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]]>Data la schiacciante e inequivocabile vittoria del no, il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha annunciato le proprie dimissioni alle 00:25, quando lo spoglio era ancora in corso: “Mi assumo tutte le responsabilità della sconfitta. Volevo ridurre il numero delle poltrone. La poltrona che salta è la mia”. Personalmente, credo sia solo da lodare la coerenza di un uomo politico che ha fatto esattamente quello che aveva annunciato, all’inizio della campagna elettorale, nel caso in cui il no avesse vinto. Visibilmente emozionato, Renzi ha tenuto un discorso molto pacato e distensivo, chiaro, senza rancore e con il rispetto per il verdetto delle urne. Il segretario del PD rassegnerà le sue dimissioni al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, oggi pomeriggio. Martedì, invece, ci sarà la direzione del Partito Democratico, nel corso della quale, probabilmente, si deciderà anche la strada da seguire per il partito che ha la maggioranza in Parlamento.
Ritornando alle dimissioni, il presidente Mattarella potrebbe:
Obiettivamente, la prima ipotesi sembra assolutamente remota, dato il senso di quanto detto da Renzi nell’annunciare le sue dimissioni. Per non parlare del fatto che nel fronte del no c’è stata anche buona parte della minoranza del PD che, a questo punto, non darebbe sicuramente più la fiducia al premier.
La terza ipotesi è ancora più improbabile. Si andrebbe a votare infatti con l’Italicum alla Camera e il Consultellum (cioè il “Porcellum”, così come modificato dalla Corte Costituzionale) al Senato. Ricordo che l’Italicum è un sistema che garantisce alla lista più votata (al primo turno o dopo l’eventuale ballottaggio) di avere la maggioranza assoluta dei seggi. Il Consultellum, invece, è un proporzionale con le preferenze, senza premio di maggioranza e con soglie di sbarramento del 2 o del 4%. Percorrendo questa strada il Paese si ritroverebbe in una situazione analoga a quella del 2013, se non più confusionaria, con l’obbligo di fare un governo di larghe intese.
Quindi, l’ipotesi più realistica è la seconda: Mattarella accetterà le dimissioni di Renzi e, dopo le consultazioni con i presidenti di Senato e Camera, i senatori a vita e i leader dei gruppi parlamentari, darà un mandato esplorativo ad un esponente politico o tecnico (come Presidente del Consiglio incaricato si fanno i nomi di Franceschini, Delrio, Padoan e Grasso) al fine di verificare se ci siano le condizioni per formare un nuovo governo che, a questo punto, potrebbe essere formato solo per approvare una nuova legge elettorale valida per entrambi i rami del Parlamento. Se le condizioni ci saranno, il soggetto in questione scioglierà la riserva e darà vita al nuovo governo; in caso contrario, il Presidente della Repubblica potrebbe anche sciogliere le Camere.
In ogni caso, è innegabile come la caduta del governo Renzi, nato circa 1000 giorni fa, aprirà una fase di grande incertezza politica ed economica per il nostro Paese. Sicuramente l’ormai prossimo ex Presidente del Consiglio non si aspettava una sconfitta di queste dimensioni. Il 40 % delle ultime europee si è trasformato nel 40% del referendum, con la differenza che, mentre alle europee fu una vittoria che sembrava sancire una duratura luna di miele tra Renzi e il popolo italiano, questa volta quel numero ha rappresentato una pesante sconfitta con venti punti di differenza rispetto a chi ha vinto. A mio personalissimo parere Renzi ha sbagliato, specie nelle prime fasi della campagna elettorale, a personalizzare eccessivamente la campagna referendaria. In seguito ha corretto il tiro, ma ormai il dado era tratto. Molta gente ha interpretato questo voto come un plebiscito “in stile De Gaulle” pro o contro Renzi; per questo sono d’accordo con le sue dimissioni (fosse rimasto sarebbe stato accusato di essere attaccato alla poltrona). Comunque, il Paese si è allontanato presto dallo spirito di quelle europee: è diventato insensibile ad annunci e promesse del governo (alcune delle quali, va detto, sono state realizzate e non sono rimaste aria fritta). È anche vero che è impossibile che oltre 19 milioni di italiani abbiano votato semplicemente contro Renzi; evidentemente questa riforma non è piaciuta, per un motivo o per l’altro, a tanta gente. È certo che molti sostenitori del no hanno studiato in maniera approfondita il contenuto della riforma e, molto semplicemente, non hanno voluto appoggiarla.
Adesso toccherà al PD, e ancora allo stesso Renzi se ne rimarrà segretario, indicare una strada per uscire dalla situazione di profonda incertezza odierna. Un governo va messo in piedi alla svelta e va approvata una nuova legge elettorale, la più condivisa possibile dalle forze politiche.
Riguardo ai vincitori di questo referendum, cioè il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, la Lega Nord di Salvini, Forza Italia di un redivivo Berlusconi e la minoranza PD di D’Alema, rappresentano una formazione fin troppo variegata e disomogenea per poter essere anche maggioranza di governo. Ulteriore ragione per cui è necessaria una seppur breve unità nazionale per poter ritornare alle urne con una legge che garantisca un vincitore certo se non la sera stessa delle elezioni, quantomeno dopo rapide consultazioni del Presidente della Repubblica.
Di sicuro, di una giornata referendaria in un senso o nell’altro storica, quello che ha colpito è stata la grande partecipazione al voto dei cittadini, che hanno sentito questa chiamata alle urne come vitale per il Paese. Renzi ha fatto una scommesso e ha perso, ciò che importa davvero adesso è che si inizi a parlare finalmente di futuro e non dell’ennesimo salto nel buio.
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]]>The post Corsa all’ultimo voto: Renzi alla Nuvola di Fuksas appeared first on 360°- il giornale con l'università intorno.
]]>Ed è proprio il quesito che l’ha fatta da padrone sul maxi schermo, per quasi tutta la durata della manifestazione, rendendosi simbolo emblematico e imprescindibile per la discussione che ne è scaturita.
Frecciatine rivolte a Raggi, Grillo e Salvini hanno intervallato le fervide ragioni che, secondo il premier, dovrebbero portare l’Italia a credere nella proposta di cambiamento fatta dal Governo, proposta da cui deriverà ‘il futuro dell’Italia intera’. Una proposta che ha subito più di duemila votazioni e ottantacinque milioni di emendamenti nel procedimento.
In un totale di cinquanta minuti partiti da un mea culpa sulla personalizzazione della causa e la sua politicizzazione, si è fatta la corsa all’ultimo voto, perché ‘ci siamo, è la settimana finale, quella decisiva per l’esito’.
La proposta viene mostrata all’interno di una comparazione dei costituzionalismi europei contro quello vigente in Italia: il bicameralismo paritario è unico tra monocameralismi e bicameralismi imperfetti, in cui le seconde camere sono espressione delle autonomie territoriali.
Punto chiave nella discussione è la questione di fiducia che passerebbe dall’essere esercitata da entrambe le Camere ad una sola di queste. Ci sarebbe, pertanto, un limite all’instabilità che ci colpisce di frequente a causa di governi caduti per questo motivo.
Frequenti gli spunti raccolti dal pubblico relativi alle perplessità nutrite sia dalla maggioranza dell’elettorato che dalle opposizioni: Renzi, raccogliendole, le ha rese la linea guida del suo discorso, dal deficit di democrazia alla deriva autoritaria prospettate rispettivamente da Berlusconi la prima e da Casa Pound la seconda. Il Premier risponde, per il rischio di deficit di democrazia, che il sistema dei pesi e contrappesi resta lo stesso, nonostante i senatori conteranno di meno e saranno espressione delle autonomie territoriali ma comunque, sottolinea, saranno eletti dal popolo e privi di stipendio. Alla seconda perplessità obietta che, nonostante tutto, l’Italia è una grande democrazia in cui una deriva autoritaria è impossibile anche solo da immaginare.
In fondo, spiega il Presidente del Consiglio, ciò che egli sta proponendo è solo un completamento di anni e anni di innumerevoli precedenti proposte di politici e di commissioni susseguitesi nel tempo che hanno provato a superare il bicameralismo paritario, risultato di un compromesso tra le diverse forze politiche presenti in Assemblea Costituente.
È un ‘SI o MAI’ a detta di Renzi: una riforma che riduce il garantismo del sistema odierno e i costi della politica, tagliando gli sprechi attraverso la riduzione del numero dei parlamentari. Una riforma a cui neanche gli elettori dei M5S dovrebbero dire di no ‘per coerenza con la loro storia’, essendoci la riduzione dei quorum referendari, l’obbligo di discutere proposte di legge popolari e quello di ridurre i costi. La loro opposizione, pertanto, sarebbe puro ostruzionismo alla riuscita della modifica da sempre auspicata da ogni parte politica.
In chiusura, viene proiettata una clip in cui è chiesto ad un famoso calciatore quale sia stato il momento più bello di tutti nella sua carriera e la risposta è delle più poetiche: ‘non un grande goal ma un semplice passaggio’ a monito che ‘devi fidarti dei tuoi compagni altrimenti tutto è perduto’.
Sicuramente qualcuna delle quattromila persone presenti l’avrà convinta. E voi siete convinti? In fondo, #bastaunsì.
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]]>The post Leopolda: quei tre giorni che fanno la differenza appeared first on 360°- il giornale con l'università intorno.
]]>Io sono una persona che, invece, a quella domanda del sondaggio ha sempre attribuito un punteggio molto alto. Sarà che la militanza in un’organizzazione politica giovanile modella la tua visione e amplifica la convinzione di avere tutte le energie per cambiare ciò che non va, ma sono altrettanto convinta che anche senza questa esperienza avrei risposto “sì, per me il contributo del singolo – in forma di voto, di partecipazione a un dibattito, di creazione e collaborazione ad attività – non solo conta, ma fa anche la differenza”.
Dopo aver partecipato alla settima edizione della “Leopolda”, la convention del Partito Democratico che prende il nome dalla stazione fiorentina in cui è ospitata, questa mia convinzione si è ulteriormente rafforzata.
Chi mi conosce sa quanto sia restia a esternare sentimenti e quanti soprannomi abbia prodotto questo mio modo d’essere, ma in poche righe vi voglio raccontare la mia esperienza, senza tralasciare tutto il carico emotivo ad essa legata.
La Stazione Leopolda è un luogo aperto a tutti i cittadini, senza selezioni, che permette di ritrovarsi insieme in un ambiente stimolante e discutere, ascoltare, interagire con persone nuove, emozionarsi.
E’ un luogo dove la partecipazione dei cittadini è centrale grazie ai tavoli di lavoro, la gente comune anima la discussione e il relatore – un ministro, un sottosegretario o un parlamentare – prende nota degli interventi, alimentando il dibattito e cercando di sviscerare il pensiero delle persone con cui si trova a dialogare. Tra tutti i tavoli tematici organizzati, ho scelto quello dal titolo “Ricostruire”, incentrato sulle strategie di ricostruzione delle terre colpite da calamità naturali: da orgogliosa abruzzese, non avrei potuto scegliere un tavolo diverso.
Ho raccontato di come il terremoto del 2009 ha scosso la mia terra, il mio paesino e la mia vita di ragazzina di 15 anni; di quanto è stato doloroso vedere i miei concittadini senza più un tetto, il centro storico del mio paese interamente buttato giù, i borghi d’Abruzzo rasi al suolo e L’Aquila in ginocchio. Solo ricordi? No. Davanti a esperti del settore e politici, ho presentato una mia interpretazione – con punti di forza e debolezza – di come sono state affrontate le fasi di emergenza e ricostruzione. Le soluzioni per le terre del centro Italia che ho proposto e discusso sono state annotate dai relatori e immediatamente confrontate con dati economici e quadro normativo vigente, per verificarne la fattibilità. “Cristiana, hai pienamente ragione. Abbiamo sbagliato in più punti e ce ne assumiamo la piena responsabilità. Rimetteremo in piedi il centro Italia e l’Abruzzo. Lo faremo per la tua gente e per te, che tanto ami la tua terra”: questo è stato il momento in cui mi sono sentita parte integrante della comunità politica e in cui ho compreso che ognuno ha il dovere di esprimere il proprio pensiero, perché dall’altra parte c’è qualcuno che ti ascolta, che prende a cuore la tua visione delle cose e che si fa portavoce delle tue istanze.
A Firenze ho anche capito che c’è davvero spazio per noi giovani. Si era intuito dal titolo – “E adesso il futuro” – che la presenza degli under 30 avrebbe fatto la differenza: è stata una iniezione di fiducia vedere sul palco ragazzi di tutte le età pronti a raccontare le loro splendide esperienze di amministratori locali, di membri di organizzazioni giovanili o di semplici cittadini desiderosi di mettersi in gioco per migliorare le realtà in cui si vive. E ho anche capito che in tantissimi, oramai non più giovani, credono ancora in noi e sono disposti a tenere il ritmo delle giovani generazioni, sostenendo in tutti i modi le nostre energie e la nostra voglia di fare, come fanno i genitori con i figli, come funziona in una famiglia vera.
E, a proposito di famiglia, la Leopolda è anche il luogo in cui ti senti talmente a casa che non provi vergogna nell’emozionarti pubblicamente fino alle lacrime per alcuni interventi sugli argomenti che più ti stanno a cuore, che non ti fai scrupolo di abbracciare gente sconosciuta in maniera casuale a fine manifestazione, che ti senti talmente protetto e sicuro da non aver paura di fallire nella tua battaglia per il cambiamento.
La Stazione Leopolda è quel posto che ti fa comprendere di aver fatto la giusta scelta di vita, che ti ricorda che dietro quei tre giorni di kermesse c’è un lavoro annuale di migliaia di persone e che, davanti, c’è un altro anno di impegno collettivo. Lo ricorda bene Renzi nel discorso di chiusura, riferendosi al recente incontro con Obama: “Yes, we can! non è uno slogan, è il messaggio più bello che tu puoi dare a una generazione che prova a impegnarsi in politica. E quando ci viene detto che noi siamo l’Italia, avvertiamolo quel pizzico di orgoglio e di emozione…”
Sia chiaro, queste mie righe non devono essere una dimostrazione di forza del partito promotore dell’evento: è vero il contrario, cioè che la salute dei democratici è cagionevole e l’imminente referendum sulla riforma costituzionale sta mettendo a dura prova l’intero PD, facendo collocare dirigenti, iscritti, simpatizzanti e opinione pubblica lungo le molteplici fratture vecchio contro nuovo, antipolitica contro politica, giusto contro sbagliato, status quo contro progresso. E, in tutta onestà, abbassando anche il livello delle campagne pro e contro riforma.
Renzi, dal palco della Leopolda, ha manifestato estrema sicurezza sull’esito referendario e non ha di certo edulcorato la parte del discorso indirizzata a chi, nel PD e nel panorama di sinistra, ha scelto di seguire una linea diversa. Probabilmente è stato un azzardo dettato dall’evidenza empirica che l’alternativa più credibile per la politica italiana sembri quel Partito Democratico che egli stesso guida, ma è altrettanto evidente, innegabile e non trascurabile che, a lungo andare, i personalismi, i ricatti e gli screzi tra gli esponenti dem saranno deleteri, non solo per l’appuntamento del 4 dicembre. La lotta intestina permanente è un rischio che il PD deve imparare a gestire e sedare per la sua credibilità, per la sua sopravvivenza, per tutti quei cittadini comuni che in esso vedono la buona politica e che si impegnano in prima persona, per quel bene per l’Italia da sempre professato.
Non sarà di certo la Leopolda 7 a risolvere i dissidi interni del PD: questo lo sa bene Renzi, lo sa l’establishment e lo sappiamo anche noi giovani militanti. Ma forse sarà proprio questa consapevolezza che, domenica sera, ci ha fatto tornare a casa galvanizzati e convinti di non dover gettare la spugna. Lo spirito di coesione, la voglia di collaborare per creare qualcosa di positivo e l’entusiasmo contagioso non sono sufficienti a rimettere in carreggiata un partito: vivere la politica con lo spirito della gente che ho conosciuto a Firenze, però, a lungo andare, può fare davvero la differenza.
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]]>The post Cos’è l’Ape e chi potrà fruirne appeared first on 360°- il giornale con l'università intorno.
]]>Va fatta una distinzione tra Ape volontario, con rate di restituzione a tassi molto elevati, e Ape per ristrutturazione aziendale, nei casi in cui le aziende vogliano “svecchiare” il personale (in questo caso l’azienda stessa dovrà accollarsi parte del costo dell’anticipo pensionistico). Per quanto riguarda la prima categoria, non è ancora chiaro se il lavoratore possa chiedere l’intero valore della pensione o soltanto una quota, magari a sua scelta in modo da poter ripagare in modo più efficiente il prestito. In conclusione, l’Ape introduce certamente flessibilità per i lavoratori in uscita, ma non sarà certo una misura vantaggiosa per chi prenderà una pensione medio-alta. Un ultimo aspetto riguarda anche il costo della misura per le casse dello Stato: questo dovrebbe essere a costo zero, ma potrebbe non essere così, dato che il prestito viene concesso a persone che potrebbero non sopravvivere tanto a lungo da ripagare il rimborso ventennale del finanziamento. Ciò comporterà la stipula di un’assicurazione a favore delle banche e a carico della finanza pubblica. Secondo alcune stime, il costo dell’Ape potrebbe aggirarsi attorno ai 700 milioni di euro.
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]]>The post Renzi, referendum e incomprensioni appeared first on 360°- il giornale con l'università intorno.
]]>La reazione di questi, in effetti, è pienamente comprensibile, da questo punto di vista. Renzi ha commesso fin dall’inizio un errore notevole nel voler legare questo referendum a doppio filo con il proprio mandato. Così facendo, infatti, ha implicitamente chiesto all’elettorato italiano di porre una fiducia sul proprio operato. Com’è logico che sia, ciò ha totalmente annullato la discussione nel merito del quesito referendario e l’ha appiattita in una dialettica pro/contro governo Renzi.
L’argomento centrale di questo articolo però non riguarda una valutazione della strategia politica di Renzi sul referendum. In realtà, non riguarda neanche il quesito stesso nel merito. Ciò che ritengo più utile approfondire al momento è il livello di confusione dell’opinione pubblica. Si badi però che la confusione di cui parlo non è quella di buona parte dell’elettorato nel merito del contenuto della riforma costituzionale. Quella è pienamente comprensibile, da un certo punto di vista, essendo una riforma recente e molto complessa.
La confusione di cui parlo io è meno riconoscibile e più profonda. Questa riguarda i principi costituzionali del nostro ordinamento ed è meno “perdonabile”, dal punto di vista di chi scrive. La Costituzione Italiana infatti è sì complessa, ma molto più longeva; troppo per non essere abbastanza conosciuta. Probabilmente la maggior parte di chi leggerà queste parole si chiederà cosa c’entra ciò con le polemiche su Renzi e, per questo, vi allego le dichiarazioni incriminate.
Nel primo trafiletto, vediamo riportata questa frase: “Se perdo il referendum vado a casa, è questione di serietà”. Questa frase, se correttamente interpretata, può voler dire solo una cosa: se Renzi perderà il referendum, rimetterà il suo mandato al Presidente della Repubblica. Come dovrebbe ben sapere l’elettore medio, questa eventualità non implica che si debba tornare alle urne. L’elettore medio dovrebbe infatti sapere che l’Italia è una repubblica parlamentare. Come tale, è il capo di Stato che eventualmente convoca elezioni anticipate dopo le dimissioni del capo di Governo.
Se ipoteticamente Mattarella riuscisse a trovare un nuovo capo di Governo che potesse ottenere la fiducia, sarebbe pienamente legittimato a nominarlo. Infatti, il Presidente del Consiglio, in Italia, viene nominato, non eletto. Anche questo, l’elettorato, a volte, sembra scordarlo. La seconda dichiarazione di Renzi quindi non è assolutamente in contrasto con la prima. Lui può dimettersi senza mettere a repentaglio il naturale decorso del termine della legislatura.
Se proprio volessimo essere puntigliosi, potremmo sostenere che, nella seconda dichiarazione, Renzi è stato forse superbo. In effetti, come può lui sapere che decisioni prenderebbe Mattarella, se lui si dimettesse? Ovviamente lui non lo sa per certo, ma, in effetti, è lo scenario più probabile. Se Renzi si dimettesse infatti, probabilmente la maggioranza proporrebbe un sostituto che otterrebbe la fiducia come l’ha ottenuta Renzi finora.
In conclusione, temo che buona parte dell’elettorato, prima di ergersi ad inquisitore morale della politica, necessiti di un’ottima infarinatura di diritto costituzionale.
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]]>The post Renzi in Africa per parlare di economia e terrorismo appeared first on 360°- il giornale con l'università intorno.
]]>Dopo l’incontro con Merkel a Berlino e prima di raggiungere gli altri capi di governo per parlare di Siria il 4 febbraio a Londra, il premier italiano ha scelto di visitare tre Paesi strategici del continente africano quali Nigeria, Ghana e Senegal.
Sul tavolo ci sono ovviamente il solito tema del terrorismo, soprattutto in una Nigeria afflitta dalla piaga sociale della potente Boko Haram, argomento ampiamente discusso con il presidente Buhari, e fortunatamente anche nuove partnership economiche degne di nota per l’Eni in ripresa e per una prospettiva politica di Renzi che mira a un nuovo ruolo dell’Italia nel contesto internazionale, meno suddita e più propositiva.
“L’Africa è da sempre una grande opportunità – aveva detto Renzi appena accolto dall’omaggio floreale di una bambina ad Abuja e lo ha ribadito con parole chiare di fronte al parlamento ghanese di Accra – Paesi come la Cina lo hanno già capito da molto tempo e vengono qui ad investire, noi abbiamo già un ottimo progetto con la nostra Eni.”
Non solo negoziati e partnership economiche però, perché la visita del premier è rivestita da toni squisitamente politici, rivolti ancora una volta alla lotta contro il terrorismo. “Gli autori degli attentati vogliono distruggere la società costituita facendoci vivere nella paura. Il nostro deve essere uno sforzo culturale condiviso, perché l’educazione è l’unico vero antidoto e anticorpo contro il terrore. Dovete essere orgogliosi della vostra democrazia, base per ogni libertà politica e civile.”
Ad ogni modo, intenzionalmente o meno, è però sempre la polemica a prevalere, perché Renzi ha consigliato anche all’Unione Europea che venga qui ad investire. “Noi depositiamo venti miliardi alle istituzioni europee ricevendone undici – ha ricordato Renzi – Per risolvere il problema dell’immigrazione nel nostro continente serve una strategia di lungo periodo che renda più solide le frontiere esterne dell’UE lasciando in vigore gli accordi di Schengen, non le solite polemicucce da quattro soldi.”
Si sa, il clima è tutt’altro che disteso con la Commissione Europea, soprattutto con il suo presidente Jean-Claude Juncker, il quale ha inviato una lettera direttamente all’Italia per chiarire l’esclusione dei fondi da trasferire alla Turchia per la gestione dell’accoglienza dei rifugiati dal computo del deficit. Juncker ha in questa ricordato che tutto era stato già chiarito il 18 dicembre in occasione dell’ultimo meeting in merito, ma “evidentemente l’Italia preferiva ignorarlo per farne interessata strumentalizzazione politica“.
Renzi ha definito Kafkiana la risposta di Bruxelles e il parere dell’UE, rinunciando volontariamente a ogni futura polemica a riguardo.
Se il premier italiano viene infine attaccato sia dall’opposizione di Forza Italia con Paolo Romani, che definisce ancora una volta inadeguato il presidente del Consiglio, e giudizio avverso proviene anche dal commissario europeo per gli affari economici Moscovici, che torna sul tema dei fondi replicando che l’Italia è il Paese membro che gode maggiormente della flessibilità attraverso la gestione dell’emergenza migrazione e della sicurezza contro il terrorismo, di tutt’altra idea rimane Gianni Pittella, europarlamentare e presidente dei socialisti europei.
“La visita di Renzi in Africa è un ottimo segno di dinamismo per un Paese chiave di cui l’UE non potrà mai fare a meno, soprattutto ora che gli Stati del nord Europa si chiudono in se stessi, Spagna e Portogallo sono in ricerca di strade alternative e la Gran Bretagna sta progettando l’uscita dall’Unione. L’Italia pagherà i suoi 280 milioni alla Turchia, ma nessuno deve avere nulla da dire se l’asse Renzi-Merkel risulta più forte della Commissione Europea, come lo fu a suo tempo quello della cancelliera con l’allora presidente francese Nicolas Sarkozy“.
Se a questo punto nemmeno andare in Africa può aiutare nel sfuggire alle questioni domestiche, Renzi è già sulla via del ritorno perché l’agenda non può aspettare e neanche le polemiche a quanto pare, sebbene queste da tempo immemore siano come un fuoco che riesca ad ardere perennemente anche senza combustibile.
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]]>The post Partito Democratico: un esperimento riuscito? appeared first on 360°- il giornale con l'università intorno.
]]>Così Walter Veltroni presentava al lingotto di Torino nel 2007 il Partito Democratico . Partito che oggi , dopo varie traversie ed evoluzioni , si trova ad essere la principale componente del governo Renzi , segretario democratico. In effetti guardando al 2007 quando Veltroni veniva eletto primo segretario, c’è stata una notevole evoluzione fino ad arrivare alla situazione odierna .
Il primo fattore fondamentale di tale diversità lo si comprende tenendo presente il panorama politico in cui il PD è nato. Formatosi, infatti, nel 2006 il secondo governo Prodi, si cominciarono a presentare una serie di conflittualità interne alla maggioranza di centrosinistra . Ciò creò delle difficoltà nello svolgimento dell’attività di governo per cui si pensò che una soluzione efficace per instaurare un equilibrio stabile nel centrosinistra sarebbe stata unire in un unico grande partito le due principali forze della coalizione :i DS e La Margherita. Così facendo si mescolarono due componenti , una che consisteva nella parte più progressista del PCI, i DS, l’altra formata dalla corrente cattolico-democratica della DC e alcuni radicali, confluiti nella Margherita .
Quando, dunque, nel 2008 il governo cadde , sembrò quasi naturale che l’unica personalità spendibile per il centrosinistra, alle elezioni, da contrapporre a Berlusconi , fosse il “Kennedy italiano”: appellativo che fu attribuito al segretario del nuovo grande partito di centrosinistra, che proprio al modello statunitense si ispirava. Tanto si credeva nel successo di questa creatura all’interno del centrosinistra, che si scelse di non dar vita ad una coalizione onnicomprensiva delle varie espressioni della sinistra , come invece aveva scelto di fare Prodi entrambe le volte in cui vinse contro Berlusconi. Si formò , pertanto , una coalizione che vedeva il PD come suo asse portante , con un ruolo da assoluto protagonista , e altri due movimenti , l’Italia dei valori di Di Pietro e i Radicali, con un ruolo da semplici coprotagonisti, quasi come fossero due stampelle.
Eppure ,nonostante le grandi aspettative ,il centrosinistra subì una sconfitta schiacciante dalla coalizione di centrodestra guidata da Berlusconi . Fu proprio in quelle elezioni politiche che la nuova creatura politica e lo stesso Veltroni che l’aveva ideata si giocarono il tutto per tutto: era il test di prova che , se fosse risultato positivo ,avrebbe dato al PD la legittimazione e l’autorevolezza necessaria per porsi come grande forza di governo, convincendo l’ambiente politico del centrosinistra che si trattasse di un esperimento ben riuscito. Proprio la mancanza di tale legittimazione fece sì invece che sempre di più crebbe la convinzione che unire due forze come i DS e La Margherita , già un po’ divisi al loro interno, fosse stato azzardato. Presentatasi da subito come difficoltà , essa si ripresento’ in ogni momento decisionale interno , sia a livello nazionale che locale . Per cui svanita , dopo la sconfitta elettorale, con le dimissioni da segretario di Veltroni , l’idea di un PD di ispirazione Kennediana , si decise di eleggere segretario Franceschini , ex La Margherita .
Quella di Franceschini fu voluta dai “quadri dirigenti ” del PD come una segreteria di transizione , durante la quale si sarebbe dovuto cercare un accordo interno tra le varie correnti di ex DS e ex La Margherita per poi proporre un segretario nel congresso dell’anno successivo. Durante questo periodo l’asse del partito fu tenuta in un quasi perfetto equilibrio tra centro e sinistra dal segretario . Inoltre pur trattandosi di un periodo di transizione il nuovo segretario sfruttando le sue buone capacità comunicative , la sua credibilità e il fatto di essere relativamente nuovo sulla scena politica , riuscì a mantenere il gradimento degli elettori quasi allo stesso livello che era stato raggiunto da Veltroni alle elezioni , ovvero circa al 37 per cento . Nonostante la segreteria di Franceschini avesse fatto stilare un bilancio positivo , essa era pur sempre stata concepita come ” di transizione ” . Gli ex DS ,infatti , componente maggioritaria del partito , avevano accettato come segretario un ex Margherita , solo con tale condizione.
Al nuovo congresso ,quindi,la spaccatura tra le due componenti del partito riemerse con forza quando gli ex DS sostennero compattamente la candidatura di Pierluigi Bersani alla segreteria nazionale ,contro gli ex La Margherita uniti nel riproporre Franceschini . Il risultato , date tali premesse non poteva che essere la vittoria di Bersani . Se , però, con il segretario precedente l’asse del partito si era mantenuta in un quasi perfetto equilibrio tra centro e sinistra, con il nuovo si spostò verso sinistra. Bersani , come tutti gli ex DS ,proveniente dalla tradizione del partito comunista, cercò di proporre un modello di PD basato grossomodo su un’idea progredita di partito socialdemocratico, con una vocazione riformista, e sempre attento ai bisogni dei lavoratori e delle classi più deboli della società.
Questo modello di partito , proposto dal segretario, incontrò, però, sempre la contestazione da parte della minoranza interna, formata soprattutto da ex La Margherita. Ovviamente una forza politica così strutturata, raccoglieva un ampio consenso nell elettorato della sinistra, esclusa quella più radicale. Non era però capace di intercettare il voto dell’elettorato moderato e sopratutto della grande categoria dei cosiddetti “indecisi”. Infatti ,fin quando la leadership di Berlusconi nel centrodestra era stabile ,il consenso di una parte dei moderati andava a questa formazione politica. Lo spostamento a sinistra del partito ,inoltre ,si rivide anche nelle posizioni assunte dal PD su varie tematiche , in condivisione con un sindacato notoriamente di sinistra come la Cgil e anche nelle alleanze in vista delle elezioni del 2013, successive alla legislatura che vide prima Berlusconi e poi Monti alla guida del governo. Il Partito Democratico, infatti, si presentò alle elezioni politiche del 2013 alla guida di una coalizione che comprendeva Sel,guidato da Nichi Vendola e il partito socialista .
Tale impostazione non risultò però vincente: fu così che Bersani, candidato premier del centrosinistra, per una manciata di voti non riuscì a vincere le elezioni. Nonostante fosse considerato una persona seria e affidabile ,infatti, Bersani non fu capace di attirare il consenso dei cosiddetti indecisi, non solo per il difetto (rinfacciatogli sempre dalla minoranza del partito )della mancanza di attitudine da leader e di capacità comunicativa , ma anche perché i cosiddetti indecisi trovarono la loro espressione in un nuovo movimento politico: il Movimento Cinque Stelle.
Fondato nel 2009 da Beppe Grillo,tale creatura politica si propose come totalmente alternativa ai partiti politici tradizionali , dunque antisistema e proprio per questo capace di raccogliere il consenso di tutti coloro che nelle ultime tornate elettorali si erano astenuti dal voto ,perché disillusi rispetto alla possibilità che i partiti esistenti potessero ancora proporre qualcosa di utile per il paese e quindi di continuare a rappresentare un punto di riferimento di idee e di valori. Tuttavia il movimento fondato da Grillo ,non raccolse solo il voto degli indecisi ,ma anche di coloro che ,pur avendo votato precedentemente partiti come il PD o il Pdl, erano stati delusi dalle scelte di questi e da varie vicende che li avevano interessati e dunque vedevano nei Cinque Stelle una valida alternativa .
Perciò a perdere consenso fu anche il centrodestra, guidato sempre da Berlusconi, che non riuscì ad ottenere neanche il premio di maggioranza in Parlamento.Tale premio lo ottenne ,invece ,la coalizione di centrosinistra,che però da sola non aveva i numeri per governare. Dunque Bersani fu incaricato dal presidente della Repubblica, con un mandato esplorativo , di cercare un alleato per formare il governo ;ma fallito il tentativo di coinvolgere i Cinque Stelle,fu costretto a riconsegnare il mandato nelle mani del Capo dello Stato. Ciò determinò irreparabilmente la delegittimazione politica di Bersani: da segretario del PD e candidato premier del centrosinistra ,non era riuscito a vincere né a formare una maggioranza con i gruppi parlamentari esterni alla coalizione ,dunque non gli restava che dimettersi da segretario. Si presentò ,a quel punto, l’esigenza di formare un governo di unità nazionale ,che con il sostegno della maggior parte del Parlamento, desse il via ad una serie di riforme strutturali utili alla ripresa economica del paese. Alla guida di questo esecutivo il PD, vantando di aver avuto del premio di maggioranza, ottenne di porre un suo esponente :Enrico Letta.
Nel frattempo all’interno della Partito Democratico si decise più o meno unitariamente di eleggere un segretario pro tempore chi guidasse il partito fino alle nuovo congresso del 2013 ,sostenendo con convinzione l’attività dell’esecutivo. Fu così che venne eletto alla segreteria nazionale l’ex segretario della Cgil ,Guglielmo Epifani. Nel frattempo cominciava a raccogliere sempre più popolarità e consenso il sindaco di Firenze ,membro anch’egli del PD ,che già si era candidato ,perdendo, nel 2013 alle primarie del centrosinistra per scegliere il candidato premier della coalizione: Matteo Renzi.
Il giovane sindaco fiorentino si propose fin dall’inizio come “Rottamatore” della vecchia classe politica ,di tutto ciò che gravitava intorno ad essa e che l’aveva caratterizzata fino ad allora: l’uso di un linguaggio a volte poco comprensibile da parte dell’elettorato e l’attaccamento a un modello di partito ormai superato . Ma ciò che Renzi rinfacciava maggiormente alla classe politica ,era soprattutto l’immobilismo della maggior parte dei suoi esponenti ,che rimanevano a ricoprire ruoli istituzionali per troppi mandati. Fu proprio questo ,infatti ,uno dei cavalli di battaglia utilizzati da Renzi per screditare anche la classe dirigente del suo partito. Dalla sua, inoltre , egli aveva un’ ottima capacità comunicativa che sfruttava appieno per parlare in modo diretto all’elettorato, sia trasmettendo messaggi chiari contenenti ciò che gli elettori in un certo senso volevano sentirsi dire e sia prospettando un modello d’Italia che avrebbe corso ad una velocità differente da quella a cui si era abituati fino ad allora. Così Renzi, proponendosi come il politico ideale del futuro che sapeva parlare al elettorato e farsi interprete delle sue esigenze, si candidò al congresso del partito democratico tenutosi nel dicembre 2013 stravincendo contro il candidato sostenuto dalla cosiddetta vecchia guardia del partito.
Gli esponenti di questo ultima, infatti ,tra cui D’Alema e membri storici del PD ,essendo consapevoli della forza elettorale di Renzi, preferirono non esporsi in prima persona per sfidarlo e sacrificare invece un parlamentare del PD ,già segretario della Figc ,poco conosciuto peraltro dall’elettorato: Gianni Cuperlo. Così diventato segretario l’8 dicembre 2013 ,Renzi cominciò ad assumere una posizione sempre più critica rispetto all’operato del governo sostenendo che fosse necessaria una svolta. Svolta che, in un primo momento ,in qualità di segretario cominciò ad operare nel partito , continuando tuttavia a rassicurare Letta sul suo sostegno al governo; e che in seguito ,però, invoco’ anche per l’esecutivo sostenendo che ormai quest’ultimo aveva perso il sostegno della maggior parte degli italiani, in quanto non era riuscito a pieno nel suo intento . Fu così che Renzi in una direzione del partito ,leggendo una lettera indirizzata a Letta ,lo ringraziò per il lavoro svolto e gli chiese formalmente di fare un passo indietro dimettendosi da Presidente del Consiglio.
Così divenuto Primo Ministro, da un lato dopo non molto cominciò a porre in essere una serie di riforme orientate a rendere più veloce e flessibile il mondo del lavoro in generale e in particolare i meccanismi per l’assunzione e il licenziamento dei lavoratori da parte dei privati. Dall’altro lato l’attività di governo si orientò verso una riforma del sistema scolastico che aumentasse il potere di valutazione degli insegnanti in mano ai presidi e verso un progetto di riforma costituzionale che desse più potere all’esecutivo e in particolare al Primo Ministro ,orientando l’ordinamento statale italiano verso una svolta presidenzialista. Inoltre tale progetto di riforma costituzionale , ad oggi non ancora approvato dal parlamento ,prevederebbe una trasformazione dal sistema bicamerale perfetto ad un sistema unicamerale nel quale solo il partito che ricevesse alle elezioni il premio di maggioranza potrebbe far eleggere anche parlamentari direttamente dai cittadini: tutti gli altri partiti potrebbero far eleggere soltanto soggetti preventivamente indicati dagli stessi in apposite liste di candidati.
Complessivamente ,dunque ,l’attività riformatrice messa in campo dal governo Renzi ha incontrato fino ad oggi e continua ad incontrare forti resistenze da parte dei parlamentari appartenenti alla minoranza del partito oltre che da quelli dell’opposizione. Proprio per ovviare a questo inconveniente e per riuscire ,pertanto ,a portare avanti senza ostacoli l’attività riformatrice ,il leader del PD ha creato nei mesi scorsi un’alleanza con una parte dell’opposizione, in particolare con il partito di Berlusconi, Forza Italia ,grazie alla quale è riuscito ad approvare una nuova legge elettorale ,la riforma del sistema scolastico e la riforma del lavoro.Ovviamente l’orientamento seguito dal governo nel fare ciò ha trovato fin dall’inizio un appoggio sempre più convinto da parte di Confindustria e una opposizione più o meno costante da parte dei sindacati e in particolare da parte della Cgil.
C’è chi dunque ha giudicato e continua giudicare tale attività come positiva per il paese, in quanto capace di consentire una maggiore crescita economica; d’altra parte c’è anche chi ,però ,giudica l’attività governativa come ispirata da politiche tendenzialmente più di centrodestra e filo liberali e addirittura, a tratti, ispirate anche ad una visione autoritaria e dispotica della gestione dell’apparato statale e del potere in generale. Certo è che tale modus operandi ,attira i consensi di coloro che precedentemente avevano appoggiato partiti di centro destra, anche sostenitori di politiche filo-industriali e inevitabilmente della stessa classe imprenditoriale italiana.
Insomma questo Partito Democratico, che da un leader di ispirazione kennedyana ,ad uno riformista di sinistra dialogante con la Cgil e che ora si ritrova con un leader tendente alle posizioni di Confindustria , è in costante trasformazione . Non si sa questo processo evolutivo a cosa porterà ,ma certo è che per il momento la strada intrapresa non sembra essere quella che potrebbe riportarlo al PD delle origini: il partito di chi crede possibile coniugare ” la libertà intrecciata alla giustizia sociale e all’irrinunciabile tensione all’uguaglianza degli individui, che oggi vuol dire garanzia delle stesse opportunità per ognuno” come disse il suo fondatore.
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]]>Nuove ripercussioni nella politica nazionale quindi, dove Matteo Renzi non ha temuto finora il confronto e dove lamenta quasi spavaldamente sconfitte solo dove ha aperto al dialogo con le minoranze. Le altre correnti del Partito Democratico avverse al governo hanno ripreso a sfornare le critiche sulla sovrapposizione delle cariche Segretario-Premier, le opposizioni M5S e Forza Italia sono pronte a far vacillare l’iter delle riforme, a partire dalla legge elettorale. Il senatore berlusconiano Augusto Minzolini di Forza Italia e perfino il bersaniano Gotor auspicano una modifica dell’Italicum, mentre la Lega Nord di Matteo Salvini incalza sul nodo immigrazione.
Alle parole di Matteo Renzi “Sono tentato dallo sfidare Salvini e Grillo alle urne anche subito, ma la mia è una responsabilità verso il Paese e in questo momento devo governare per completare la mia missione” risponde secca e seccata Rosy Bindi, già protagonista dello “scherzetto” a De Luca con la commissione antimafia “Inutile dire che abbaiamo e mordiamo senza proporre alternative, i risultati elettorali e le sconfitte sul campo parlano chiaro ed è necessario cambiare metodo di governo”.
Roberto Fico esprime invece soddisfazione per i risultati del Movimento “già dato per morto” in Sicilia nel momento in cui il candidato Dem Matteo Bracciali, pupillo di Maria Elena Boschi, aveva già constatato la propria sconfitta ad Arezzo, città natale del ministro storica figura della Leopolda.
L’entusiasmo e la carica del Renzismo sono quindi finiti facendo vacillare la prospettiva di un governo del segretario-premier fino al 2018? Le tappe decisive non riguarderanno solo la politica locale, ma quella regionale in senso lato, in senso continentale. Il prossimo consiglio europeo è previsto per il 25 giugno e il Governo appare in seria difficoltà sui fronti dell’immigrazione. Mentre le opposizioni guidate da Salvini e il capogruppo alla Camera di FI Renato Brunetta attaccano per puro opportunismo politico le frontiere europee si chiudono a riccio a lasciano solo un intero Paese. A Bolzano migranti in possesso di un regolare biglietto di treno per l’Austria vengono respinti da diverse settimane, altri sono in stallo sugli scogli liguri presso la cittadina di Ventimiglia perché allontanati dai “doganieri” francesi. E’ strano parlare di doganieri nell’Europa di Schengen eppure risulta altresì evidente un processo di involuzione nel processo di integrazione del continente. Le richieste di asilo nell’ultimo anno per l’Europa sono state 658mila nei mesi in cui il solo piccolo Libano accoglieva più di un milione e mezzo di rifugiati. A questo punto spunta l’ipotesi di un lasciapassare a tempo per i profughi di tre mesi, ma è difficile sia sufficiente per chi è in viaggio da circa due anni, nel disperato tentativo di salvare la propria vita e raggiungere i familiari residenti nell’Europa continentale.
Se in un quadro così complesso si colloca la ciliegina di mafia capitale, dove la credibilità del sindaco di Roma Ignazio Marino vacilla, si intuisce che non proprio cimbri ma nembi sono quelli che si prospettano nel plumbeo cielo del governo Renzi. Ora il prefetto Franco Gabrielli ha ricevuto la documentazione sugli affari di Salvatore Buzzi e quasi sicuramente si occuperà del nodo romano del Giubileo. Un evento cui il Governo arriverà, se arriverà, con qualche patema d’animo e con l’obbligo di dare innovative risposte a nuove emergenze di vecchi problemi.
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]]>Vuk: Giulio, parlaci di FutureDem: come nasce l’idea?
Giulio: L’idea è nata dopo le primarie del PD del 2012. Abbiamo visto che molti giovani si sono avvicinati alla politica durante le primarie, ma successivamente non ci sono state altre occasioni per dare seguito alla loro volontà di impegnarsi politicamente. Io ero iscritto sia al PD che ai Giovani Democratici e ho notato che, in particolare tra gli under 30 che avevano sostenuto Renzi, pochi si impegnavano attivamente nel Partito Democratico e ho realizzato che, per non disperdere il patrimonio di energie appena nato, era necessario un progetto che li mettesse in rete.
V: FutureDem nasce quindi dall’impeto delle primarie, come un gruppo di giovani renziani?
G: Sì, ma abbiamo voluto creare un network che non riunisse soltanto quanti hanno sostenuto lo stesso candidato [Renzi, ndr], bensì tutti coloro che si riconoscono in una visione di futuro comune. Fin dall’inizio il progetto è stato aperto a tutti i ragazzi e le ragazze che condividono i valori democratici e intendono rinnovare metodi e contenuti della politica.
V: Cosa esattamente è FutureDem?
G: Noi siamo nati come una rete di persone e di esperienze. A gennaio 2013 ho contattato molti ragazzi che pensavo potessero essere interessati, sia in università che su internet. Conobbi su Twitter Mattia Peradotto, e con lui decidemmo di creare un gruppo Facebook nel quale aggiungere le persone interessate. Quindi nasce come gruppo Facebook di confronto nel quale scambiare pensieri e idee.
Il gruppo ha continuato a crescere esponenzialmente e nell’aprile 2013 facemmo la prima riunione dal vivo organizzata a Firenze. Creammo poi una struttura associativa concreta che potesse tenere insieme tutte queste persone e attraverso la quale organizzare eventi e iniziative
V: Quale è il vostro rapporto con il PD? Sul vostro statuto leggo che siete “indipendenti” ma “lavorate per cambiarlo”, che vuol dire?
G: Siamo un’associazione indipendente, però il 70% dei nostri soci aderisce al Partito Democratico o all’ organizzazione giovanile del partito. Siamo indipendenti perché non abbiamo alcun legame formale con il PD e perché vogliamo essere liberi dalle strutture partitiche per promuovere le nostre idee, al contrario però vogliamo utilizzare la nostra rete per promuovere queste nostre idee all’interno del Partito Democratico e delle istituzioni.
V: Vi ponete quindi come alternativa ai Giovani Democratici del PD?
G: No, ci poniamo come qualcosa di diverso che non è per forza alternativo. Infatti molti dei nostri soci hanno ruoli di dirigenti anche nei GD. Noi siamo una libera associazione politica e culturale, loro una giovanile di partito. Abbiamo fini diversi.
V: Quali sono questi fini?
G: Noi vogliamo promuovere prevalentemente la formazione. FutureDem è diventata per tanti ragazzi una grande occasione per avvicinarsi al mondo della politica e ricevere stimoli che li conducano verso un percorso di formazione permanente, a studiare e informarsi. FutureDem vuole offrire opportunità di questo tipo: organizziamo eventi e iniziative con esponenti della politica, del giornalismo e del mondo universitario.
V: Parlaci di questi eventi.
G: In genere si tratta di eventi molto grandi, con 100-150 partecipanti. Durano tre giorni e ogni 3-4 mesi li organizziamo in parti diverse d’Italia. Per esempio, dal 24 al 26 luglio a Siracusa ci sarà la prossima (e terza) Summer School di FutureDem. In passato, siamo stati a Forlì, Napoli, Roma, Venezia, Firenze e Milano.
Oltre agli eventi di formazione, organizziamo anche iniziative su temi specifici come conferenze e campagne di pressione. Proviamo a fare agenda setting su alcuni temi, mobilitandoci sui social network e con iniziative nei territori. L’obiettivo è anche quello di diffondere FutureDem a livello locale tramite aperitivi culturali, passa parola, convegni e gruppi di riflessione.
FutureDem inoltre dà a tutti i soci la possibilità di sviluppare loro progetti. Abbiamo anche alcuni gruppi di lavoro online che producono documenti tematici per conto dell’associazione.
V: Formazione intesa anche in senso lato però, e quindi come via d’accesso al mondo della politica?
G: Sì esatto, una via d’accesso molto più soft rispetto a quelle offerte dalle strutture partitiche. Perché il nostro è un ambiente aperto, accogliamo anche ragazzi che non si riconoscono nel Partito Democratico ma che comunque vedono in FutureDem la possibilità di fare una bella esperienza politica, fermo restando che il nostro target è il PD.
V: Sul manifesto di FutureDem leggo che: siete di centrosinistra, progressisti, vi rifate al liberalismo sociale, e fate riferimento esclusivo al PD. Come definiresti il tuo orientamento politico e quello di FutureDem?
G: Di centrosinistra, riformista, liberale, democratico. Al mio orientamento personale aggiungerei anche l’aggettivo “ecologista”.
V: Come concili questo vostro orientamento con le varie minoranze che ci sono nel PD? Cosa ne pensi, specificatamente, dell’ala più cattolica-conservatrice del PD e quella più nostalgico-comunista?
G: Penso che dovrebbero imparare a fare la minoranza. Noi, prima della vittoria di Renzi, siamo sempre stati in minoranza, e abbiamo fatto molta fatica a vivere nel partito. Ciononostante, se volevi far parte di una comunità, dovevi sì far valere le tue idee, ma nelle sedi opportune e infine anche accettare le decisioni della maggioranza, senza chiuderti nell’auto-referenzialità e collaborando in maniera costruttiva. Io sinceramente non vedo la minoranza del PD molto costruttiva al momento. Adesso che governiamo è il momento di costruire, non di distruggere. Di unirsi, non di dividersi. Poi ogni quattro anni c’è il Congresso e quello è il momento dove tornare a scontrarsi sulle idee che il partito deve rappresentare maggiormente.
V: Un’osservazione però: Renzi le sue prime primarie le aveva perse, però non è stato al suo posto a fare la minoranza. Ha continuato a lavorare…
G: Esatto, e secondo me ha fatto bene. Perché Bersani non è stato in grado di gestire una maggioranza in seno al parlamento, e il suo gruppo dirigente non è stato capace di gestire un partito che si è trovato pieno di debiti e ha deluso la base. Chi non è in grado di gestire una grande associazione – mi chiedo – come pensa poi di poter governare una nazione intera?
Ci sono tre momenti fondamentale nel processo democratico interno: primo, si discute e quindi tutti possono far valere le proprie idee; secondo, si decide votando nelle sedi opportune; e terzo, si applica la decisione unitariamente. Queste persone che provengono in molti casi da un partito dove esisteva il centralismo democratico dovrebbero essere le prime a osservare tali procedure. Invece vediamo solo emergere alcuni sterili personalismi.
V: Non pensi però che Renzi abbia fatto la stessa cosa, cioè che abbia agito in virtù di un suo personalismo, oppure il suo agire è più nobile?
G: Renzi è emerso non solo perché è bravo, ma perché c’era una domanda fortissima di qualcosa di diverso, di una visione nuova per il Paese. Più pragmatica, post-ideologica e che non si rivolgesse soltanto a determinati segmenti della società ma che riuscisse a parlare a tutti.
I capi dell’attuale minoranza del PD sono attaccati a un’idea di partito settario che deve rappresentare soltanto alcune categorie, cosa che in passato non ha mai consentito al centrosinistra di governare. Renzi ha trasformato il PD in un partito “piglia tutto”, che però è una condizione necessaria per governare.
V: Ma torniamo al tema dell’intervista: perché un giovane interessato alla politica, magari studente come noi, dovrebbe entrare in FutureDem? Cosa gli offrite voi?
G: Entrare a far parte di una comunità politica di giovani che hanno voglia di imparare, di costruire e di confrontarsi con altri ragazzi è oggi una grandissima opportunità. È una bella esperienza umana, oltre che politica: entrando in FutureDem, una persona potrà incontrare amici con i quali fare un percorso per cambiare in meglio questo Paese. Quindi tutto parte dal networking, perché ti crei amicizie in ogni parte d’Italia, e la politica tu la devi fare con i tuoi amici. La politica deve essere un luogo amico, che fai con dei compagni di squadra. FutureDem è proprio questo: una squadra di amici che si sta organizzando per diventare la futura classe dirigente di questo Paese.
V: Quale è il vostro progetto futuro? Come vedi te stesso e FutureDem fra 5 anni?
G: Io spero di essere entrato nel mondo del lavoro, mi piacerebbe fare esperienze all’estero e sviluppare capacità professionali e competenze per poter dare un contributo alla politica in futuro.
Se FutureDem esisterà ancora per noi sarà un grandissimo successo. Sta diventando sempre di più una realtà autonoma, che cammina ogni giorno con nuove gambe e non solo con quelle delle persone che lo hanno fondato. Spero che continui a ingrandirsi e a offrire ai giovani tante opportunità per incontrarsi, fare network e formarsi.
V: Qualche parola per concludere?
G: Se volete fare qualcosa di bello per il nostro Paese e cercate un gruppo di ragazzi e ragazze con cui farlo, sappiate che FutureDem è il posto giusto dove cercare. Ci trovate su tutti i social network, tramite i quali ci manteniamo in contatto e comunichiamo costantemente le date delle nostre attività. Potete contattarci, venire ai nostri incontri e avere l’opportunità di diventare veri agenti di cambiamento.
Vi lascio i miei contatti: [email protected] – 3409478878 – Twitter: @delbalzus
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]]>In questo caso però lo smacco sembra essere grave, tanto che le opposizioni, sul piede di guerra, invocano l’incostituzionalità di questo atto ai sensi dell’articolo 72, IV comma, della Costituzione (la procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale e per quelli di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi), sebbene la presidente della camera Laura Boldrini si appelli, in sua difesa, all’articolo 116, IV comma, del Regolamento della Camera che definisce, in via residuale, le materie sulle quali si può porre la questione di fiducia (la questione di fiducia non può essere posta su proposte di inchieste parlamentari, modificazioni del Regolamento e relative interpretazioni o richiami, autorizzazioni a procedere e verifica delle elezioni, nomine, fatti personali, sanzioni disciplinari ed in generale su quanto attenga alle condizioni di funzionamento interno della Camera e su tutti quegli argomenti per i quali il Regolamento prescrive votazioni per alzata di mano o per scrutinio segreto).
Comunque sia, la fiducia è stata posta ed è stata espressa durante la votazione di mercoledì 29 aprile e le due di giovedì 30. Il voto finale sarà Lunedì 4 Maggio, ma intanto l’atmosfera è tesissima. Fin dalla prima fiducia 38 deputati PD hanno deciso di non votare per protesta, ma ciò non ha comunque impedito la vittoria dei Sì, replicatasi poi alle successive due votazioni, sebbene con cifre ridimensionate. Tra le opposizioni esterne al PD, i deputati SEL si fasciano le braccia a lutto, il M5S chiede l’intervento del presidente Mattarella e Brunetta, in qualità di capogruppo FI alla Camera, attacca la deriva autoritaria alla quale va incontro questa legge. Sempre dal Movimento 5 Stelle arriva la proposta di un referendum abrogativo, accolta anche da SEL. Così, mentre Civati (ri)lancia la possibilità di lasciare il PD, le difese del premier le prende Alfano, sostenendo che il ricorso alla fiducia è stato indotto dall’abuso del voto segreto.
Ciò che va riportata alla luce però, a prescindere dalle esternazioni dei vari politicanti, è la questione centrale, ossia “l’atto di fede” che è stato chiesto al parlamento. Parlo di atto di fede perché ai parlamentari è stato chiesto di credere ciecamente nel premier su una delle leggi più importanti di uno stato democratico, ossia quella elettorale. Non è improprio parlarne in questi termini perchè, chi conosce la storia lo sa, questo fatto si è verificato solo due volte nell’Italia unita e una di queste due ha indirettamente portato al ventennio fascista. Va posta, più che la fiducia, l’attenzione, da parte dell’opinione pubblica, sulle dinamiche della politica, sul come questa si svolge. Questo perché, ed entro così anche nel merito dell’Italicum, è bene capire fin dove si può sacrificare la democrazia a vantaggio della governabilità. Ora infatti il capo del governo è Renzi, un uomo che, almeno nelle parole, dovrebbe essere un moderato, ma domani non si sa. Soprattutto non dimentichiamo che il governo più forte che ha visto il nostro paese è durato vent’anni e non so come la possa pensare chi mi leggerà, ma credo che sia meglio evitare un bis.
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