono i giovani che scelgono il terrorismo”.

Anche quest’anno, grazie ad un pubblico partecipe ed interessato, ai numerosi volontari tra i quali i liceali dei locali Liceo Classico L. Ariosto e Liceo Scientifico A. Roiti, con la collaborazione di studenti del Liceo V. Alfieri di Torino in prima linea e ad uno staff molto efficiente, il Festival di Internazionale è riuscito nel suo intento: raccogliere giovani ed adulti da tutto il mondo per confrontarsi, grazie all’aiuto di esperti, su macro-tematiche che spesso sentiamo nominare ma non riusciamo mai per davvero ad interpretare completamente.

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