Cinema e teatro – 360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it Sun, 18 Feb 2018 20:38:03 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.8.2 http://www.360giornaleluiss.it/wordpress/wp-content/uploads/2017/02/cropped-300px-32x32.png Cinema e teatro – 360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it 32 32 97588499 “The post” : inno alla democrazia e alla libertà di stampa http://www.360giornaleluiss.it/the-post-inno-alla-democrazia-alla-liberta-stampa/ Mon, 12 Feb 2018 15:23:57 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=9197 Gli intrighi politici sono nati quando i giornalisti hanno iniziato a scriverne. O forse la stampa ha iniziato ad assolvere al suo reale mandato, divulgando oscuri giochi di potere? La vecchia storia dell’uovo e della gallina. Nel 1976 esce nelle sale “Tutti gli uomini del presidente”, pellicola incentrata su i due reporter del “Washington post”,

The post “The post” : inno alla democrazia e alla libertà di stampa appeared first on 360°- il giornale con l'università intorno.

]]>
Gli intrighi politici sono nati quando i giornalisti hanno iniziato a scriverne. O forse la stampa ha iniziato ad assolvere al suo reale mandato, divulgando oscuri giochi di potere? La vecchia storia dell’uovo e della gallina.
Nel 1976 esce nelle sale “Tutti gli uomini del presidente”, pellicola incentrata su i due reporter del “Washington post”, interpretati da Dustin Hoffman e Robert Redford, che fecero emergere lo scandalo del Watergate, portando alle dimissioni del presidente degli Stati Uniti, Nixon, nel 1974. Dopo 42 anni, Spielberg ci racconta un’altra storia, che vede come protagonista il medesimo giornale (“il Post”, appunto), incentrata sul rapporto fra politica e giornalismo, fra chi comanda e chi informa, fra chi usa il potere e chi la penna. Ci spiega che gli intrighi politici non nascono quando i giornalisti iniziano a scoprirli e a divulgarli, ma quando questi smettono di essere amici degli statisti, di andarci insieme alle feste, di volerli proteggere dimenticando il loro fondamentale ruolo nella società. In “The Post”, il regista statunitense ci ribadisce che – per citare Oriana Fallaci – “vi sono momenti, nella vita, in cui tacere diventa una colpa e parlare un obbligo”.

Spielberg si affida a due veterani come Tom Hanks, che interpreta Ben Bradlee, caporedattore del “Washington Post”, in passato molto legato a J. F. Kennedy, e Meryl Streep, nelle vesti della proprietaria del giornale-azienda Katharine “Kay” Graham, alle prese con i problemi finanziari e con le critiche di chi non la ritiene in grado del ruolo da lei ricoperto. L’opera narra di come i governi statunitensi, a cavallo fra il 1966 e il 1971, pur consapevoli che le proprie milizie non avevano alcuna chance di uscire vittoriose dalla tanto odiata guerra del Vietnam, si ostinavano a proseguire la campagna militare. Trasformandola in un massacro dei giovani americani. Questo fin quando Daniel Ellsberg, ex militare ed economista, non divulga i documenti relativi al sopracitato conflitto armato, i “Pentagon Papers”, attraverso le penne del “Times” prima, e del “Post” poi.

Il regista lascia emergere l’ipocrisia di intere classi dirigenti, di presidenti più o meno amati degli USA, e il disinteresse dei potenti che, pur di evitare al Paese una publica umiliazione, preferiscono occultare dati tanto oggettivi quanto sconvolgenti, mandando migliaia di vite umane, comprese quelle dei propri fratelli e dei propri figli, allo sbaraglio. I protagonisti si appellano al primo emendamento della costituzione americana, il quale riconosce “libertà di parola e di stampa”, con il quale, come dice Tom Hanks, il presidente Nixon si pulisce il fondoschiena (ma non dice proprio “fondoschiena”…). Si mettono in gioco lottando contro il potere, ed in particolare contro il presidente “cattivo”, Nixon, per far emergere la Verità. Ed infine fanno valere la loro libertà nell’unico modo possibile : publicando.

“The Post” ci ricorda l’importanza dell’informazione. Ci rammenta che il quarto potere deve essere autonomo e al servizio del popolo. “La stampa serve chi è governato, non chi governa”, afferma la Corte suprema degli Stati Uniti assolvendo i protagonisti della vicenda.
Di tali insegnamenti è stato grande Maestro Indro Montanelli, quando nel 1994 abbandonò “Il Giornale”, di cui egli stesso era fondatore, in seguito all’ avvento in politica del suo proprietario, nonché leader di Forza Italia.
La verità appartiene a tutti. Se non c’è informazione, non c’è verità. Se non c’è verità, non c’è libertà. E in democrazia il popolo deve essere informato. E quindi, libero.

The post “The post” : inno alla democrazia e alla libertà di stampa appeared first on 360°- il giornale con l'università intorno.

]]>
9197
Suburbicon, nuova frontiera della Black comedy http://www.360giornaleluiss.it/suburbicon-nuova-frontiera-della-black-comedy/ Tue, 19 Dec 2017 14:15:51 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=9104 La vita scorre tranquilla a Suburbicon. In questo piccolo centro residenziale le strade sembrano pulite e gli abitanti cordiali. Siamo alla fine degli anni ‘50 e la middle class americana si rifugia in queste piccole oasi felici. A turbare l’idillio è l’arrivo di una famiglia afro-americana, che indigna la borghesia xenofoba e determina l’inizio di

The post Suburbicon, nuova frontiera della Black comedy appeared first on 360°- il giornale con l'università intorno.

]]>
La vita scorre tranquilla a Suburbicon. In questo piccolo centro residenziale le strade sembrano pulite e gli abitanti cordiali. Siamo alla fine degli anni ‘50 e la middle class americana si rifugia in queste piccole oasi felici. A turbare l’idillio è l’arrivo di una famiglia afro-americana, che indigna la borghesia xenofoba e determina l’inizio di una serie di cruenti comizi davanti alla villetta dei nuovi arrivati. Il film segue il punto di vista dei Lodge, in particolare del figlio Nicky, archetipo della famiglia benpensante e bigotta. Nonostante l’apparente squisitezza della famiglia, il padre di famiglia Gardner, in combutta con la cognata, ingaggia due mascalzoni per uccidere la moglie (interpretate entrambe da una Julienne Moore più perfida che mai), determinato a incassare l’indennizzo assicurativo e a scappare ad Aruba. Beneficiando dell’odio razziale che imperversa nel residence, Gardner e Margaret faranno ricadere i sospetti sulla famiglia afroamericana. Dopo poco però, nonostante l’apparente successo del piano, le cose per i due si complicheranno e la frode rischierà di essere smascherata.
La grande novità presentata dal film è senza dubbio il sodalizio tra George Clooney -alla regia- e i fratelli Coen -come sceneggiatori- che risulta da subito efficace e riesce a calare lo spettatore nelle vicende della cittadina. Suburbicon, presentata all’inizio come un angolo di paradiso, rappresenta in realtà le contraddizioni del mondo borghese. Allo stesso modo in cui un bambino usa la lente di ingrandimento per osservare le formiche, così Clooney posa il suo occhio sul micro-mondo della borghesia americana, sezionandola e ritraendola in maniera caricaturale. Sebbene distante dalle vette raggiunte con capolavori del calibro de “Il grande Lebowski” e “Fargo”, lo stile dei fratelli Coen è rintracciabile in gran parte del film, soprattutto nel gusto per lo splatter e il grottesco che in Suburbicon vengono sapientemente impiegati.
Uno dei punti di forza maggiori di questa pellicola è la sceneggiatura: i dialoghi e le situazioni sono molto ben caratterizzati, ciò nonostante il film non approfondisce le motivazioni dei personaggi, dandole come per scontate. I protagonisti infatti sembrano passivi rispetto allo svolgersi della trama, quasi privi di un loro vissuto antecedente all’inizio del film.
A disorientare ulteriormente la percezione dei rapporti tra i personaggi, contribuisce lo sviluppo della trama che, seguendo punti di vista differenti, svilisce la centralità della storia (soprattutto la prima metà del film). Nonostante ciò, in alcuni punti del film, la regia sembra destarsi e regala delle scene al limite del surreale e del grottesco.
In Suburbicon sembrerebbero esserci tutti gli ingredienti adatti a comporre un buon film: una buona sceneggiatura, una storia accattivante e un’ambientazione pittoresca; ma nonostante ciò non si è riusciti a trovare il giusto bilanciamento tra questi. Nel suo insieme tuttavia, nella pellicola emerge chiaramente l’abilità della regia di estremizzare i contrasti interni al mondo borghese, presentando allo spettatore una caricatura piuttosto apprezzabile.

The post Suburbicon, nuova frontiera della Black comedy appeared first on 360°- il giornale con l'università intorno.

]]>
9104
“Wonder Wheel”: Woody Allen ma non troppo http://www.360giornaleluiss.it/wonder-wheel-woody-allen-non/ Sat, 16 Dec 2017 12:57:22 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=9095 Sono poche le certezze nella vita. Come la morte, o le tasse. O l’annuale film del regista newyorkese, che nonostante avanzi con l’età continua a dare vita alla propria arte, quanto e più di prima. Instancabile. Probabilmente anche per esorcizzare i grandi dilemmi esistenziali che lo perseguitano da sempre e che sono ricorrenti nelle sue

The post “Wonder Wheel”: Woody Allen ma non troppo appeared first on 360°- il giornale con l'università intorno.

]]>
Sono poche le certezze nella vita. Come la morte, o le tasse. O l’annuale film del regista newyorkese, che nonostante avanzi con l’età continua a dare vita alla propria arte, quanto e più di prima. Instancabile. Probabilmente anche per esorcizzare i grandi dilemmi esistenziali che lo perseguitano da sempre e che sono ricorrenti nelle sue opere.
E quindi, esattamente 40 anni dopo il capolavoro “Io e Annie”, Woody Allen torna a Coney Island, New York, negli anni ‘50, per raccontarci una storia di forti passioni, sogni infranti e fugaci speranze.
“Wonder wheel” è la storia di Ginny, interpretata da una strepitosa Kate Winslet, cameriera disillusa, depressa e nevrotica. Succube di un marito violento e alcolizzato (buona anche la prestazione di Jim Belushi), che si rivela progressivamente altruista e sinceramente legato ai suoi cari. Impotente verso un figlio piromane e fuori controllo. Messa a dura prova da un’emicrania lancinante e da un rapporto conflittuale con la figliastra, quest’ultima peraltro ricercata dai gangster. La svolta sembra avvenire grazie ad un nuovo amore. Ma come insegna la tragedia greca, spesso menzionata nel film, il Fato tesse trame troppo complicate per i comuni mortali, si prende gioco di loro. E, alla fine, non risparmia nessuno.

Ginny sognava di diventare attrice e, nonostante avesse ormai riposto le proprie speranze, sembra risorgere, mentre parla dei suoi errori, seduta in spiaggia con il suo amante, Mickey, illuminata da una luce (di un immenso Vittorio Storaro, direttore della fotografia che impreziosisce la pellicola) che la rende per un attimo, ma solo per un attimo, una persona nuova.
Woody torna al dramma, il dramma puro (in stile “Un tram che si chiama desiderio”), questa volta non smorzato (come al solito) dalla sua ironia tagliente, dalle battute di spirito. Ci parla di fallimento, di illusioni, di sogni infranti. Lo aveva fatto in “Blu Jasmine”(2013), e ancora prima in “Interiors” e “Un’ altra donna”. In questo film raggiunge un picco di struggimento e sofferenza, delineando un personaggio che sembra discendere dalla Medea di Euripide, che distrugge se stessa e chi le è vicino. Ginny è “consumata dalla gelosia”, continua a mentire a se stessa per essere felice, ma il Fato, vero motore dell’intera vicenda, non avrà pietà di lei.
“Non venire mai al mondo, può essere il più grande dei doni”. Così disse Sofocle; e lo dice anche lo stesso Allen in “Match point”. Lui ci crede veramente e cerca di convincere il pubblico, questa volta più di altre, proprio eliminando (quasi) del tutto l’elemento comico.

Dirigere un film all’anno rende più difficile costruire trame particolarmente avvincenti, questo è innegabile, ma è anche vero che quando è riuscito a sviluppare determinate intuizioni, Woody, ha realizzato veri e propri capolavori. E poi, nonostante abbia superato gli 80, continua ancora a rinnovarsi e a spaziare da un genere all’altro come se fosse nel pieno della carriera (e degli anni). Peculiarità dei geni. Noi possiamo solo sperare nel genio ed aspettare. Perché Woody Allen è imprevedibile e ha sempre un messaggio per il pubblico. Come lui stesso dice: “in conclusione, vorrei avere un qualche messaggio positivo da trasmettervi. Ma non ce l’ho. Vi accontentate di due messaggi negativi?”. Accontentiamoci.

The post “Wonder Wheel”: Woody Allen ma non troppo appeared first on 360°- il giornale con l'università intorno.

]]>
9095
Jake Gyllenhall alla Festa del Cinema di Roma: dai ricordi di Brokeback Mountain alla prima di Stronger http://www.360giornaleluiss.it/jake-gyllenhall-alla-festa-del-cinema-di-roma-dai-ricordi-di-brokeback-mountain-alla-prima-di-stronger/ Mon, 06 Nov 2017 16:16:15 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=9002 La Festa del Cinema di Roma giunge quest’anno alla sua dodicesima edizione e si conferma come un appuntamento imperdibile per tutti gli appassionati del grande schermo, data la ricchissima kermesse di prime visioni e incontri ravvicinati con i personaggi più in vista del mondo dello spettacolo. L’evento, iniziato il 26 ottobre, proseguirà all’Auditorium Parco della

The post Jake Gyllenhall alla Festa del Cinema di Roma: dai ricordi di Brokeback Mountain alla prima di Stronger appeared first on 360°- il giornale con l'università intorno.

]]>
La Festa del Cinema di Roma giunge quest’anno alla sua dodicesima edizione e si conferma come un appuntamento imperdibile per tutti gli appassionati del grande schermo, data la ricchissima kermesse di prime visioni e incontri ravvicinati con i personaggi più in vista del mondo dello spettacolo. L’evento, iniziato il 26 ottobre, proseguirà all’Auditorium Parco della Musica fino al 5 novembre e oltre alle attesissime premiere di film come “I, Tonya” e “Cuernavaca”, vede in ogni giornata la partecipazione di star del cinema, attori e produttori di fama internazionale. Tra i tanti spiccano il due volte premio Oscar Christoph Waltz, la leggenda del basket americano Phil Jackson e David Lynch, uno dei cineasti più visionari in assoluto.
Domenica 29 ottobre invece, sul palco della trepidante Sala Sinopoli, è salito uno dei volti più amati del panorama hollywoodiano attuale, l’attore americano Jake Gyllenhall, protagonista di alcune tra le pellicole più acclamate, da pubblico e critica, degli ultimi anni, come “Animali Notturni” (2016) e “Lo sciacallo” (2014).L’attore è arrivato a Roma per presentare il suo ultimo lavoro cinematografico,”Stronger”,che racconta la vera storia di Jeff Baumer, il giovane operaio rimasto vittima dell’attentato alla maratona di Boston nel 2013. La bomba esplosa gli causò infatti la perdita delle gambe e il film intende raccontare il lungo e difficoltoso percorso di guarigione, fisico e mentale, che ha dovuto affrontare per riuscire a camminare e, soprattutto, per recuperare i legami con la sua famiglia. L’attore ha affermato che l’incontro con Jeff è stato fondamentale per “raccontare la storia nel modo più onesto possibile” e ama pensare al messaggio del film come ” un modo di comunicare positività e che ci ricorda che possiamo superare ogni sfida che ci si pone davanti”. Per la magistrale interpretazione di Gyllenhall non sono in pochi a ipotizzare una possibile nomination agli Oscar e forse addirittura una vittoria, casella ancora mancante nella finora sfavillante carriera dell’attore.
Durante l’incontro con il pubblico della Festa, Gyllenhall ha ripercorso i momenti più significativi e segnanti della sua carriera, commentando alcuni spezzoni delle sue pellicole più famose propostegli dall’intervistatore. Si è iniziato prevedibilmente da un vero e proprio cult, quale “Donnie Darko”, la cosiddetta “bibbia per gli adolescenti ribelli” e scelto dall’attore per essergli parso un ruolo che “andava oltre la superficie delle cose” e che era in grado di cogliere un più profondo senso di disagio e solitudine comune alla gioventù dei nostri tempi. In seguito si è passati al commento di uno dei capolavori del regista Ang Lee (definito dall’attore come “un cuore con un paio di gambe”),”Brokeback Mountain”, ricordato dall’attore con particolare affetto e commozione per essere stato tra i primi a correre il “rischio” (così percepito da molti nell’ambiente hollywoodiano del tempo) di raccontare una storia d’amore tra persone dello stesso sesso. Gyllenhall afferma senza esitazione, e tra gli applausi del pubblico, di averne letto il  copione senza pregiudizi, ma di averlo visto sempre e solo come “una storia d’amore che è giusto raccontare”, perchè è arrivata l’ora che “è giusto che accettiamo ciò che il nostro cuore sa essere giusto”. Infine l’attore si è divertito a raccontare qualche aneddoto sul suo modo di lavorare e sulla sua predilezione per l’improvvisazione, non essendo a suo dire “in grado di ripetere una battuta due volte allo stesso modo”. A differenza di altri infatti Gyllenhall considera il copione come un semplice “punto di partenza” e che le parole chiave per l’interpretazione di qualsiasi ruolo siano “preparazione e disciplina”, rivendicando una certa esigenza di “libertà” per entrare  al meglio nella parte.
Alla fine dell’intervista è stata poi mostrata  in Sala una clip di un film scelto appositamente da Gyllenhall per l’occasione e,  con stupore del pubblico, si trattava di una scena tratta dal film “La Strada” (1954) di Federico Fellini. Alla domanda del perchè della scelta l’attore ha rivelato che se non fosse stato per quel film lui probabilmente non si troverebbe dov’è adesso, essendo stato determinante nel destare in lui curiosità e ammirazione verso il mondo del cinema.

The post Jake Gyllenhall alla Festa del Cinema di Roma: dai ricordi di Brokeback Mountain alla prima di Stronger appeared first on 360°- il giornale con l'università intorno.

]]>
9002
Loving Vincent: Van Gogh torna in vita per un’esperienza visiva unica. http://www.360giornaleluiss.it/9004-2/ Mon, 30 Oct 2017 12:49:07 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=9004 Scorrono i titoli di coda e gli spettatori in sala rimangono pietrificati sulle loro poltrone, la pellicola appena conclusasi sembra aver ammaliato tutti. La minuzia con la quale l’universo di Van Gogh è stato ricreato lasciano lo spettatore incredulo. La grande novità di questo film è senza dubbio la tecnica con cui il film è

The post Loving Vincent: Van Gogh torna in vita per un’esperienza visiva unica. appeared first on 360°- il giornale con l'università intorno.

]]>
Scorrono i titoli di coda e gli spettatori in sala rimangono pietrificati sulle loro poltrone, la pellicola appena conclusasi sembra aver ammaliato tutti. La minuzia con la quale l’universo di Van Gogh è stato ricreato lasciano lo spettatore incredulo. La grande novità di questo film è senza dubbio la tecnica con cui il film è girato: tutta la storia riportata sul grande schermo è stata prima recitata da attori, poi trasposta in pittura grazie all’opera di centoventicinque artisti che hanno riprodotto su tela ciascuna delle 65mila inquadrature. Il risultato è semplicemente stupefacente, da subito le pennellate pastose e dense calano lo spettatore nell’immaginario campestre dell’artista. Lungo questo scenario tracciato da nervosi colpi di pennello si muove il protagonista, Armand Roulin, giovane debosciato e arrogante, incaricato dal padre di recapitare al fratello dell’artista morente la sua ultima lettera. Giunto nel paesino di Auvers-sur-oise, il ragazzo incontrerà i personaggi che conobbero l’artista nella sua fase di massimo tormento interiore, poco prima di togliersi la vita in aperta campagna. Il dottor Gachet, la bella locandiera, il barcaiolo e gli abitanti del paese, figure romantiche e pittoresche, sono i testimoni ignari delle ultime ore dell’artista, considerato da questi alla stregua di pazzo. La particolare tecnica utilizzata, che in un primo momento può infastidire l’occhio, dopo poco appaga lo spettatore con una potenza visiva unica. La pittura si fa motore e pilastro dell’opera, in grado di trascendere la tela e di trasporre il dipinto in un processo dinamico più che mai vivo. I covoni, i corvi e le case di campagna divengono centro e opera viva in funzione della quale si sviluppa la trama stessa. Sarà il giovane Armand che, con riscoperta sensibilità, coglierà per primo il genio assoluto del maestro Van Gogh e la sua condizione di profondo tormento. Immergersi in questa pellicola è per lo spettatore una terapia, un percorso nuovo che fonde cinema e pittura, un viaggio nell’inconscio appassionato e tormentato dell’artista, che rinnova nello spettatore la scoperta di Van Gogh come padre artistico universale.

The post Loving Vincent: Van Gogh torna in vita per un’esperienza visiva unica. appeared first on 360°- il giornale con l'università intorno.

]]>
9004
“Dunkirk” di Nolan: 9 su 9 http://www.360giornaleluiss.it/dunkirk-nolan-9-9/ Sun, 17 Sep 2017 15:51:27 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8815 Non sarà il genere di tutti e per tutti, ma obiettivamente Dunkirk è un film stupefacente da molti punti di vista. Il primo aspetto che risalta è che, nonostante si tratti di un film di guerra, non si veda una goccia di sangue – o quasi – un must di Nolan (vedi la faccia di

The post “Dunkirk” di Nolan: 9 su 9 appeared first on 360°- il giornale con l'università intorno.

]]>
Non sarà il genere di tutti e per tutti, ma obiettivamente Dunkirk è un film stupefacente da molti punti di vista.
Il primo aspetto che risalta è che, nonostante si tratti di un film di guerra, non si veda una goccia di sangue – o quasi – un must di Nolan (vedi la faccia di Joker dopo i tre pugni sferrati da Batman nella scena cult dell’interrogatorio).
Fuori dagli schemi, come sempre.
Il film narra un episodio della seconda guerra mondiale – tra il 26 maggio e il 3 giugno 1940 – in cui 400.000 soldati britannici sono rimasti accerchiati dai nemici sulla spiaggia francese di Dunkuerqe (che dista poco meno di 50km dalle coste inglesi). La missione è quella di svuotare quanto più possibile la spiaggia attraverso navi pendolari dall’Inghilterra per evitare uno sterminio, mentre i soldati francesi fanno da scudo con trincee.
E’ una trama banale, costruire intorno delle storie per incollare alle sedie i telespettatori non è semplice, ma il regista non ha di questi problemi e, con un tocco di Memento (salti nel tempo), condito da un infallibile Hans Zimmer, ecco il Dunkirk che ci si aspettava.
Colonna sonora imponente e sempre adeguata alla scena, con questo ticchettìo di fondo continuo – classico della premiata ditta Zimmer-Nolan – lascia sempre col fiato sospeso e rende l’apprensione uno dei protagonisti principali.
I dialoghi non sono molti, giusto in un film di guerra che deve esteriorizzare il dramma e il trauma che lascia il conflitto sul viso dei soldati.
Il cast ha lavorato eccezionalmente, in particolare – al solito – Tom Hardy, ancora una volta – dopo aver interpretato Bane, villain di Batman – chiamato ad una recitazione “only eyes” per via della mascherina ad ossigeno visti i 106′ passati in volo su di uno Spitfire (aereo di guerra Britannico).
L’IMAX permette di ammirare le immense spiagge francesi decorate da soldati in fila in attesa di essere portati in salvo, oppure, di morire sotto le incessanti bombe sganciate dagli aerei nemici.
L’inarrestabile ritmo trasporta il combattimento – che non diventa mai noioso – da terra in mare, da mare in cielo, per ricominciare un ciclo continuo che alla fine si riconduce ad un solo ed unico obiettivo: la sopravvivenza.
Infine, il cinismo dei personaggi non oscura gli atti di eroismo, che in un qualsiasi film di guerra devono esistere ed emozionare; anche a costo della vita.

The post “Dunkirk” di Nolan: 9 su 9 appeared first on 360°- il giornale con l'università intorno.

]]>
8815
Dolce tramonto di un imperatore http://www.360giornaleluiss.it/dolce-tramonto-un-imperatore/ Fri, 08 Sep 2017 10:16:48 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8794 Gli hanno infilato i guantoni da box, perché doveva interpretare Jake La Motta. E lui ha vinto due veri incontri a Brooklyn. Gli hanno dato la parte di Don Vito Corleone, e lui ha imparato in sei mesi il dialetto siciliano. Gli hanno detto di interpretare un ex galeotto (in “Cape fear”, 1992). Lui si

The post Dolce tramonto di un imperatore appeared first on 360°- il giornale con l'università intorno.

]]>
Gli hanno infilato i guantoni da box, perché doveva interpretare Jake La Motta. E lui ha vinto due veri incontri a Brooklyn. Gli hanno dato la parte di Don Vito Corleone, e lui ha imparato in sei mesi il dialetto siciliano. Gli hanno detto di interpretare un ex galeotto (in “Cape fear”, 1992). Lui si è riempito il corpo di tatuaggi e ha speso 25 mila dollari per annerirsi i denti. Sul set di “Taxi driver”, lo misero davanti a uno specchio e lui, semplicemente, improvvisò. Scrivendo un pezzo di storia del cinema. Perché Robert De Niro faceva sembrare tutto semplice. Perché Robert De Niro non recitava, lui diventava i suoi personaggi.

“Robert De Niro si butta nel film e nel ruolo assumendo la personalità del personaggio con la stessa naturalezza con cui uno potrebbe infilare un cappotto, mentre Clint Eastwood indossa un’armatura e abbassa la visiera con uno scatto rugginoso” – disse Sergio Leone, che lo diresse in “C’era una volta in America” – “Bobby, prima di tutto, è un attore. Clint, prima di tutto, è un divo. Bobby soffre, Clint sbadiglia”. Versatile, espressivo, istrionico. Un cineasta a tutto tondo: oltre che interprete, è stato anche regista e produttore, nonché fondatore del “Tribeca film festival”. Massimo esponente del metodo Stanislavskij; maniacale, quasi fanatico nella ricerca del punto di contatto fra il proprio mondo interiore e quello del personaggio. Capace di ingrassare 30 kili, mettendo a repentaglio la propria salute, per mettere in scena un Jake La Motta in declino, nel capolavoro scorsesiano “Toro scatenato”, e dando vita ad una delle più grandi performance di sempre. Ha preso parte ad ogni genere di film, dal dramma all’ action movie, dalla commedia romantica all’horror, pur legando indissolubilmente il proprio nome al genere gangster. E poi, sempre convincente; nelle vesti di protagonista assoluto o comparendo soltanto in poche scene (pensiamo al “suo” Al Capone ne “Gli intoccabili”), quando interpreta uno psicopatico o un malato, un padre di famiglia o un killer senza scrupoli. Quando piange nel “Cacciatore” e quando ride, quasi con gli occhi, nel finale di “C’era una volta in America”. Ha lavorato con i migliori registi, tra gli anni ’70 e ’80, prendendo parte alle pellicole più influenti dell’epoca: Francis Ford Coppola, Brian De Palma, Sergio Leone, Bernardo Bertolucci, Micheal Cimino. Ma soprattutto l’amico Scorsese. E non solo. Perché De Niro, semplicemente, era il migliore, in quegli anni. Era una certezza. Come lo era stato Marlon Brando per la generazione precedente, ma senza le manie da divo che contraddistinsero quest’ultimo.

Il successo fu immediato e a meno di 40 anni poteva già vantare due premi Oscar e l’accesso all’Olimpo dei più grandi attori in assoluto. Eppure dopo il ventennio che si protrae dall’inizio degli anni ’70 fino a “Casinó” del 1995, inizia una fase segnata dal graduale abbandono dei personaggi complessi psicologicamente che avevano caratterizzato la sua lungimirante carriera, prediligendo ruoli marginali, film commerciali, commedie (anche poco brillanti) e mediocri action movie, concentrandosi sulla produzione e su altre attività al di fuori della recitazione. Una domanda sorge a questo punto spontanea: perché? Perché rifiutare ruoli di un certo spessore e preferire la quantità alla qualità? Per mancanza di stimoli (e di amor proprio…)? Forse. O forse la presa di coscienza di aver dato tutto ciò che poteva, di non essere più lo stesso. Eppure soltanto nel 2013 ha ricevuto l’ultima nomination al premio più ambito per “Il lato positivo”. La soluzione che persuade maggiormente coincide, forse, con quella più romantica. Bobby è un nostalgico. Sa di non aver dato tutto ciò che poteva, ma sa di aver dato il meglio. Bobby sa di poter ancora essere un grande attore, ma non il più grande, non il migliore. Non più. Sa che le grandi pellicole del periodo della “Nuova Hollywood”, conclusosi negli anni ’80, fanno parte del passato e che, superati i settant’anni, non si è più adatti ad impersonare il sociopatico di Taxi Driver oppure un giovane gangster. È consapevole che è terminato il suo ventennio. Il ventennio in cui Hollywood tremava sentendo il suo nome. Robert De Niro. L’attore che tutti i registi volevano dirigere, con cui tutti volevano recitare. L’attore di cui tutti i film hanno bisogno. Uno che non recitava di soffrire. Soffriva.

The post Dolce tramonto di un imperatore appeared first on 360°- il giornale con l'università intorno.

]]>
8794
Miss Peregrine – La casa dei bambini speciali di Tim Burton http://www.360giornaleluiss.it/miss-peregrine-la-casa-dei-bambini-speciali-di-tim-burton/ Mon, 23 Jan 2017 16:08:17 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8003 Una caratteristica che ha sempre portato il pubblico ad amare i film di Tim Burton è il fatto che ogni sua pellicola porta la sua firma indelebile dalla prima all’ultima inquadratura: ambientazioni fiabesche e gotiche, i protagonisti incarnati da personaggi stravaganti che si trovano a fronteggiare problemi quali la solitudine e l’emarginazione, queste caratteristiche sono

The post Miss Peregrine – La casa dei bambini speciali di Tim Burton appeared first on 360°- il giornale con l'università intorno.

]]>
Una caratteristica che ha sempre portato il pubblico ad amare i film di Tim Burton è il fatto che ogni sua pellicola porta la sua firma indelebile dalla prima all’ultima inquadratura: ambientazioni fiabesche e gotiche, i protagonisti incarnati da personaggi stravaganti che si trovano a fronteggiare problemi quali la solitudine e l’emarginazione, queste caratteristiche sono quelle che rendono i film di Burton senza ombra di dubbio suoi, e i personaggi indubbiamente frutto della sua mente da sognatore fuori dagli schemi.

Purtroppo gli ultimi lavori del regista americano, quali ‘Big Eyes’, ‘Dark Shadow’ e i due ‘Alice in Wonderland’ avevano lasciato gli amanti del vero Burton a bocca asciutta, quasi preoccupati che questa nuova ricerca di uno stile diverso ma affine, lo avesse portato a perdere di vista se stesso con un inevitabile fatica ad infondere negli spettatori quelle tipiche sensazioni caratteristiche che sono parte integrante delle sue pellicole.

Burton, però, non si arrende, come potrebbe dopo capolavori come ‘Sweeney Todd’, e nel 2016 torna nelle sale cinematografiche con il film: ‘Miss Peregrine-La casa dei ragazzi speciali’. Storia, quella di Miss Peregrine, tipicamente burtoniana che racconta le avventure di Jake (Asa Butterfield), adolescente di Miami caratterizzato da due grandi, quanto malinconici occhi blu.

La morte del nonno e la velata consapevolezza che ha Jake di non appartenere al mondo “normale” lo spinge in una piccola isola del Galles alla ricerca di un gruppo di bambini dai talenti speciali che vivono in una casa diretta da una misteriosa direttrice, Miss Peregrin ( Eva Green). L’incontro con una bambina di nome Emma,cattivi che si fingono buoni, mostri mangia occhi, portali temporali sono solo alcuni degli elementi presenti nel film di Burton e che cambieranno per sempre la vita di Jake.

Nell’insieme è un film gradevole con caratteristiche originali che nonostante la quantità di colpi di scena riesce comunque a presentarsi allo spettatore con una certa linearità conducendolo a un finale che non lascia niente di non detto o in sospeso.

Ciò che col tempo pare stia tristemente venendo meno sono però le atmosfere, quella fiamma che rendeva i film di Burton tali che pare si stia spegnendo a poco a poco.

E’ così che il regista in mancanza dei suoi punti di riferimento ai quali aggrapparsi si affida a una sorta di usato garantito dando vita a un cliché cinematografico senza infamia e senza lode. E’ una situazione complicata nella quale incappano solo quei cineasti che hanno lasciato un segno, e Tim Burton è senza ombra di dubbio uno di questi. Miss Peregrin, purtroppo, non rappresenta ancora la risposta che il regista stava cercando per riuscire a ritrovare dentro di se ciò che rendeva egli stesso un ‘bambino speciale’ e di cui noi non possiamo far altro che aspettare il ritorno.

The post Miss Peregrine – La casa dei bambini speciali di Tim Burton appeared first on 360°- il giornale con l'università intorno.

]]>
8003
The Young Pope http://www.360giornaleluiss.it/the-young-pope/ Sun, 15 Jan 2017 14:56:13 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=7959 “Sono una contraddizione, sono tutto”. Così esordiva Pio XIII, al secolo Lenny Belardo (Jude Law), nelle prime scene rilasciate alla stampa: primo papa americano della storia, tanto giovane quanto restio a strategie di comunicazione, così progressista nelle idee da risultare un conservatore convinto. Un personaggio unico e controverso ci presenta Paolo Sorrentino alla sua prima

The post The Young Pope appeared first on 360°- il giornale con l'università intorno.

]]>
“Sono una contraddizione, sono tutto”. Così esordiva Pio XIII, al secolo Lenny Belardo (Jude Law), nelle prime scene rilasciate alla stampa: primo papa americano della storia, tanto giovane quanto restio a strategie di comunicazione, così progressista nelle idee da risultare un conservatore convinto. Un personaggio unico e controverso ci presenta Paolo Sorrentino alla sua prima esperienza televisiva, dove l’aspetto umano e spirituale si alternano e combattono episodio dopo episodio, alla ricerca di un Dio assente come i suoi genitori hipster che lo abbandonarono in orfanotrofio.

Nell’universo del regista napoletano ogni personaggio risulta essere di una singolarità eccezionale, a tratti ironico, ma con una profondità caratteriale e visiva di primo ordine (grazie anche alle eccellenti prove del cast): il napoletano Voiello (Silvio Orlando,) Segretario di Stato appassionato di finanza e potere almeno quanto di calcio, la direttrice dell’orfanotrofio e madre spirituale Sister Mary (Diane Keaton), figura di assoluta stima e fiducia del giovane papa, insieme con il severo ma comprensivo cardinale Spencer, padre spirituale e contendente alla più alta carica dello Stato Vaticano insieme a Belardo.

E questo solo per citarne alcuni: infatti Sorrentino costruisce una trama avvolgente intorno a questi e ad altre figure rilevanti in diverse situazioni che si ripercorrono durante gli episodi: dal caso del millantatore Tonino Pettola, alla missione in Africa con l’ambigua suor Antonia, al caso di pedofilia nella diocesi di New York. Il tutto condito da costanti ma brevi attimi di “manifesta” santità di un papa che, episodio dopo episodio, si mostra nella figura tanto carismatica quanto fragile, tipica delle figure di potere del mondo sorrentiniano. Personaggio che si nutre di attimi dirompenti e scene memorabili, così come per tutta la durata della serie, ogni singola apparizione dei diversi comprimari (per citare alcuni il nostro primo ministro interpretato da Stefano Accorsi o quello della Groenlandia) da spunto a riflessioni potenti e visionarie nella mente di Pio XIII, toccando temi come quello degli omosessuali nella Chiesa e dell’aborto.

Narrato come un’opera più vicina alla cinematografia che all’opera seriale (“un film di 10 ore” come tiene a sottolineare spesso il regista), dove le 10 puntate si eclissano e risorgono autonome ma coese dal viaggio terreno e divino di Belardo, con una sigla iniziale che rimarrà impressa per molto nel mondo delle serie TV. The Young Pope raggiunge i livelli più alti della filmografia di Sorrentino, riprendendo ed elevando il suo riconoscibile stile barocco in una Roma estiva e nostalgica a lui così cara, passando per monologhi e aforismi tipici della sua narrazione a musiche evocative e oniriche che supportano ogni singola scena. Lo spettatore si trova così a vivere in prima persona il dramma dell’ossessione umana del papa, arrivando ad un finale rivelatore e suggestivo dove Pio XII riesce a rispondere alle domande che si era posto nel suo cammino di fede e laicità.

O almeno non ancora tutte… la recente conferma della seconda stagione riapre molti interrogativi a cui noi non vediamo l’ora di rispondere!

The post The Young Pope appeared first on 360°- il giornale con l'università intorno.

]]>
7959
Sequel: how to make it http://www.360giornaleluiss.it/sequel-how-to-make-it/ Mon, 26 Dec 2016 15:53:17 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=7865 Cameron annuncia il sequel di Avatar. Solo pochi giorni fa il regista americano ha confermato l’uscita di Avatar 2, il sequel del famoso omonimo film del 2009 vincitore di tre premi Oscar. Ogni giorno arrivano notizie di questo tipo: registi che dopo anni di silenzio decidono di ritornare alla ribalta, o film makers che vogliono

The post Sequel: how to make it appeared first on 360°- il giornale con l'università intorno.

]]>
Cameron annuncia il sequel di Avatar. Solo pochi giorni fa il regista americano ha confermato l’uscita di Avatar 2, il sequel del famoso omonimo film del 2009 vincitore di tre premi Oscar.

Ogni giorno arrivano notizie di questo tipo: registi che dopo anni di silenzio decidono di ritornare alla ribalta, o film makers che vogliono darsi un’altra opportunità con un sequel, diventato quest’ultimo oggetto di discussioni sempre più accese e prorompenti.

Cos’è un sequel? Un appagamento del nostro desiderio di saperne di più, un bisogno forse morboso del nostro non saperci distaccare da un personaggio in cui ci siamo rivisti, o forse soltanto un semplice modo di far soldi? Alcuni credono si tratti solo di fan service, e ogni tanto è così. Ma spesso i sequel sono richiesti a gran voce dai fan, che si basano su filoni importanti della trama, e che richiedono, secondo gli appassionati, un approfondimento. Chissà che fine hanno fatto i protagonisti di ‘Harry ti presento Sally’, chissà se si amano ancora. Sono curiosità che vogliamo vedere chiarite, ed è diventata ormai consuetudine, per il mondo del cinema e della tv, vedere petizioni in cui si richiede a gran voce un sequel di qualsiasi tipo.

Rappresentano per i registi e per i fan anche un grosso rischio: vedere i propri personaggi preferiti venire storpiati, depersonalizzati, defraudati da ciò che ce li aveva fatti amare, tutto questo potrebbe farci rimpiangere di aver desiderato vedere il seguito. E’ quello che è successo per molti film, come Dirty Dancing, Mean Girls, Donnie Darko e così via. La lista è lunga, e lo stesso vale per i telefilm, come il nuovo arrivato nel mondo Netflix, Una mamma per amica.

In ogni caso, a prescindere dal risultato, i sequel servono a rispondere alla domanda:e dopo cosa è successo?’. Prima di questa abbondanza di proseguimenti, come le infinite stagioni di Grey’s Anatomy, lo spettatore doveva ‘sorbirsi’ una storia imposta dall’alto, che iniziava e finiva in un determinato modo, e poteva solo fare congetture. In questi anni, il sequel è un ordine, un prerequisito di ogni cosa. Automaticamente, lo spettatore vuole di più, e spesso questo suo desiderio viene soddisfatto, a volte bene, a volte male.

Spesso deleghiamo questo nostro desiderio a chi di dovere, chiedendo a registi, sceneggiatori e attori di inscenare ancora una volta quel pezzo che ci era piaciuto tanto, in cui Sally fingeva un orgasmo di fronte a una cameriera. Fammi rivivere quella scena, chiediamo a gran voce. Ci raccontino ancora di come si sono innamorati, e se e come sono rimasti insieme quello scapestrato di Harry e l’ossessiva Sally. E’ un rischio, si sa, ma a volte il gioco vale la candela.

The post Sequel: how to make it appeared first on 360°- il giornale con l'università intorno.

]]>
7865