cultura – 360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it Thu, 22 Feb 2018 10:08:30 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.8.2 http://www.360giornaleluiss.it/wordpress/wp-content/uploads/2017/02/cropped-300px-32x32.png cultura – 360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it 32 32 97588499 Omaggio alla Settima Arte http://www.360giornaleluiss.it/omaggio-alla-settima-arte/ Tue, 25 Oct 2016 14:35:13 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=7333 Siamo nel periodo più in fermento dell’anno. A Ottobre si sa, le città pullulano di eventi e festival e sagre che una volta arrivati a Natale siamo già stanchi – o Nati stanchi, come direbbero i nostri cari comici Ficarra e Picone, giusto per restare in tema. E cosa è successo a Roma negli ultimi

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Siamo nel periodo più in fermento dell’anno. A Ottobre si sa, le città pullulano di eventi e festival e sagre che una volta arrivati a Natale siamo già stanchi – o Nati stanchi, come direbbero i nostri cari comici Ficarra e Picone, giusto per restare in tema. E cosa è successo a Roma negli ultimi dieci giorni di Ottobre si sa pure, soprattutto se siamo stati bombardati su qualsiasi social dall’hashtag #RomaFF11. Che non è una sigla di formula uno, ma più semplicemente l’acronimo per 11° Roma Film Fest, l’evento più atteso dal pubblico romano cineasta, oltre che dagli innumerevoli appassionati di cinema, romani e non, cultori sfegatati e non.

“Eleganza e internazionalità sono fra gli elementi fondanti della mia idea di Festa: è questo il senso dell’immagine simbolo di quest’anno, che vede danzare Gene Kelly insieme a Cyd Charisse.” Così risponde ai microfoni dei telecronisti Antonio Monda, Direttore Artistico del Festival per il secondo anno, mentre i cameramen inquadrano la ballerina statunitense Cyd Charisse abbandonarsi alla romantica presa di Gene Kelly, nell’intramontabile Singin’ in the Rain.
Eleganza e internazionalità dunque, ma non solo: discontinuità e varietà sono gli altri due temi chiave di quest’anno, per un festival che fosse questa volta dinamico e non ingabbiato nella tipica formula concorsuale – il festival mummificato da concorsi e premi che piaceva davvero poco al pubblico capitolino. Non a caso dunque ne è derivata la scelta di cambiare il nome da « Festival » in « Festa », e giusto perchè non solo l’Auditorium di via Pietro De Coubertin si vestisse a festa ma la Capitale tutta, non è stato difficile reperire manifesti e indicazioni sparsi a tappeto per la città. Proprio così, come in una sorta di Cammino di Santiago in salsa romana – « Il Cammino per Roma », si potrebbe azzardare! – si peregrinava dal centro alla periferia – perfino le Carceri di Rebibbia sono state imbandite a cineforum – dal Red Carpet di via De Coubertin a quello di via Condotti, passando per gli appuntamenti al Maxxi e alla Casa del Cinema di Villa Borghese.

La struttura della festa ha una forma decisamente poliedrica: non bastava la Selezione Ufficiale – categoria sotto la quale vengono presentate 44 pellicole di 26 paesi in anteprima mondiale per concorrere al Premio del Pubblico -, Monda ha pensato bene di andare a pescare negli altri Festival, giusto perchè il suo pubblico non restasse a bocc’asciutta, e così ha inserito Tutti ne parlano, una piccola sezione con quattro film che hanno ricevuto particolari attenzioni in altri festival. Non meno importante, per il Direttore Artistico, è il tema del dialogo, motivo per cui è nato Incontri Ravvicinati, ovvero uno spazio in cui fosse possibile per il pubblico fare il proprio incontro con le grandi personalità dell’arte, spaziando dai grandi del cinema come Oliver Stone, Bernardo Bertolucci, David Mamet, Viggo Mortensen, Meryl Streep e Roberto Benigni, passando per l’arte contemporanea con Gilbert&George, per finire alla musica con Jovanotti, Michael Bublé e Paolo Conte. Senza considerare l’ovazione ricevuta da Tom Hanks, primo fra tutti ad aprire le danze su Red, o i numerosi selfies scattati col cast di The English Patient, che si è mostrato brioso e accessibile al pubblico nell’ultima giornata della Festa, domenica 23.
Le altre sezioni della Festa riguardano le Retrospettive, due  delle quali dedicate rispettivamente a due grandi del cinema inglese ed italiano, nei nomi di Tom Hanks e Vittorio Zurlini, e l’altra alla politica statunitense, con l’intento di dare una rispolverata ai miti del passato a meno di un mese dalle elezioni presidenziali. Suggella il tutto Alice nella Città, la sezione autonoma e parallela alla Festa del Cinema dedicata al cinema per ragazzi, ormai fedele alleato della kermesse romana. 

Dieci giorni di full immersion dentro questo parco divertimenti, all’interno delle sale messe sù da Renzo Piano – seppur sprovviste di Wi-Fi – in effetti sono stati una cosetta così. Forse in poche altre occasioni non si è avvertita la nostalgia della rete, avviluppati come si era dal network di artisti, imprenditori e addetti stampa che scivolavano giù lungo il tappetone rosso da mattino a sera. E nel frattempo cibo e musica a cielo aperto a fare da sfondo. Già, proprio una cosetta da nulla.

 

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HO VISTO UN RE http://www.360giornaleluiss.it/ho-visto-un-re/ Thu, 13 Oct 2016 16:25:09 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=7215 Aveva novant’ anni e ancora tanta voglia di ridere e di vivere. Anche sul letto di morte ha voluto scherzare sul suo stato di salute: “E’ come una sfida a ramino. Puoi vincere o perdere, ma quel che conta è la partita.” Queste le ultime parole del drammaturgo italiano. Nato a Sangiano nel 1926, Dario

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Aveva novant’ anni e ancora tanta voglia di ridere e di vivere. Anche sul letto di morte ha voluto scherzare sul suo stato di salute:
E’ come una sfida a ramino. Puoi vincere o perdere, ma quel che conta è la partita.” Queste le ultime parole del drammaturgo italiano.

Nato a Sangiano nel 1926, Dario Fo crebbe in una famiglia molto creativa che presto l’avvicinò al mondo delle favole e del teatro. Nel 1940 la Seconda Guerra Mondiale irruppe con violenza nella vita degli italiani e il promesso scrittore, appena diciannovenne, si arruolò come volontario tra le file della Repubblica di Salò. Sopravvissuto agli orrori della guerra si avvicinò agli ambienti di sinistra ricevendo – contestualmente e non a torto – numerose critiche per il suo passato da neofascista. Nel 1954 incontrò e sposò il suo grande amore, Franca Rame. Dopo aver fondato nel 1962 la Compagnia Dario Fo-Franca Rame, la coppia iniziò a lavorare per la Rai creando il celebre programma “Canzonissima”. Collaborazione che però terminò relativamente presto a causa della forte censura che nel frattempo veniva loro rivolta. Avveniva allora il primo avvicinamento al teatro che portò poi alla creazione dell’opera Miste Buffo; in essa Fo mostrò le sue grandi abilità nell’usare una satira sottile ma ben affilata. Con l’avvento degli anni di piombo s’interessò invece di politica e di vicende sociali, indirizzandosi verso un teatro che lui stesso definiva “di strada”. In quegli anni infatti andava maturando in lui la necessità di trovare un pubblico proveniente dalle classi più basse e discriminate. Decise così di dar luogo a rappresentazioni teatrali improvvisate in ambienti non tradizionali e anticonformisti. In particolar modo, fu con “Morte accidentale di un anarchico” – opera che fa riferimento alla morte di Pinelli – che Fo si avvicinò sempre più a movimenti radicali e anarchici per arrivare per l’appunto a difendere individui coinvolti in atti terroristici dallo sfondo politico. Tuttavia, per via di questa sua posizione politica fu inizialmente minacciato per poi ricevere anche delle forti intimidazioni. Nel 1973 la sua cara moglie venne sequestrata e stuprata da un gruppo di militanti neofascisti con il sotteso scopo di punire il marito per le attenzioni rivolte al mondo comunista. Fu profondamente anticlericale, anche se negli ultimi anni di vita – soprattutto da quando nel 2013 venne a mancare Franca – il suo pensiero cominciò ad accarezzare la possibile esistenza di un Dio. Con il programma Rai “Teatro di Dario Fo” si aprì al grande pubblico: elemento fondamentale per la sua candidatura al premio Nobel. Premio che arrivò nel 1997, “Perché, seguendo la tradizione dei giullari medioevali, dileggia il potere restituendo la dignità agli oppressi”. Sorpreso per la vittoria, Fo commentò così: “Con me hanno voluto premiare la gente del teatro”.

Saviano, Fazio, Calabresi, il New York Times, il Senato italiano e tante altre Istituzioni hanno oggi espresso il proprio cordoglio per la sua inaspettata morte. Impossibile dire quanto sia stato importante per la cultura del nostro paese, lui che con la sua allegria e la sua particolare attenzione per la gente comune riusciva a fare della satira costruttiva e gioiosa. Nel 1997 gli veniva conferito a sorpresa il premio più ambito per la letteratura ed oggi, proprio nel giorno della sua morte, a diciannove anni di distanza lo stesso premio lo vince un altro grandissimo cantautore che, rompendo con gli schemi convenzionali, ha dedicato la sua vita a fare arte per il popolo: si tratta di Bob Dylan. Coincidenze? Io credo proprio di no.

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Parigi: una finestra sul mondo. http://www.360giornaleluiss.it/parigi-una-finestra-sul-mondo/ Wed, 16 Sep 2015 15:03:53 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=4249 Se un anno fa mi avessero detto che a quest’ora sarei stata intenta a scrivere un articolo dalla mia camera a Parigi non ci avrei mai creduto. Tutto questo perché per me essere andata a studiare lontano da casa era già stato un vero passo e l’idea di dover iniziare tutto di nuovo mi spaventava. Che cosa mi

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Se un anno fa mi avessero detto che a quest’ora sarei stata intenta a scrivere un articolo dalla mia camera a Parigi non ci avrei mai creduto. Tutto questo perché per me essere andata a studiare lontano da casa era già stato un vero passo e l’idea di dover iniziare tutto di nuovo mi spaventava. Che cosa mi ha spinto allora a fare domanda per l’Erasmus alla Sciences Po Paris? Di preciso non lo so, ma forse la voglia di provare nuove sfide, di confrontarmi e di imparare hanno finito per vincere ancora una volta.

Ma arriviamo al dunque, il mio Erasmus comincia ancora prima dell’inizio delle lezioni con la ricerca della casa, e, per chi non lo sapesse, trovare casa a Parigi è un vero incubo. Armata di pazienza, trascorro tre giorni (e sono stata fortunata) a visitare una Parigi insolita fatta di appartamenti “en colocation” e monolocali microscopici, fino a quando, ormai rassegnata e con l’idea di mettere un sacco a pelo sotto un ponte sulla Senna, non trovo una bella camera a venti minuti di metro dall’università, in una casa da condividere con la classica Madame parigina che tiene sempre una baguette in cucina.

Tuttavia, la vera avventura nella Città delle Luci inizia a fine agosto. La prima mattina mi alzo e cerco di farmi un caffè con la moka che, da buona italiana, mi sono assicurata di portare. Sfortunatamente, la Madame mi spiega che sulle piastre elettriche della cucina la moka “ne marche pas” e se voglio posso utilizzare una caraffa per farmi il caffè solubile. Sconvolta da questa eresia, cerco subito di rimediare e al primo negozio Nespresso che trovo mi precipito a comprare una bella macchinetta con le cialde. Ah, ora si inizia a ragionare!
Un altro problema sorge nel momento del bagno: qua in Francia hanno l’usanza di avere la “Salle de bain” con la vasca, la doccia e il lavandino e poi “la toilette”, solitamente dall’altra parte della casa, con il wc. Non potete capire quindi lo smarrimento provato all’inizio e quante volte ho sbagliato “bagno”.

Le lezioni sono iniziate il 31 agosto e fin da subito i professori hanno assegnato capitoli da leggere e presentazioni da fare con scadenze ferratissime, in barba a tutti gli eventi che fanno qua in Francia per rendere la ‘rentrèe‘ il più piacevole possibile.

Nonostante questo, come ogni università che si rispetti, tra una lezione e l’altra, non possono mancare gli appuntamenti mondani: pic-nic, bevute e serate in discoteca che farebbero concorrenza agli eventi organizzati da Mamma LUISS, e che ti fanno conoscere l’anima multiculturale di questa città.

Parigi è infatti la culla di persone che vengono da ogni parte del mondo, ognuna con le proprie esperienze e le proprie aspettative, che camminano con lo sguardo spaesato ma anche ricco di curiosità e di voglia di accettare nuove sfide. Ed è bello vedere come questo renda possibile scoprire nuove tradizioni e soprattutto nuovi modi di vivere, che ti mettono continuamente in discussione e che ti fanno, allo stesso tempo, apprezzare le diverse sfumature dell’umanità. E per me, adesso, la cosa più affascinante è questa, vedere che le culture non sono muri, ma sono solo finestre da cui guardare con angolazioni diverse lo stesso cielo.

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MyLLENNIUM AWARD 2015: intervista a Paolo Barletta http://www.360giornaleluiss.it/myllennium-award-2015-intervista-a-paolo-barletta/ Fri, 08 May 2015 10:23:14 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=3632 È  sufficiente dare una sommaria occhiata all’accattivante sito di MyLLENNIUM AWARD 2015 per realizzare che qualcuno ci sta ancora osservando, che qualcuno si aspetta ancora qualcosa da noi. Innovazione e creatività, le prime parole che vengono in mente, interrompono il mutismo inflessibile dello scroll su Facebook e lasciano spazio a due pensieri immediati. Il primo

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È  sufficiente dare una sommaria occhiata all’accattivante sito di MyLLENNIUM AWARD 2015 per realizzare che qualcuno ci sta ancora osservando, che qualcuno si aspetta ancora qualcosa da noi.

Innovazione e creatività, le prime parole che vengono in mente, interrompono il mutismo inflessibile dello scroll su Facebook e lasciano spazio a due pensieri immediati. Il primo ha a che fare con la personalità. MyCITY, MySTARTUP, MyBOOK, MyJOB e MyREPORTAGE sono le sezioni del Premio Barletta 2015: la voglia di conoscere il progetto di ognuno si staglia, chiara, tra gli sgargianti colori della pagina. La seconda considerazione parte dal countdown sulla destra del sito. Un solo pensiero attraversa la mente del giovane che la sfoglia: il tempo sta finendo.

Il mantra del performare con risultati ottimali in un arco di tempo limitato ce lo si porta dietro da un po’, tra i Millennials. Ci siamo chiesti come, quando e perché. E la risposta ci è arrivata da Paolo Barletta, AD del Gruppo Barletta S.p.A. e Presidente di MyLLENNIUM AWARD 2015.

 

Economia, Europa e lavoro sono le tre direttrici lungo cui devono muoversi i partecipanti, rigorosamente italiani under 30, di MyLLENNIUM AWARD, sezione My Book. Attraverso l’esperienza che il Gruppo Barletta svolge quotidianamente, quali sono secondo Lei gli immediati riscontri futuri per i giovani su queste tematiche?

La sfida più importante, in questo mercato e’ sicuramente la flessibilità ed il sapersi reinventare e, spesso, adattare. Il mercato va molto più veloce di quanto le persone percepiscono e temporeggiare, spesso, significa perdere occasioni. Sono molto ottimista sulla ripresa economica dei prossimi anni. Veniamo da una crisi importante e il Quantitative easing, appena avviato, porterà anche in Europa una nuova fase espansiva. Questo è il momento di essere pronti per poter massimizzare i benefici di questa ripresa. È l’occasione da non perdere per tutti i Millennials.

Il Gruppo Barletta si è speso nel sostenere attivamente progetti ed iniziative a scopo benefico, trasversalmente riconosciute. Quali sono i motivi che l’hanno spinta ad incentrare questo nuovo progetto sulla figura del giovane under 30?

Essere parte attiva all’interno della propria comunità e’ una prerogativa fondamentale che‎ ogni gruppo imprenditoriale dovrebbe avere. Le realtà in cui operiamo ci danno molto ed è importante poter “restituire”, contribuendo ai loro miglioramenti e mantenimenti.

Il mio Gruppo ha cercato di perseguire questa mission impegnandosi nella ricerca, nella costruzione di scuole e asili, nella realizzazione di progetti di arredo urbano o attività quali la cooperazione allo sviluppo e l’assistenza umanitaria. Ritenevamo, però, ‎che tra i veri grandi asset del nostro Paese, i nostri giovani fossero quello più prezioso.

 

Qual è la realtà urbanistica di Latina, città in cui il Gruppo Barletta da anni lavora, e quali sono le caratteristiche che ricercherete nei progetti di arredo urbano presentati per la sezione My City di MyLLENNIUM AWARD?

Latina e’ una città con una fortissima impronta storica ma al tempo stesso, è una città nuova, una città satellite, costruita e voluta da Benito Mussolini durante il ventennio fascista. La città sorge su ex paludi bonificate e rese abitabili. Per questa ragione e per la presenza di acqua a bassissimi livelli, la città incentrò le sue costruzioni su palazzi a ‘mo di palafitta.

Mio padre, quando costruì le torri oggi conosciute come ‘Palazzi Barletta’, rivoluzionò le metodologie costruttive della città. Oggi, la città ha moltissime forme di costruzioni, con molti grattacieli, anche più alti dei nostri. La città all’epoca terminava a Palazzo M, un palazzo che aveva appunto la forma di M iniziale di “Mussolini”. Oggi Latina ha inglobato i palazzi Barletta all’interno del centro città, infatti le costruzioni si sono estese fino ai borghi e fino al mare. Spesso i confini sono solo un limite temporale e di questo mio padre ne era fortemente convinto.

Dai giovani vorremmo progetti innovativi che possano racchiudere e spiegare lo spirito e le logiche storiche del passato, guardando però al futuro ed all’innovazione, che, anche nell’urbanistica, è un elemento fondamentale. “Osare con logica” – è questo, il mio consiglio.

 

Qual è, secondo Lei, la nuova frontiera della cosiddetta Generazione Y? Cosa, nello specifico, il mondo dell’imprenditoria italiana chiede ai Millenials per poterne entrare a far parte?

Viviamo in mondo altamente globalizzato. Ormai non c’è più un mercato locale, piuttosto è di mercato globale, che si parla. Credo che questo sia un aspetto che un giovane aspirante imprenditore, non possa far a meno di considerare.

Ci sono settori molto radicati nel territorio come le costruzioni; altri, fortemente votati all’estero come il commercio e/o l’export, servizi compresi. Ad ogni modo anche se si opera in una realtà locale, è fondamentale pensare in grande. Capire i propri limiti e superarli volta per volta, con attenzione e cautela. Non importa solo cosa si fa, è fondamentale, piuttosto, pensare a come lo si implementa. Studiare i modelli vincenti adottati in altri Paesi, ci permetterà di continuare ad essere leader in molti campi. Gli Italiani lo sono, anche se i giornali lo dicono troppo poco. “L’imprenditore attento non inventa nulla. Piuttosto innova, riadatta e rilancia. Gli Italiani lo hanno sempre fatto” – Questo, è il mio consiglio – “Guardatevi attorno, studiate, carpite ogni sensazione e, se avete la possibilità, viaggiate il più possibile. Se non l’avete, trovate qualsiasi mezzo per farlo. E’ fondamentale, oggi più che mai!”.

 

Paolo Barletta

AD – Gruppo Barletta S.p.A.

Presidente, Myllennium Award 2015 – Premio Raffaele Barletta

 

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Periscope: l’applicazione del momento http://www.360giornaleluiss.it/periscope-lapplicazione-del-momento/ Sat, 02 May 2015 12:55:35 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=3500 eriscope è un’applicazione sviluppata da Twitter attraverso cui ognuno di noi può fare video e trasmetterli in diretta con il mondo. Questa applicazione si sta ancora evolvendo e la maggior parte degli utenti la sta testando, anche se ci sono alcune testate giornalistiche che ne hanno immediatamente capito il potenziale e hanno iniziato a trasmettere

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Periscope è un’applicazione sviluppata da Twitter attraverso cui ognuno di noi può fare video e trasmetterli in diretta con il mondo.
Questa applicazione si sta ancora evolvendo e la maggior parte degli utenti la sta testando, anche se ci sono alcune testate giornalistiche che ne hanno immediatamente capito il potenziale e hanno iniziato a trasmettere in diretta alcuni contenuti.

Ho iniziato ad utilizzare questa app da un mese e focalizzandomi su alcuni contenuti sono riuscito a rilassarmi guardando un tramonto sul mare, entusiasmarmi osservando il panorama dall’Empire State building e divertirmi guardando una parata a Disneyland. Tutto ciò da casa mia, nel giro di cinque minuti.

Altre volte invece, alcuni utenti hanno cercato di creare un rapporto con il pubblico organizzando eventi in cui gli utenti potevano dare consigli su come fare alcune cose, come è successo la settimana scorsa in cui un utente non sapeva cucinare un piatto e il pubblico gli ha detto come farlo e quali ingredienti doveva utilizzare.

Il funzionamento dell’app è molto intuitivo e semplice, infatti basta scaricare l’applicazione “Periscope” sul proprio dispositivo e, se si è già utenti su Twitter, è sufficiente accedere con il proprio account o creare un nuovo profilo per arrivare alla schermata principale dove è possibile vedere i live delle persone che si segue, guardare i video girati dagli utenti del mondo o crearne uno nuovo. E’ inoltre possibile seguire degli utenti estranei alla propria cerchia di follower su Twitter e ricevere delle notifiche quando questi iniziano a girare il proprio video e quindi la diretta.
Durante i video è possibile lasciare dei cuori (di colore diverso per ogni utente) che saranno visibili in basso a destra: questi cuori stanno ad indicare il gradimento dell’utente rispetto al video che è in live. Più cuori ricevete, più il vostro evento sarà sensazionale.

Il futuro di questa applicazione è ancora incerto, ma promette molto bene. Come al solito, saranno gli utenti a fare l’ago della bilancia.

Vai al sito di Periscope

 

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Università è cultura: visita all’Istituto Giapponese con LEP http://www.360giornaleluiss.it/visita_istituto_giapponese_lep/ Wed, 01 Apr 2015 20:06:12 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=3018 Con la primavera ormai ufficialmente iniziata, l’Istituto Giapponese di Cultura ha aperto le porte del suo meraviglioso giardino ai visitatori. Grazie a LUISS LEP, un nutrito gruppo di studenti della LUISS ha avuto il privilegio di visitare l’Istituto e giardino – una visita altrimenti difficile, dato che c’è il tutto esaurito per l’intera stagione.    

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Con la primavera ormai ufficialmente iniziata, l’Istituto Giapponese di Cultura ha aperto le porte del suo meraviglioso giardino ai visitatori. Grazie a LUISS LEP, un nutrito gruppo di studenti della LUISS ha avuto il privilegio di visitare l’Istituto e giardino – una visita altrimenti difficile, dato che c’è il tutto esaurito per l’intera stagione. 

  

L’Istituto Giapponese di Cultura si trova a Valle Giulia, a pochi passi dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna. È un edificio dagli inequivocabili tratti nipponici, sito proprio sotto alla facoltà di architettura de La Sapienza.
Siamo stati accolti dalla curatrice della mostra, in questo periodo sugli aquiloni e la loro importanza nella cultura giapponese. La mostra e l’intero Istituto sono liberamente visitabili tutto l’anno. A disposizione anche una biblioteca e una sala studio molto accogliente.

 

La prima tappa della nostra visita, giusto per rafforzare gli stereotipi, è stata una lezione di origami! Un vero maestro della carta giapponese ci ha guidati nella creazione di un grande classico: la gru. Con molta pazienza e buona volontà, divertiti dagli aneddoti raccontati dal Sensei, siamo riusciti tutti a fare il nostro origami. I risultati erano variabili, ma eravamo tutti molto divertiti lo stesso.
Oltre alla creazione in sé, il maestro ci ha raccontato la filosofia e la storia dell’arte giapponese del piegare la carta, trasportandoci per un attimo nell’antico Giappone all’epoca dei Samurai, che oltre ad avere padronanza della spada, dovevano essere ferrati sugli usi e i costumi dell’alta società, compresa quella del piegare la carta, creando dei piccoli doni di buono auspicio. Ci siamo spostati poi nel giardino giapponese, vero motivo della nostra visita e orgoglio dell’Istituto. La curatrice dell’Istituto ci ha fatto da guida, svelandoci i segreti del giardino, colmo di significati spirituali e simbolismo. Dall’aspetto molto curato, e anche se all’apparenza la disposizione delle piante e degli elementi decorativi sembra casuale, in realtà nulla nella cultura giapponese viene lasciato al caso.
Il giardino giapponese è soprattutto un punto d’unione tra uomo e natura, un luogo dove poter stare in raccoglimento e contemplazione, magari ascoltando il rumore dell’acqua, o semplicemente ammirando l’equilibrio della natura.
Nessun elemento è lì per caso: dal pino nano metafora di longevità, al glicine con la sua particolare importanza nella cerimonia del tè, alla lanterna di pietra simbolo buddhista ripreso nella cultura giapponese.    

  

Mancava purtroppo uno dei simboli più noti della primavera nipponica: sakura, i fiori degli alberi di ciliegio. Gli alberi c’erano, ma per la fioritura eravamo un paio di settimane in anticipo.

L’unico elemento che stonava erano gli ulivi. Seppur non tradizionali del Giappone, anche la loro presenza è voluta: sono stati piantati nel giardino oltre quaranta anni fa per sottolineare l’amicizia tra Italia e Giappone, e fanno da controparte ai ciliegi giapponesi piantati intorno al laghetto dell’EUR.

 

Sebbene il giardino non sia normalmente aperto al pubblico, il resto dell’Istituto Giapponese di Cultura lo è tutto l’anno. Vengono organizzati eventi di vario genere, e il calendario è facilmente consultabile dal sito dell’Istituto. È un ottimo modo per vedere dei film giapponesi, o ascoltare della musica tradizionale nel loro auditorium, attività che difficilmente potreste fare altrove nella città.

Approfittato della visita, abbiamo dato uno sguardo alla mostra. Oltre agli aquiloni tradizionali di carta, spiccano le bamboline okiagari-koboshi. Con la loro particolare forma “a pera” e un punto di equilibrio particolarmente basse, queste bamboline se ribaltate si rialzano in piedi da sole. Tradizionale gioco per bambini in Giappone, hanno assunto un forte significato simbolico dopo il terremoto, tsunami e disastro nucleare che hanno colpito il paese l’11 marzo del 2011 – sono diventate simbolo di una nazione che si rialza in piedi dopo la catastrofe. Le bambole, prodotte nella prefettura di Fukushima, vengono vendute per raccogliere fondi per le popolazioni colpite.

Con una particolare iniziativa, diverse bamboline sono state spedite a celebrità e stilisti di molti paesi, e sono attualmente visionabili nell’Istituto, dove potete vedere anche quella decorata dal sindaco di Roma Ignazio Marino in supporto all’iniziativa. 

  

È stata una visita molto interessante e istruttiva, un assaggio della cultura e tradizione giapponese nel cuore della nostra città. Un’esperienza formativa, per la quale faccio le lodi a LUISS LEP (Liberta È Partecipazione), una delle più meritevoli associazioni studentesche del nostro ateneo, che ha organizzato questa visita.

Le porte dell’Istituto Giapponese di Cultura sono sempre aperte ai visitatori, e offre molteplici modi di arricchimento culturale. Sicuramente una visita consigliata, e che io stesso rifarò.

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Roma: la storia eterna http://www.360giornaleluiss.it/roma-la-storia-eterna/ Mon, 16 Mar 2015 12:52:16 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=2554 Prendiamo una bella giornata di sole, clima tiepido, di quelli che ti invogliano ad uscire di casa dopo un lungo e freddo inverno. Bene, adesso inseriamoci, per avere uno spettacolo perfetto, uno dei palchi scenici più belli di sempre, quello di Roma, la città eterna. Una Roma che tutti ammirano, piena di monumenti che ci

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Prendiamo una bella giornata di sole, clima tiepido, di quelli che ti invogliano ad uscire di casa dopo un lungo e freddo inverno. Bene, adesso inseriamoci, per avere uno spettacolo perfetto, uno dei palchi scenici più belli di sempre, quello di Roma, la città eterna. Una Roma che tutti ammirano, piena di monumenti che ci permettono di essere famosi in tutto il mondo.
Ma Roma è solo questo? Chi vive in questa splendida città non può negare che essa riservi mille sorprese e non smetta mai di stupire. Una di queste è la recente apertura del Bunker di Mussolini a Villa Torlonia.

La Villa, situata sulla Nomentana, non troppo lontano da Porta Pia, racchiude vari edifici, adibiti a musei e mostre, tra cui la famosa Casa delle Civette, e un parco immenso dove in molti vanno a fare jogging e a rilassarsi.

Tra il 1925 e il 1943, Giovanni Torlonia Jr. la affittò alla cifra simbolica di una lira a Benito Mussolini, che ci si trasferì con la sua famiglia.Quando la guerra si fece sempre più minacciosa, il duce pensò bene di costruire lì un rifugio dove poter mettere in salvo la sua vita e quella dei suoi familiari durante i bombardamenti.Il primo ambiente scelto fu quello sotto il laghetto del Fucino, nel parco, attrezzato nel 1940 e fatto dotare di doppie porte blindate e di un sistema antigas di filtraggio e rigenerazione dell’aria, che veniva azionato con una manovella. L’illuminazione era a batteria, vi erano un gabinetto, un telefono, la cassetta del pronto soccorso ed un letto.Tuttavia, a causa dello spazio ridotto, la convivenza al suo interno sarebbe stata possibile solo per poco più di cinque ore.Il dittatore decise allora di realizzare un secondo rifugio, più funzionale, all’interno dello stesso Casino Nobile, che fu utilizzato dal 1942 al 1943.

Mussolini fece poi scavare sotto il piazzale antistante al Casino un bunker, ad una profondità di più di 6 metri, con una pianta a forma di croce e galleria a sezione circolare, il tutto coperto da uno strato di cemento spesso quattro metri. Tuttavia i lavori di rifinitura, come il sistema di aerazione, non furono terminati a causa delle difficoltà incontrate durante lo scavo, dovute ad un territorio poco adatto per sostenere tutta la struttura, ma soprattutto per via dell’arresto improvviso di Mussolini.La visita di questi siti, oggi totalmente ristrutturati, è arricchita anche da dei pannelli illustrativi che aiutano i visitatori a comprendere meglio una delle mille facce del ventennio fascista. Inoltre, vi sono riproduzioni degli oggetti che erano stati posti lì da Mussolini o dai suoi familiari, oltre ad un apparecchio radio che riproduce il messaggio di annuncio della caduta del dittatore.

Un lavoro di ristrutturazione che ha permesso di valorizzare un altro angolo di Roma, di mettere in luce aspetti nascosti di un’epoca fatta di dolori, guerre e distruzioni che dovrebbero non ripetersi mai.
Quale occasione migliore, dunque, per imparare qualcosa e scoprire un altro angolo della città eterna? Roma infatti non è solo rovine, non è solo passato, ma è storia che vive e della quale noi siamo parte.

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“ArtBonus”: le Majors del cinema internazionale tornano a Roma http://www.360giornaleluiss.it/artbonus-le-majors-del-cinema-internazionale-tornano-a-roma/ Wed, 11 Mar 2015 08:28:39 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=1748 Era il lontano 1959 quando il Maestro, Federico Fellini iniziò a girare “La Dolce Vita”, non un semplice film, ma un’opera che incarnava le profonde trasformazioni, economiche e culturali del secolo. Era l’Italia del Dopoguerra, gli anni che definirono e costruirono l’identità dell’alta moda italiana, facendo diventare Roma non più, solo, la “città della politica”

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Era il lontano 1959 quando il Maestro, Federico Fellini iniziò a girare “La Dolce Vita”, non un semplice film, ma un’opera che incarnava le profonde trasformazioni, economiche e culturali del secolo. Era l’Italia del Dopoguerra, gli anni che definirono e costruirono l’identità dell’alta moda italiana, facendo diventare Roma non più, solo, la “città della politica” e del Vaticano, ma la seconda capitale del cinema. Sono gli anni dei “cafè” di Via veneto, dei giornali illustrati, della pubblicità, del boom economico ma soprattutto il periodo che ha riconosciuto all’Italia una centralità che ancora oggi le permette di esportare nel mondo “La grande bellezza”.

Dopo pochi mesi dall’approvazione del decreto “ArtBonus” che ha permesso l’aumento del fondo per le agevolazioni fiscali al cinema, sono stati attratti i primi investimenti esteri in Italia nel settore della produzione cinematografica. Proprio come avvenne nel 1947 quando il Segretario di Stato americano George Marshall annunciò “l’European recovery program” anche noto come il “piano Marshall” che permise all’Italia di avviarsi verso un periodo di rinascita.

Il legame col cinema hollywoodiano si manifestò a Roma, nei famosi studi di Cinecittà, storico stabilimento creato in via Tuscolana nel 1937. Dal 1951 grandi produzioni americane come “Quo vadis?” di Mervyn LeRoy, “Ben Hur” e “Vacanze romane” di William Wyler furono girate nella Capitale. Nacque così l’”Hollywood sul Tevere”, grazie anche a un’apposita legge che non consentiva ai produttori stranieri di esportare i guadagni realizzati in Italia, obbligandoli di fatto a reinvestire in loco. Con “La Dolce vita”, Via Veneto era diventata l’epicentro della mondanità tra chalet e paparazzi si potevano avvistare grandi attori italiani e internazionali: Cary Grant, Marcello Mastroianni, Kirk Douglas, Anita Ekberg, Sophia Loren, Audrey Hepburn e Ava Gardner e molti altri ancora.

Il binomio moda-cinema divenne peculiare, le grandi dive approdavano nella Città Eterna per interpretare schiave e regine, ancelle e imperatrici. Nelle pause dal set, iniziarono a frequentare gli atelier romani, cominciando l’esportazione del “Made in Italy” nel mondo. Nel 1949 Linda Christian si fece confezionare l’abito da sposa dalle sorelle Fontana. Lana Turner e Ingrid Bergman divennero fedeli clienti di Fernanda Gattinoni, mentre Sophia Loren e Gina Lollobrigida preferivano le creazioni fastose di Emilio Schuberth, lo stilista napoletano che contava tra le sue ammiratrici anche Soraya, la bellissima imperatrice moglie dell’ultimo Scià di Persia, Reza Pahlavi.

Quest’anno grandi produzioni internazionali torneranno a essere girate a Roma. In particolare sono in preparazione a Cinecittà il remake di “Ben Hur”, vincitore di 11 Premi Oscar. La casa di produzione Metro Goldwyn Mayer torna con nuova prospettiva sulla storia, rispetto all’edizione del 1959 diretta da William Wyler, con Charlton Heston . La nuova sceneggiatura è firmata da John Ridley, vincitore del premio Oscar, nel 2014, con “Dodici anni schiavo”. Anche “Spectre” il ventiquattresimo capitolo della saga di James Bond, l’agente segreto più affascinante della storia, sarà girato nel cuore di Roma e diretto nuovamente dal regista inglese Sam Mendes. Proprio in questi giorni abbiamo visto la spia di Sua Maestà, con l’iconica Aston Martin DB10, la nuova erede della DB5 di Sean Connery in Goldfinger, alle prese con inseguimenti mozzafiato su via Nomentana. Le altre location individuate dalla casa di produzione sono il Lungotevere, il Colosseo e l’attesa scena madre a Ponte Sisto, uno dei ponti più belli della città, con le sue quattro arcate rivestite di travertino. Qui, Bond sarà paracadutato da un elicottero, con un’entrata spettacolare nella Citta Eterna degna dei miglior film di 007.

Questo interesse e ritorno delle Majors nel Belpaese è dovuto al decreto “ArtBonus”. Il Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, non ha nascosto la propria soddisfazione per l’ottimo risultato raggiunto: “Le grandi produzioni internazionali sono tornate a Cinecittà portando indotto grazie agli incentivi fiscali più ampi previsti dal decreto ArtBonus (…)- Un risultato straordinario, l’Italia continua ad attrarre e affascinare tutto il mondo del cinema offrendo location uniche nelle città, nei borghi e gli stabilimenti di Cinecittà che, dopo un periodo buio, sono tornati a ospitare produzioni internazionali di grande livello.”

L’appetito degli investitori internazionali è condizionato dall’immagine che l’Italia ha dato di sé. Certo “La Dolce vita” è passata, Via veneto non è più quella di una volta, ma sono certa che ogni dubbio dei potenziali investitori si dissolverà non appena arriveranno a Roma, con la sua atmosfera unica fatta di tramonti e rovine, scopriranno l’arte del nostro Paese, la cultura, il buon gusto, il “Made in Italy”.

Bisogna investire nell’arte come strumento per valorizzare l’eccellenza italiana, con la speranza che queste produzioni cinematografiche riaccendano i riflettori su Roma, reinterpretando il fascino e l’attitudine dell’“Hollywood sul Tevere” con tutti i suoi stimoli creativi e produttivi.

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Daniel Baremboin, quando la musica non é solo una professione http://www.360giornaleluiss.it/la-musica-non-solo-come-professione/ Fri, 16 Jan 2015 09:51:25 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=1781 La musica è un modo di vita da fare con professionalità, sono queste le parole di Daniel Baremboin, rilasciate in un’intervista a Che tempo che fa, che ci aiutano a capire il senso che lui stesso ha voluto dare alla sua esistenza. Una vita trascorsa tra i più grandi teatri di tutto il mondo, che

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La musica è un modo di vita da fare con professionalità, sono queste le parole di Daniel Baremboin, rilasciate in un’intervista a Che tempo che fa, che ci aiutano a capire il senso che lui stesso ha voluto dare alla sua esistenza. Una vita trascorsa tra i più grandi teatri di tutto il mondo, che gli ha permesso di ottenere un’indiscussa fama internazionale come pianista e come direttore d’orchestra e di regalarci il suo straordinario talento.

La musica, musa di tutta la sua vita, viene da lui definita ‘aria sonora‘. Sostiene che con la musica si possa comunicare, ma soprattutto vivere emozioni contrastanti, assaporare il dono della simultaneità, dell’eternità e della morte. Nella musica c’é ogni colore della vita.
E Baremboin é sicuramente riuscito a cogliere ogni sfumatura dell’esistenza umana, lasciando che il suo talento potesse essere una guida non solo nella sua carriera musicale, ma anche nel suo impegno sociale. La musica, quindi, usata per educare ma soprattutto per creare dialogo.

Nato nel 1942 a Buenos Aires da genitori Israeliani, da sempre si é infatti impegnato per la difesa dei diritti palestinesi, definendo la vicenda arabo-palestinese, che va avanti dal 1948, come un ‘maledetto conflitto’. Ha tentato di sostituire la discordia e l’odio con l’armonia della musica. Per questo, ha cercato di creare, con il suo grande dono, momenti di riflessione e di dialogo tra i due popoli. Ha suonato nel 1967, assieme alla famosa compagna Jacqueline du Pré, all’inizio della Guerra dei Sei Giorni, poi del Kippur e infine del Golfo. Come segno di riconoscimento il popolo palestinese gli ha concesso la propria cittadinanza, nel 2008, rendendolo l’unico uomo cittadino sia di Israele che della Palestina.
Tuttavia, uno dei contributi più significativi è arrivato nel 1999, quando assieme a Edward Said, scrittore e professore palestinese, ha fondato il workshop ”West-Eastern Divan“, che ogni estate invita giovani musicisti israeliani e degli altri Paesi arabi a lavorare insieme in orchestra. L’obiettivo é quello di creare un dialogo tra le culture del Vicino Oriente, che vada al di là delle credenze politiche e religiose, ed usi un’unica lingua: la musica.
Questo successo ha portato all’avvio di un altro progetto per l’educazione musicale nei territori palestinesi, che comprende la fondazione di un asilo musicale e l’istituzione di un’orchestra giovanile palestinese.
L’idea che un’educazione musicale sia possibile e necessara sin da bambini lo ha spinto, inoltre, a creare un asilo musicale a Berlino, nel settembre del 2005. Come lui stesso sostiene, ‘la musica non é elitista e dove ci sono tagli alla musica é perché vi é ignoranza’. Infatti, afferma che l’80% di tutti i bambini che frequentano questa scuola continuano a studiare la musica anche successivamente.

Barenboim a fine Dicembre ha lasciato il ruolo di direttore d’orchestra de La Scala, ricoperto dal 2005. Il Maestro ricorda l’orchestra de La Scala come un’orchestra curiosa, e sottolinea come la curiosità sia un elemento essenziale, oltre la bravura, per migliorarsi e per scoprire le infinite sorprese che la musica non si stanca mai di offrire.

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Il giro del mondo in ottanta cucine, quando il viaggio è a portata di forchetta http://www.360giornaleluiss.it/il-giro-del-mondo-ottanta-cucine-quando-il-viaggio-e-portata-di-forchetta/ Sat, 29 Nov 2014 15:54:32 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=1178 Poca fantasia, scarsa autonomia finanziaria e troppi esami da recuperare. Tanta voglia di viaggiare e… anche di più di mangiare. Nasce cosi, in un noioso giovedì romano, l’idea di intraprendere un viaggio ‘’culinario’’, un’esperienza tra le cucine del mondo, restando ferma, o perlomeno, senza né aereo né biglietto: solo forchetta e coltello (e talvolta neanche

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Poca fantasia, scarsa autonomia finanziaria e troppi esami da recuperare. Tanta voglia di viaggiare e… anche di più di mangiare. Nasce cosi, in un noioso giovedì romano, l’idea di intraprendere un viaggio ‘’culinario’’, un’esperienza tra le cucine del mondo, restando ferma, o perlomeno, senza né aereo né biglietto: solo forchetta e coltello (e talvolta neanche quelli) e girare Roma. Roma e le sue molte, diverse cucine. Scoprendo che anche restando a casa posso arrivare lontana, con un piatto ‘’chicken tikka’’ trovarmi a Nuova Delhi, con un sorso di sangria di nuovo sentire il profumo degli aranci di Cordoba, con un piatto di zighinì immaginarmi ad Asmara, salvo poi girare l’angolo e ritrovarmi davanti al Colosseo.

La prima tappa di questo viaggio nella‘’multiculturalità culinaria‘’ di Roma inizia al ristorante Asmara, specialità eritree. L’accoglienza è calorosa e il sorriso aperto del personale lascia andar via gli indugi dovuti ad una cucina così distante dalla nostra, speziata e piccante, fatta di odori e consistenze del tutto estranee a quelle cui siamo usi.
Già scorrendo il menù, è facile lasciarsi trasportare lontano, tra profumi e immagini ben distanti dal caos romano, dai piattoni di pasta fumante delle osterie più genuine della‘’magggica’’. Anche la lista dei vini incuriosisce, ma per questa prima volta decidiamo di tranquillizzarci con una birra di produzione eritrea, la ‘’birra asmara’’, capitale eritrea.
Il cameriere raccoglie le nostre ordinazioni e mentre aspettiamo l’arrivo dei piatti ci introduce alla cultura culinaria eritrea, descrivendoci il momento del pasto come un rituale di condivisione e comunanza..mi viene alla mente quella mia amica siciliana, che sempre mi sgrida per la mia(cattiva)abitudine di consumare i miei pasti di corsa, davanti allo schermo del televisore o del computer, senza concentrarmi su profumi e gusto ma solo sulle lancette dell’orologio che mi intimano di fare presto..istintivamente rido e penso che poi tutta questa lontananza non c’è.

Arrivano gli antipasti: lo shiro, una purea di ceci o fave, dal sapore intenso e corposo e i falafel, piatto che prima d’ora avevo solo distrattamente mangiato in uno dei tanti‘’kebabari’’, ma di cui ora apprezzo fino in fondo il sapore. Infine il pane etiope farcito con salse ed Hummus, il mio girovita ringrazia vi siano solo quattro fette nella porzione, altrimenti con quel profumo e quella avvolgenza ne avrei fatte fuori almeno un‘altra dozzina. Spazzoliamo tutto troppo presto e per fortuna a consolarci ci pensa la bionda al nostro tavolo, una birra chiara, lager, di normale gradazione, che peró non fa rimpiangere affatto le artigianali di gradi plato.

Eccoci alla portata principale. Ci spiegano, con una gran pazienza aggiungerei, che non ci saranno posate, i piatti nel loro paese si servono in grandi vassoi, da cui ogni commensale attinge la propria porzione, senza formalità. La cucina è famiglia e sorriso, gioia e condivisione appunto. Tra l’euforia e la titubanza ci lanciamo all’assalto. Non posso spiegare il senso di libertà che ho provato nell ‘agguantare il primo boccone con le mie mani, alla faccia di mia madre che ogni volta che non uso una posata simula un attacco di cuore e mi urla di essere una cafona senza alcun rispetto. Alla faccia tua mamma.
Assaltiamo l’obama mix, con carni di agnello, manzo macinato e pollo servite con accompagnamento di verdure stufate e riso pilaf. Le pietanze sono servite sopra una grande fetta di pane, in realtà più che fetta lo‘’ injera’’, o pane piatto di teff, grano o sorgo, un cereale tipico, sembra una crepe, ed effettivamente ha una consistenza spugnosa, nulla a che fare con il filone di lariano o la pagnotta con cui ” lucido” il piatto facendo scarpetta. Per mangiare bisogna prendere il pane, farne una tasca e agguantare con questa il cibo. Il risultato è un morso che racchiude in se diverse consistenze e diversi sapori, si mischiano spezie, biete, carote, i vari tipi di carne, creando un mix incredibilmente equilibrato. Assaggiamo poi lo zighinì, i sapori sono forti e avvolgenti. Gli stufati di carne sono un piatto cardine di questa cucina, di regola sono accompagnati dalla berberè, una miscela di spezie composta da erbe comuni ed alcune rinvenibili solo in terra eritrea.

Tra il pieno e il leggermente brillo, finiamo il nostro pasto luculliano e ci convinciamo a prendere il caffè, lo stesso che si può sorseggiare nella vera Asmara, anche qui, nulla da invidiare al mio amato Roma, che seguito a preferire giusto per George e le sue disavventure con fascinose ma alquanto infide fans. Esco da questa piccola oasi con la voglia di tornarci, con l’ansia di ricreare, una volta a casa, quell’atmosfera di convivialità e comunione, priva di formalismi e cerimonie. Il mio viaggio nella cucina eritrea finisce qui, in mente ancora le spezie e i sapori di una cultura ricca di odori e suggestioni.
Prossima meta, Spagna. Arrivederci zighinì, benvenuto salmorejo.

 

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