siria – 360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it Sun, 18 Feb 2018 20:38:03 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=4.8.2 http://www.360giornaleluiss.it/wordpress/wp-content/uploads/2017/02/cropped-300px-32x32.png siria – 360°- il giornale con l'università intorno http://www.360giornaleluiss.it 32 32 97588499 I desaparecidos siriani http://www.360giornaleluiss.it/i-desaparecidos-siriani/ Wed, 10 May 2017 07:39:32 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8624 Sei anni. Sei lunghi anni dall’inizio della guerra civile siriana, quando, il 15 marzo 2011, molte persone scesero in piazza a Dar’a, città a sud di questo Paese, per chiedere al loro governo maggiore libertà. La primavera araba travolse così anche la Siria, governata da una dittatura da più di 45 anni. E’ l’inizio dell’inferno

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Sei anni. Sei lunghi anni dall’inizio della guerra civile siriana, quando, il 15 marzo 2011, molte persone scesero in piazza a Dar’a, città a sud di questo Paese, per chiedere al loro governo maggiore libertà. La primavera araba travolse così anche la Siria, governata da una dittatura da più di 45 anni. E’ l’inizio dell’inferno che avrebbe portato a migliaia di morti, a quasi 5 milioni di profughi fuori dalla Siria, a più di 6 milioni di sfollati interni. A questi vanno aggiunti però i desaparecidos siriani: persone, troppo spesso dimenticate nell’elenco delle vittime, che, secondo la definizione di Amnesty International, sono state arrestate e imprigionate dallo Stato, o da persone che hanno agito in nome di quest’ultimo, ma la cui detenzione viene costantemente negata dalle fonti ufficiali, privandoli così della protezione della legge. In poche parole, sono le cosiddette sparizioni forzate di presunti oppositori del regime. È una macchina segreta attuata da sempre dallo Stato, ma che adesso sta vedendo il numero di vittime crescere giorno dopo giorno. Tra di loro, ci sono anche ragazzi tra i 12 e i 14 anni, come Ahmad al-Musalmani, arrestato e torturato sino alla morte perché aveva nel telefono una canzone contro il governo di Assad. La sua famiglia dovrà aspettare tre anni prima di sapere che fine abbia fatto il bambino. Poi, manifestanti contro il governo, costretti a salire sui camion per chissà dove, ma anche persone selezionate in modo del tutto arbitrario e ingiustificato. Secondo l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani dal 2011 più di 65mila persone sono scomparse.

La vicenda di queste scomparse è riuscita ad ottenere visibilità solo da qualche anno, grazie alla denuncia fatta da Caesar, pseudonimo di un ex ufficiale della polizia militare siriana. Incaricato di documentare la morte e le torture inflitte ai detenuti nei carceri siriani tra il 2011 e il 2013, grazie all’aiuto di un amico, ha iniziato a copiare di nascosto molte foto e a conservarle al sicuro fino a quando, temendo per la sua incolumità, ha lasciato il Paese per cercare asilo in Europa. Il numero delle immagini è di circa 55mila, con quattro foto per corpo. Sono più di 6700 i siriani immortalati, morti durante la detenzione e trasferiti poi in un ospedale militare. Ogni foto, usata dal governo siriano come un documento non ufficiale che attesta il decesso delle vittime, ritrae i cadaveri con addosso tre etichette. La prima che indica il numero di detenzione, la seconda il numero del ramo di sicurezza che li ha arrestati e la terza il numero dell’ospedale, nel quale saranno trasportati i corpi morti. Secondo la testimonianza di Caesar, le vittime vengono inizialmente lasciate nei centri di detenzione dove è avvenuta la morte, ammucchiate nelle celle, in preda a topi ed insetti.

Lo scopo è quello di ricordare ai detenuti ancora in vita cosa li aspetta, per spaventarli ancora di più, oltre ad aumentare la possibilità di malattie. Poi, nei tre o quattro giorni che susseguono, arriva un medico legale per i cadaveri. Quando il numero supera i 200 o i 300, vengono portati via e seppelliti nelle fosse comuni. Tuttavia, vi sono alcuni che sostengono che molti corpi siano bruciati con degli appositi forni. La morte invece, quella è avvenuta a causa di maltrattamenti fisici e psicologici.  Munir-al-Hariri, ex capo della sicurezza politica, un ramo del servizio di intelligence nazionale, che ha disertato nel 2012, ha parlato apertamente all’emittente araba Al Jazeera per la prima volta. “Essere detenuti in Siria è la cosa peggiore che ti possa accadere” spiega “un detenuto non muore una volta sola, ma almeno cento volte al giorno per via delle torture fisiche e psicologiche che gli vengono inflitte”. Infatti, lo scopo della detenzione non è quello di uccidere, ma quello di aumentare la tirannia dello Stato. Uno Stato che ha a sua disposizione un corpo di polizia addestrato ad usare qualsiasi forma di tortura, dai bastoni alle fruste fino all’uso di sedie progettate appositamente per spaccarti la schiena.

Mappa che mostra i maggior centri di detenzione a Damasco dove sono state scattate le foto pubblicate da Caesar. Fonte: © 2015 Human Rights Watch

 

Le foto di Caesar hanno raggiunto il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che ha mosso al governo siriano le accuse di omicidio, stupro, tortura e sterminio dei detenuti. La risoluzione del Consiglio di Sicurezza che avrebbe portato la Siria davanti al Tribunale Internazionale ha invece incontrato il veto della Russia e della Cina.

Successivamente Caesar è stato chiamato davanti al Congresso Americano, dove ha mostrato le immagini alla Commissione Affari Esteri. Nello stesso tempo, è stato istituito un team investigativo internazionale per far luce sui presunti crimini di guerra commessi in Siria e per verificare la credibilità delle foto. Nel Novembre 2016, la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha approvato, con la stragrande maggioranza di voti, due progetti di legge: il primo prevede provvedimenti severi per il governo siriano e i suoi sostenitori, tra i quali Russia e Iran, per crimini di guerra e contro l’umanità. Il secondo, invece, vede il rinnovo del Codice Penale imposto all’Iran a partire dal 1996 e che sarebbe dovuto scadere nel 2016. I due progetti, passati alla Camera, non hanno al momento avuto seguito al Senato.

Foto di presunte vittime nei centri di detenzione di Assad, mostrate in presenza di Caesar, chiamato a testimoniare alla Commissione Affari Esteri, a Washington, Luglio 2014. Fonte: CNN

Per quanto riguarda la veridicità delle fonti, se ne è occupato anche l’Osservatorio dei Diritti Umani che, oltre a darne conferma, sottolinea come queste testimonino segni di tortura, pestaggi, malnutrizione e malattie sui corpi delle vittime. Con questi documenti varie vittime sono state identificate, anche grazie alla mobilitazione di diverse associazioni internazionali, che, per evitare che i corpi rimangano solo dei numeri, hanno pubblicato online le foto delle teste dei detenuti.

Numerose famiglie cercano così negli scatti di Caesar i volti dei loro cari. Tuttavia non sempre il riconoscimento è facile, poiché le facce sono mutilate o plasmate dalla perdita di peso: i familiari guardano e riguardano quei volti ceninaia di volte per porre fine alla loro agonia e dare inizio ad un altro inferno, quello dove non vi è più speranza ma solo la certezza della scomparsa. Centinaia di corpi hanno ottenuto così un nome, come quello di Ayham, riconosciuto dalla madre Mariam Hallak. Era il suo figlio più giovane, di 25 anni, che stava svolgendo un master in odontoiatria. Riconoscimento tuttavia non significa sapere dove il corpo si trovi: Mariam, così come altri migliaia di familiari, si vede negata la possibilità di dare una tomba a suo figlio.

Alcune foto scattate da Caesar. Fonte: © 2015 Human Rights Watch

Anche i nomi dei responsabili sono spesso noti, ma nonostante le evidenze, il regime di Bashar al-Assad continua a negare. Il potere continua ad essere nelle sue mani, la tragedia continua nei modi più terribili e gli innocenti continuano a pagare per finire poi dimenticati. Gettati in una fossa comune, senza il loro nome, senza il ricordo della loro lotta per quell’irrefrenabile desiderio di libertà.

 

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L’America che entra in guerra http://www.360giornaleluiss.it/lamerica-entra-guerra/ Fri, 07 Apr 2017 16:37:39 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8484 Trump ordina un’azione militare contro Assad   Venerdì 7 Aprile 2017, ore 2:30 italiane. Parte l’ordine per il lancio di 59 missili Tomahawk contro le basi munite di armamenti chimici del presidente siriano Bashar al-Assad. Bilancio ufficiale: 5 vittime tra cui 2 civili. Bilancio secondo l’agenzia di stampa Sana: 15 morti tra cui 4 bambini. Trump, dopo

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Trump ordina un’azione militare contro Assad

 

Venerdì 7 Aprile 2017, ore 2:30 italiane. Parte l’ordine per il lancio di 59 missili Tomahawk contro le basi munite di armamenti chimici del presidente siriano Bashar al-Assad. Bilancio ufficiale: 5 vittime tra cui 2 civili. Bilancio secondo l’agenzia di stampa Sana: 15 morti tra cui 4 bambini.

Trump, dopo la cena di stato con il presidente cinese Xi Jinping, ha annunciato che gli Stati Uniti d’America non rimarranno in silenzio davanti ai gravi attacchi contro la popolazione siriana, avvenuti lo scorso martedì 4 aprile, per mano del governo di Damasco.

“Assad ha stroncato le vite di uomini, donne, bambini senza speranza. È stata una morte lenta e brutale per molti di loro. Perfino neonati meravigliosi sono stati crudelmente assassinati in questo attacco barbarico. Nessun figlio di Dio dovrebbe mai patire un simile orrore”

Nel frattempo non si è fatta aspettare la risposta russa. Il Cremlino ha subito chiesto una riunione urgente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite poichè, secondo quanto dichiarato dal presidente del comitato di Difesa e sicurezza del Consiglio Federale, “questo può essere considerato come un atto di aggressione da parte degli Stati Uniti contro uno Stato dell’Onu”.

Le armi

Martedì 4, il governo siriano sgancia sulla popolazione dei barili contenenti armi chimiche. Si tratterebbe del Sarin, un gas nervino classificato dalle Nazioni Unite come arma chimica di distruzione di massa. E’ completamente inodore, lascia un fumo di colore giallo e basta respirarlo o entrarvici in contatto per rimanere completamente contaminati. I primi sintomi si presentano nella forma di difficoltà respiratorie, ma in pochi minuti il veleno intacca il sistema nervoso portando alla morte. I Caschi Bianchi e i Medici senza frontiere, trovandosi di fronte ad una situazione così grave e inaspettata, sciacquano i feriti con acqua ma subito si rendono conto che ormai c’è ben poco da fare. Un bambino, sopravvissuto all’attacco chimico, ha raccontato quei drammatici momenti così:

“Ero ad EL Hamra (un quartiere). Stavo guardando gli aerei. L’aereo ha sganciato un barile. Ho visto il fumo, era giallo.”

L’amministrazione Trump ha invece utilizzato i missili Tomahawk, ovvero missili da crociera con una gittata di circa 2500 km; questi possono contenere fino a 500 kg di esplosivo.

Le reazioni internazionali

L’Unione Europea ha dichiarato oggi di essere già da tempo a conoscenza del piano americano. Federica Mogherini, Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ha seguito gli sviluppi durante la notte con i membri della diplomazia di Bruxelles. Netanyahu, Primo Ministro israeliano, è stato il primo ad appoggiare l’iniziativa militare statunitense in quando “l’uso di armi chimiche non è e non sarà tollerato”. Erdogan ha immediatamente chiamato Putin e reso noto che i rapporti con gli alleati sono a un passo dalla completa chiusura.

 

 

 

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L’umanità è morta oggi in Siria http://www.360giornaleluiss.it/lumanita-e-morta-oggi-in-siria/ Wed, 05 Apr 2017 05:57:16 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=8445 “L’umanità è morta oggi in Siria”, è il commento del portavoce Unicef Italia, Andrea Iacomini, dopo l’ennesima strage avvenuta oggi nella zona nord del Paese, ormai in guerra dal 2011. 60 morti, tra cui 11 bambini, e centinaia di feriti: è questo il tragico bilancio riportato dall’Osservatorio Nazionale per i Diritti Umani, e destinato purtroppo

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“L’umanità è morta oggi in Siria”, è il commento del portavoce Unicef Italia, Andrea Iacomini, dopo l’ennesima strage avvenuta oggi nella zona nord del Paese, ormai in guerra dal 2011.

60 morti, tra cui 11 bambini, e centinaia di feriti: è questo il tragico bilancio riportato dall’Osservatorio Nazionale per i Diritti Umani, e destinato purtroppo a salire, del raid aereo avvenuto nella città ribelle di Khah-Sheikhoun, situata nel nord della Siria, nel quale sarebbero stati usati gas chimici. Nella provincia di Idlib, da novembre 2016, erano confluiti migliaia di sfollati fuggiti da zone sotto assedio come la città di Aleppo.

Secondo la Coalizione nazionale delle forze della rivoluzione e dell’opposizione siriana, dai sintomi riportati dai feriti sembra che sia stato utilizzato il gas Sarin, già classificato come arma chimica di distruzione di massa. Più volte, infatti, i ribelli hanno denunciato l’uso di questo ga,s ma il governo di Damasco ha sempre negato. Dopo il primo attacco ci sono stati altri raid e sono stati colpiti anche alcuni ospedali, mettendo in pericolo la vita di altri civili. Secondo il sito di notizie siriano vicino all’opposizione “Shaam”, l’aviazione russa ha colpito le città di Salqin e Jisr al-Shughur. La prima è stata colpita da missili che hanno provocato almeno 10 morti e decine di feriti, mentre a Jisr al-Shughur un attacco simile ha causato la morte di cinque persone e diversi feriti.

Non è la prima volta che il regime di Bashar al-Assad è accusato di usare le armi chimiche contro la popolazione civile. Nel 2013, il governo fu accusato di avere bombardato alcuni quartieri di Damasco con il sarin, uccidendo più di 300 persone. L’allora amministrazione Obama aveva minacciato di intervenire in Siria contro Assad nel caso di uso di armi chimiche contro i civili, ma alla fine gli Stati Uniti non presero contromisure militari. Fu, però, trovato un accordo per la distruzione dell’arsenale chimico siriano, dato che a fine 2013 la Siria aderì alla Convenzione sulle armi chimiche del 1993. Negli anni seguenti, l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche e l’ONU hanno dimostrato che, nonostante la ratifica della Convenzione, le forze di Assad avevano continuato a usare armi chimiche contro i civili. In vari attacchi è stato utilizzato il cloro che, nonostante sia vietato dalla Convenzione, viene comunque considerato legale, se usato per finalità estranee alla guerra, e non è stato inserito tra le sostanze chimiche che il governo avrebbe dovuto distruggere.

Dalle foto che circolano sui vari organi di stampa si vedono bambini terrorizzati e ammassati gli uni sugli altri con il volto coperto dalle maschere di ossigeno e un padre che tiene in braccio il corpo rigido di sua figlia. I bambini, infatti, sono le tra le migliaia di vittime del conflitto siriano. Le Nazioni Unite hanno smesso di contarli nel 2013, quando hanno stimato la morte di 11mila bambini in soli due anni di conflitto. Riportando sempre il commento del portavoce Unicef, “non ci sono figli di Assad e dei ribelli, sono tutti vittime di una guerra che non hanno voluto”.

La comunità internazionale si è subito mobilitata ed è stata chiesta una riunione urgente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per individuare i responsabili di questo che possiamo definire un crimine contro l’umanità. Da ormai sei anni, ad ogni attacco, arrivano messaggi di sdegno nei confronti degli orrori perpetrati in Siria dal regime, ma si risolve sempre con un nulla di fatto. Intanto bambini innocenti continuano a morire..

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ALEPPO MUORE http://www.360giornaleluiss.it/aleppo-muore/ Wed, 14 Dec 2016 09:10:05 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=7797 Pensavamo di essere abituati, ormai, agli orrori della guerra ma le foto, che in queste ore arrivano dalla città di Aleppo, fanno venire le lacrime agli occhi. La cosiddetta “capitale del Nord” è stata assediata dalle forze governative e bombardata dall’aviazione russa. Il presidente Bashar al-Assad ha preso il controllo della zona est di Aleppo,

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Pensavamo di essere abituati, ormai, agli orrori della guerra ma le foto, che in queste ore arrivano dalla città di Aleppo, fanno venire le lacrime agli occhi. La cosiddetta “capitale del Nord” è stata assediata dalle forze governative e bombardata dall’aviazione russa. Il presidente Bashar al-Assad ha preso il controllo della zona est di Aleppo, ultimo baluardo dell’Opposizione.

Sui social media la popolazione civile ha lanciato richieste di aiuto e non solo. Numerosi sono stati gli ultimi saluti ai familiari, gli addii e i pensieri postati sul web dalla gente comune che, indifesa e disorientata, era pronta a morire. «Addio, addio. Qui abbiamo finito di vivere. Queste sono le mie ultime parole» recita uno dei tanti tweet.  Incalcolabile è il numero di vittime. Gli uomini, “arruolati” dalle forze presidenziali, continuano a scomparire e donne e bambini rimangono soli dinanzi all’orrore che sta per travolgerli. Amnesty International ha parlato esplicitamente di crimini di guerra compiuti dal dittatore siriano contro la popolazione. Ban Ki-moon stesso ha ribadito che numerose vite umane sono state oggetto di atrocità incommensurabile.

L’ambasciatore russo alle Nazioni Unite, Vitaly Churkin, ha oggi annunciato la fine delle operazioni antiterrorismo in quanto Aleppo è stata liberata. Parole quasi provocatorie che hanno visibilmente turbato Samantha Power, ambasciatrice USA all’ONU. Quest’ultima, durante una seduta del consiglio di sicurezza, ha infatti chiesto alle delegazioni russe,cinesi e irachene: “Are you truly incapable of shame?” ( non provate alcuna vergogna?).

Ma noi, di fronte a tutto ciò, proviamo vergogna?

Io, personalmente, si. Troppo spesso ci dimentichiamo di ciò che il popolo siriano sta vivendo. Troppo spesso, quando arriva un barcone carico di migranti, pensiamo solo ad organizzare loro un viaggio di ritorno verso l’inferno che speravano di abbandonare. Troppo spesso ignoriamo stragi come quella di Aleppo perché troppo occupati a cambiare la nostra foto profilo con la bandiera dell’ultimo Paese colpito dal terrorismo.

Aleppo muore e noi rimaniamo indifferenti.

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Putin annuncia il ritiro delle truppe dalla Siria http://www.360giornaleluiss.it/putin-annuncia-ritiro-delle-truppe-dalla-siria/ Thu, 17 Mar 2016 19:41:50 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=6108 “Con gli obiettivi ormai quasi raggiunti, ho ordinato al Ministro della Difesa di avviare il ritiro delle nostre forze in Siria, già a partire da domani”. Con queste parole il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato, durante un discorso televisivo alla nazione, l’ormai prossima conclusione della missione in Siria. Impegnate dall’Ottobre del 2015 a supportare

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“Con gli obiettivi ormai quasi raggiunti, ho ordinato al Ministro della Difesa di avviare il ritiro delle nostre forze in Siria, già a partire da domani”. Con queste parole il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato, durante un discorso televisivo alla nazione, l’ormai prossima conclusione della missione in Siria.

Impegnate dall’Ottobre del 2015 a supportare le forze siriane fedeli al presidente Bashar al Assad , le truppe russe inizieranno da oggi un parziale ritiro dalla regione dopo quasi sei mesi durante i quali hanno contribuito a ridare forza alle truppe governative messe alle strette dalle varie fazioni ribelli e terroristiche in questo momento impegnate nel conflitto siriano.

Dal 30 Settembre 2015, data del primo attacco aereo, le forze russe hanno impiegato nella loro campagna aerea circa un centinaio di velivoli delle varie specialità, supportati da circa 4mila uomini e diverse unità navali facenti parte della neonata squadra del Mediterraneo e un complesso apparato di difesa aerea e navale schierato a protezione delle basi operative.

La campagna aerea ha contribuito a dare slancio all’offensiva delle truppe governative la quali hanno recuperato gran parte del terreno perduto dall’inizio del conflitto ponendo sotto assedio numerosi piazzeforti ribelli fino all’entrata in vigore del “cessate il fuoco” mediato durante i colloqui di Ginevra. Il tributo fin qui versato dalle truppe russe conta la morte di 5 membri della missione e la perdita di un elicottero e di un caccia-bombardiere Sukhoi-24, quest’ultimo abbattuto, in seguito ad una violazione dello spazio aereo turco, dall’aviazione di Ankara.

Lo stesso presidente russo Vladimir Putin ha affermato che, sebbene la missione sia conclusa, le truppe russe manterranno una certa presenza nella regione al fine di vigilare sul rispetto della tregua operando con missioni aeree di “routine”. Il Cremlino ha specificato che la Russia continuerà a mantenere operative la base aerea di Hemeimeem, nella provincia di Latakia, e quella navale nel porto di Tartous. Non si tratterà quindi di un ritiro completo ma di una significativa riduzione della presenza russa nell’area con l’intento di favorire i colloqui in corso a Ginevra sperando che questi portino ad effetti concreti nel minor tempo possibile.

“Per quanto ne so l’unico piano B è la guerra ad oltranza” questo il commento dell’inviato speciale dell’ONU, Staffan de Mistura “È necessario un cambiamento politico e nuove elezioni. Il vero problema è la diversa interpretazione della transazione politica”

Informato telefonicamente dallo stesso premier russo, il presidente Bashar al Assad, si è detto pronto a ricercare una soluzione politica del conflitto annunciando che le elezioni parlamentari si terranno, come previsto dal calendario, il mese prossimo all’interno delle aree attualmente sotto il controllo governativo escludendo ancora una volta sia le ambasciate che i campi profughi. Le richieste delle fazioni di opposizione più moderate sono incentrate sulla necessità di una transazione politica tramite elezioni presidenziali da tenersi entro 18 mesi. A questa richiesta le parti fedeli ad Assad hanno replicato dichiarando di non poter “immaginare un futuro senza il Presidente”.

Mediare tra le due parti non sarà facile ma i primi segnali da Ginevra sono risultati positivi e costruttivi. Fino ad ora le due parti non hanno ancora avuto un incontro diretto ma i mediatori dell’Onu si sono detti ottimisti riguardo alla possibilità di trovare una soluzione politica di compromesso.

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L’ISIS in pillole http://www.360giornaleluiss.it/lisis-in-pillole/ Sat, 03 Oct 2015 09:00:02 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=4439 Il nome: un po’ di chiarezza. Il 29 giugno 2014 l’ISIL (stato islamico dell’Iraq e del Levante) – meglio noto come ISIS (stato islamico di Iraq e Siria)- si affaccia sulla scena internazionale, autocostituendosi in califfato con a capo Abu Bakr Al-Baghdadi. Nei documenti ufficiali però non compaiono le parole ‘Iraq’ e ‘Levante’, questo perché

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Il nome: un po’ di chiarezza.

Il 29 giugno 2014 l’ISIL (stato islamico dell’Iraq e del Levante) – meglio noto come ISIS (stato islamico di Iraq e Siria)- si affaccia sulla scena internazionale, autocostituendosi in califfato con a capo Abu Bakr Al-Baghdadi. Nei documenti ufficiali però non compaiono le parole ‘Iraq’ e ‘Levante’, questo perché l’obiettivo del neonato IS è quello di ridefinire i confini del Medio Oriente. Inoltre, l’uso del termine “califfato” rievoca l’istituzione nata per sostituire Maometto e mantenere una coesione sociale e religiosa della comunità islamica. Dal fronte internazionale arriva presto un nuovo nome da usare principalmente nelle relazioni diplomatiche: DAESH Il termine è l’adattamento dell’acronimo arabo di ISIS.

Tutto ciò potrebbe sembrare un’inutile e poco appassionante disquisizione sul nome, ma tra IS e DAESH la differenza è sostanziale.  Almeno secondo il ministro degli esteri francese, che ha deciso di non definire più i miliziani jihadisti uno “stato” perchè farlo potrebbe corrispondere ad una legittimazione.

ISIS, ISIL, IS, DAESH, persino EIIL, sono perciò solo alcuni dei nomi che vengono usati per definire il califfato. Tuttavia, il tentativo dei governi di delegittimare l’avanzata dei miliziani sunniti togliendo loro la definizione di “Stato” non convince in molti. Lo stesso presidente Obama ha dichiarato: “Questo gruppo si fa chiamare “Stato Islamico”, ma mettiamo in chiaro due cose: l’ISIL non è islamico. Nessuna religione difende l’assassinio di innocenti e la maggior parte delle vittime dell’ISIL sono musulmane. L’ISIL certamente non è uno Stato. È prima il ramo di Al Qaeda in Iraq”.

 

Il Califfo: Abu Bakr Al-Baghdadi

Tra il 96 e il 2000 Abu Bakr Al-Baghdadi vive in Afghanistan con Abu Musab al-Zarqawi. Entrambi collaborano con i jihadisti e con i talebani a Kabul.

Nel 2005 viene recluso a Camp Bucca, un carcere gestito dall’esercito USA, dove entra in contatto con un gruppo di jihadisti di al-Qaeda, con il quale getta le basi della sua ascesa nell’IS. Nel 2009, quando la prigione chiude, al-Baghdadi viene rilasciato.

Dopo la morte di Abu Omar al-Baghdadi, diviene il leader del gruppo terrorista ISI (Stato Islamico dell’Iraq), braccio di al-Qaeda. Il movimento, nato nel 2000, con il nome di “Organizzazione del monoteismo e del Jihad”, era stato fondato proprio da al-Zarqawi. Da questo gruppo di militanti nascerà poi l’ISIS che, nel giugno 2014 inizia l’avanzata verso Baghdad.

Il 29 giugno viene annunciata la ricostituzione del califfato, che si estende da Damasco (Siria) a Diyala (Iraq). Al-Baghdadi, autoprocalmandosi “califfo di tutti i musulmani”, brandisce ufficialmente entrambe le spade di Gelasio, quella temporale e quella spirituale, decretando il suo potere religioso oltre che politico e mettendo da parte gli imam e i predicatori radicali, che si sono rifiutati di riconoscere la sua autorità.

 

Finanziamenti: non solo petrolio

Per parlare delle casse dello Stato Islamico, bisogna innanzitutto distinguere tra fonti di finanziamento dirette e indirette.

Tra le fonti dirette, sicuramente l’estrazione di petrolio costituisce la più grande risorsa del califfato. Il gruppo ricava circa 44mila barili al giorno dai pozzi siriani e 4mila da quelli iracheni. Il regime di Assad, alla costante ricerca di petrolio, i turchi e curdi iracheni – sebbene siano tutti nemici dell’Isis – sono tra i suoi principali clienti. Oltre al greggio vi sono i fondi delle banche dei territori conquistati, la tassazione sulle attività commerciali e il pedaggio richiesto sulle principali strade. Certo, l’imposizione di tasse costituisce un passo importante verso la legittimazione del califfato.

Per quanto riguarda le fonti indirette, invece l’IS ha un sistema di auto-finanziamento basato anche sul contrabbando di ostaggi, sebbene sia plausibile che alcuni dei primi finanziamenti siano giunti da varie ONG dei paesi della penisola araba. Sul banco degli imputati vi sono l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, il Kuwait ed il Qatar. Inoltre, parte dei proventi deriverebbero dal commercio di reperti archeleologici, dal traffico di esseri umani e da saccheggi ed estorsioni. Anche se fare i conti del califfo non è certo facile, si stima una disponibilità di circa 2 miliardi di dollari, che lo renderebbe certamente gruppo terroristico operante nel mondo islamico più pericoloso di sempre.

 

Strategia Mediatica: terrorismo digitale

Sin dalla nascita, avvenuta con un comunicato web, il califfato ha dimostrato di essere in grado di gestire la comunicazione in maniera impeccabile. La sua social media strategy, attribuibile ad Ahmad Abousamra, si fonda su due punti: la minaccia e il reclutamento.

L’attuazione del primo punto -la c.d. strategia del terrore- è molto semplice: si basa su videomessaggi intimidatori come il famoso “message to America”, primo di una lunga serie di cruente decapitazioni. Per realizzare il secondo punto, invece, i jihadisti puntano all’emulazione di foreign fighter già arruolati. Il target in questo caso sono giovani occidentali perciò, il mezzo di comunicazione preferito per attivare in loro questo sentimento di emulazione, di desiderio di sfida e per realizzare questa imponente call to action, è Facebook, che però sta attuando una forte censura.

Per assicurare la più ampia diffusione possibile dei messaggi esiste un’imponente e sofisticata rete di account collegati tra loro che amplificano ogni post, tweet o video proveniente dai membri più influenti dell’organizzazione. Esisteva anche un’app, disponibile fino allo scorso anno sul playstore, chiamata “The Dawn of Glad Tidings” (L’alba delle buone notizie) che permetteva ai gestori degli account ufficiali dell’ ISIS di utilizzare gli account dei seguaci per poter mandare i loro messaggi unificati.

Un tempo si giravano video in analogico con sfondi di fortuna, oggi i terroristi dispongono dei più avanzati strumenti di video e photo editing per la realizzazione dei messaggi propagandistici, insieme alle competenze di occidentali arruolati o di persone formatesi in occidente.

 

Obiettivo: Lo Stato Islamico

Dal momento che l’ISIL non riconosce la comunità internazionale, si può certamente affermare che il suo obiettivo non è quello di costruire uno Stato al fine di ottenere un riconoscimento da essa. L’IS però impara dagli errori di Al-Qaeda e non agisce come un parassita ospite di un altro stato, si ricostituisce con un proprio corpo, sviluppandosi sulle carcasse di Iraq e Siria. L’organizzazione vuole imporsi come erede di Al Qaeda, troppo debole dopo l’eliminazione di Osama bin Laden. Lo Stato islamico vuole raccogliere l’eredità del gruppo terrorista.

L’11 settembre 2001 Osama bin Laden ha umiliato gli Stati Uniti e l’occidente dimostrando che la “vera fede” poteva colpirli. Lo sceicco voleva sfidare l’America, e allo stesso tempo formare un esercito di volontari attirando a sé migliaia di giovani musulmani alla ricerca di una vendetta per i secoli di dominio occidentale sull’islam.

Gli stessi obiettivi guidano lo Stato islamico, una creazione della negligenza del regime siriano. Bashar al Assad sperava infatti di proporsi come unica alternativa all’estremismo islamico rivolgendo i suoi sforzi repressivi contro i democratici e lasciando che lo Stato Islamico crescesse senza mai contrastarlo. Alla fine, però, l’organizzazione è sfuggita del tutto al suo controllo, penetrando in Iraq con l’ambizione di creare un nuovo stato sunnita libero dal controllo delle autorità sciite di Damasco e Baghdad.

Tuttavia, la cosa che desta maggiore preoccupazione è la capacità dei miliziani di Al-Baghdadi di manipolare e controllare un’intera generazione di giovani musulmani iracheni – e non solo, come dimostra il crescente numero di foreign figthers – per aumentare il proprio consenso. Il denaro costuisce sicuramente il principale fattore trainante, basti pensare che i combattenti di al-Baghdadi sono i più pagati, ma come in un circolo vizioso, il crescente consenso contribuisce a rafforzare la sua capacità di resistenza e di reclutamento sul territorio.

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Caccia russi in Siria: lotta al terrorismo o Guerra fredda? http://www.360giornaleluiss.it/caccia-russi-siria-lotta-al-terrorismo-guerra-fredda/ Sun, 27 Sep 2015 10:25:26 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=4376 “28 caccia oltre ad una certa quantità di droni dell’esercito russo sono arrivati in Siria per offrire sostegno all’esercito di Assad contro i ribelli e i jihadhisti”. Solo qualche giorno fa la CNN comunicava alla popolazione statunitense questa notizia. A diffondere l’annuncio, in realtà, secondo delle indiscrezioni, sarebbero stati due importanti funzionari del governo USA,

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“28 caccia oltre ad una certa quantità di droni dell’esercito russo sono arrivati in Siria per offrire sostegno all’esercito di Assad contro i ribelli e i jihadhisti”. Solo qualche giorno fa la CNN comunicava alla popolazione statunitense questa notizia. A diffondere l’annuncio, in realtà, secondo delle indiscrezioni, sarebbero stati due importanti funzionari del governo USA, coperti dall’anonimato.

Secondo delle indagini svolte dal Pentagono,inoltre, l’esercito russo avrebbe inviato anche una dozzina di autobus pieni di soldati e una decina per trasportare in Siria dei tecnici di strategie belliche. Tale notizia ha destato ,ovviamente, una forte preoccupazione alla Casa Bianca, tanto che il segretario di stato USA, John Kerry, ha dapprima  replicato che l’unica soluzione possibile alla guerra civile siriana è da un lato la deposizione di Assad e dall’altro il respingimento delle milizie jadhiste; subito dopo , poi, ha telefonato al suo collega russo, Serghiei Lavrov, per chiedere rassicurazioni in merito alla natura di tale operazione militare e,dunque, al suo fine.

Sembra,quindi, che quest’ultimo abbia addotto come unica motivazione dell’intervento russo a sostegno di Assad la necessità di respingere unitariamente le truppe dell’Isis. Ma questa motivazione non avrà di certo convinto l’amministrazione USA, che intuisce come le reali motivazioni siano ben altre. Peraltro il governo statunitense non è statol’unico al quale la Russia ha dovuto dare delle spiegazioni in merito all’operazione militare a sostegno di Assad: ad essere rimasto molto preoccupato dall’intervento russo,infatti, è stato anche il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu.

Quest’ultimo ,appena appresa la notizia, ha richiesto un vertice urgente con il Presidente russo Vladimir Putin, timoroso del fatto che i caccia russi potessero,anche per sbaglio, scontrarsi con quelli israeliani, già attivi al confine con la Siria. Israele ,infatti, da sempre rivale del regime siriano nel controllo del Medioriente, temeva che la sua sicurezza potesse essere messa a repentaglio da un rafforzamento delle truppe siriane, grazie all’intervento russo.

Tuttavia il Presidente russo, pare abbia offerto a Netanyahu non solo ampie rassicurazioni sulla natura strettamente anti-terroristica del suo intervento, ma che abbia anche stabilito con quest’ultimo una sorta di collaborazione militare nella lotta al terrorismo islamico. Putin,infatti, non avrebbe alcun interesse a farsi un nemico militarmente ben equipaggiato come Israele nel Medioriente , perché costituirebbe solo un inutile ostacolo alle sue mire espansionistiche in quella zona. Dietro l’operazione militare russa non c’è solo,infatti, la volontà di fermare l’avanzata dei terroristi in Siria, ma anche quella di evitare che il regime di Assad cada.

La Siria, per l’appunto, costituisce un importantissimo sbocco sul Mediterraneo per la Russia strategicamente utile sia per costruire rotte commerciali nel “Mare Nostrum” , sia un avamposto militarmente importante per una futura estensione della sua influenza in Medioriente. Ora, Putin ,non essendo per il momento capace di costruire un’alternativa ad Assad, considera il regime dittatoriale di quest’ultimo come l’ultimo baluardo contro una definitiva presa di potere da parte dello Stato Islamico nel Paese.

Inoltre mantenere il dittatore al potere garantisce un duplice vantaggio per la Russia. In primo luogo, Assad da anni accetta ben volentieri la protezione di un potente alleato come il Cremlino a livello internazionale, permettendogli in cambio di controllare una buona parte dell’economia del paese. In secondo luogo, ciò garantisce di non lasciare il controllo del paese in mano agli Stati Uniti, che da tempo finanziano gli oppositori del regime sperando che esso cada.

La strategia della Casa Bianca consiste, inoltre, nel cercare di ricostruire la stabilità della Siria affidandone il controllo a una classe dirigente filo-statunitense.Infatti l’unico alleato sicuro sul quale gli USA possono fare affidamento, perchè legati da interessi soprattutto economici , nel medioriente è Israele. La Siria ,dunque, sembra essere al centro delle mire espansionistiche statunitensi per due motivi. In prima analisi, perchè potrebbe divenire un alleato strategicamente importante e un partner economico di grande valore , date le ingenti risorse petrolifere che ne caratterizzano il territorio. Secondariamente poi, perchè il controllo della Siria al momento è nelle mani della Russia, che lo perpetra attraverso Assad.

Un altro potenziale alleato degli USA sarebbe potuto diventare anche perfino l’Iran; ma nonostante l’accordo sul nucleare recentemente sottoscritto, con la Repubblica Islamica, quest’ultima non sembra molto propensa ad intessere rapporti con gli Stati Uniti. Al contrario, dunque, l’Iran , fin dagli anni ’80 alleato della Russia, è stato uno di quei paesi che ha “aperto i propri cieli agli aerei da guerra del Cremlino”: per arrivare in Siria,infatti, i caccia russi dovevano sorvolare per forza altri stati o, o del Medioriente o dei Balcani. Essendosi visto negato il permesso di sorvolare sia la Grecia che la Bulgaria, la Russia ha optato per la prima opzione: così, dopo aver attraversato in volo la Cina, l’Iran e l’Iraq, i ventotto caccia russi sono arrivati nella parte della Siria ancora controllata da Assad.

Dunque gli Stati Uniti non si faranno di certo sfuggire così facilmente la possibilità di sottrarre uno stato satellite in Medioriente alla Russia e , al tempo stesso di crearsi un avamposto strategico nella zona. Insomma, “Questa è un’escalation del ruolo della Russia in Siria. La speranza è che tanto Mosca, quanto Washington, siano abbastanza prudenti nelle loro mosse per evitare scontri, perché l’unica soluzione a questa crisi resta politica e diplomatica” ha affermato in un’intervista del 10 settembre alla Stampa Jack Devine, grande esperto della Guerra Fredda, inviato speciale della CIA prima in Italia, poi anche in Cile e, Colombia, il quale sostiene che lo scenario che si sta ripresentando in Siria è quello tipico da Guerra Fredda, in cui cioè i due giganti non arrivano allo scontro diretto , ma si fronteggiano utilizzando gli alleati che hanno sul luogo.

Ma , dunque, o che si parli di Ucraina o di Siria (perchè lo scenario si ripete) ,  finché guerre civili che mietono decine di migliaia di vittime e che costringono alla fuga altrettante migliaia di persone, saranno gestite secondo logiche coloniali ,sarà mai possibile arrivare ad una loro risoluzione e magari evitare che ne scoppino di nuove?

 

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The role of photojournalism today: the Syrian War case. http://www.360giornaleluiss.it/role-photojournalism-today-syrian-war-case/ Thu, 23 Apr 2015 20:50:59 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=3388 n the last publishing of Internazionale (an Italian periodical dealing with international news), the director Giovanni De Mauro issued alarming statements concerning us, the so called public opinion: “There is tiresome for conflicts and emergencies that happen one after another and return cyclically to require public opinion’s attention”, “Readers don’t care anymore”. This concern was

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In the last publishing of Internazionale (an Italian periodical dealing with international news), the director Giovanni De Mauro issued alarming statements concerning us, the so called public opinion: “There is tiresome for conflicts and emergencies that happen one after another and return cyclically to require public opinion’s attention”, “Readers don’t care anymore”.

This concern was mainly linked to the publication of an article entitled “You probably won’t read this piece about Syria” by Barry Malone, an Al Jazeera journalist. In this last piece, Barry Malone launched an attack on our “apatia” and “inertia” in being informed about Syria civil war. In fact, he published the piece exactly two days after the very low readers’ view of Al Jazeera’s reminder of the 5th anniversary of the Syrian conflict (15th March), which contained interviews, in-depth analysis and breaking news. This stagnation of traffic was only one of the many registered disappointingly since 2012 and resists until today when it has become a matter of more than 220.000 people killed, more than half of the Syrian population displaced, whose 2 million are children. “I have never heard so many journalists saying that the job is grinding them down nor so many people who watch the news say that they cannot stand to do so anymore. Bearing witness is gruelling” says Malone, leading his worries to a world-wide context. According to De Mauro and Malone, both journalists’ performance and our humanity should be questioned as “The multiplication of crisis requires an informed and aware public opinion” (De Mauro). How it is then possible to fight this overwhelming and widespread indifference?

Let’s pick up a noteworthy fact ,staying in the Syrian war’s topic. At the end of March, Nadia Abu Shaban, a photojournalist based in Gaza, tweeted a photo of a scared Syrian child. The image spread across the social network at lightning speed being retweeted more than 11.000 times and receiving more than 5000 up-votes and 1600 comments on Reddit, a photosharing website. People strove hard to know the story behind the picture when it was found that it had been taken by Osman Sagili, a Turkish photojournalist, at the Atmeh refugee camp (Northern Syria) on December, last year. “I was using a telephoto lens, and she thought it was a a weapon (…). Normally kids run away, hide their faces or smile when they see a camera” said Sagili in an interview with the BBC, revealing later that the child in the picture was Hudea, a four years little girl who travelled to the camp with her mother and two siblings, 150 km away from her house in Hama. Little by little, people’s comments became more harsh and stinging proclaiming a “failure of humanity”.

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What happened then to the public opinion’s “apatia”? The subject was the same (the Syrian civil war), while people’s reaction strikingly different. The point seems underlying in the fact that one of the 2 million children displaced in refugee camp had taken the form of a child, a human being in his most innocent and pure stage, who had anchored us in the silence of his needy and fearful gaze. Empathy had immediately overwhelmed us. We had felt compelled to catch that eye and, at the same time, pushed to know more…

What if the key of our “activism” relies in the role of photojournalists, the ones that today are more in danger and disregarded by the main media? Susie Linfield, director of the photography criticism program at New York University, says that “photojournalists make us touch the suffering in a so literal and unchallengeable way, which neither the literature nor painting can aim for (…) and that “photojournalists bind us to imagine a better world” .If she is right, we should maybe reconsider the option of investing more in these courageous individuals that give us the outstanding opportunity of being eyewitnesses in world-wide conflicts.

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Dalla Siria di Assad al califfato iraqueno http://www.360giornaleluiss.it/dalla-siria-assad-califfato-iraqueno/ Wed, 05 Nov 2014 18:38:19 +0000 http://www.360giornaleluiss.it/?p=771 La Siria del regime di Asad è forse la vera grande dimenticata del nostro secolo. O almeno lo era. Le disperate grida di rivolta del suo popolo sono giunte troppo tardi alle orecchie di una sorda comunità internazionale perché questa timida e pacifica primavera araba sfociasse in una reale riappropriazione dei diritti fondamentali dell’essere umano

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La Siria del regime di Asad è forse la vera grande dimenticata del nostro secolo. O almeno lo era. Le disperate grida di rivolta del suo popolo sono giunte troppo tardi alle orecchie di una sorda comunità internazionale perché questa timida e pacifica primavera araba sfociasse in una reale riappropriazione dei diritti fondamentali dell’essere umano che la aveva originariamente mossa. La rivolta siriana, iniziata nel 2011 con metodi assolutamente pacifici, finisce difatti per assomigliare, grazie anche alla stampa internazionale, al grido inaspettato di un amante dimenticata che, isolata nella guerra civile scatenata dalle frange più estremiste, viene brutalmente repressa dal suo principale nemico Assad, un uomo salito al potere quasi per caso, ma che per il potere è in grado uccidere con chirurgica precisione.

Ad oggi, con le militanze Isis alle porte della città curda Kobane nel nord della Siria, sorge da più parti il dubbio di potenze politiche ed internazionali da tempo presenti e ben radicate sullo scacchiere geopolitico mediorientale, la cui identità è facilmente intuibile: Russia da una parte e Stati Uniti dall’altra. Sono loro, i titani della guerra fredda, ad alimentare questa esplosiva e terroristica avanzata islamica che lentamente circonda la Siria di Assad? Cosa c’è davvero dietro l’emergente questione siriana? Ne parlo con Antonella Fucecchi, docente di studi classici nei Licei della capitale, letterata ed attiva esperta di intercultura, collaboratrice di rinomate riviste specialistiche e autrice di svariati saggi e da sempre particolarmente sensibile alle tematiche della questione mediorientale. Non per ultimo, sposata con un siriano, Mazen Rankoussi. Insieme sono proprietari di un negozio di perle nel centro di Roma, è lì che chiedo alla professoressa Fucecchi di incontrarci per intervistarla.

Partiamo da una domanda generica: chi è Bashar Al Asad e come e perché ha instaurato un regime?

Bashar Al Asad è un alawita, parte di una minoranza religiosa della fazione sciita, originaria delle regioni montuose siriane. Con il tempo questa setta ha manifestato la capacità di estrinsecarsi mediante una struttura clanica, impossessandosi progressivamente dei principali ruoli chiave e di governo in Siria, stato in larga parte di fede sunnita. Appartenendo ad una minoranza religiosa Asad ha sempre favorito la tutela delle minoranze, anche diverse dalla propria. Questo almeno apparentemente, garantendo l’eterogeneità culturale che da sempre caratterizza il popolo siriano. L’instaurazione del regime affonda le sue radici nella forte esigenza di legittimazione al suo potere: il ruolo presidenziale spettava originariamente al fratello, mentre Asad era stato destinato alla medicina. Sulla morte del fratello, misteriosamente avvenuta poco prima della sua instaurazione, fioccano le tesi di omicidio commissionato e complotti vari.

Ad ogni modo già prima della pacifica rivolta siriana del 2011, che si inserisce sulla scia delle primavere arabe, i diritti fondamentali erano stati in Siria fortemente negati: dalla tortura nelle carceri, agli arbitrari fermi di polizia accompagnati da pene corporali, fino alla politica estera di strumentalizzazione del conflitto israelo-palestinese. Nei confronti di quest’ultimo limitrofo conflitto Asad ha sempre mantenuto posizioni ambigue ed altalenanti, apparentemente preordinate a fomentare l’odio e l’intolleranza nel suo popolo verso Israele, come a forzarne una radice identitaria nell’odio verso il nemico comune. Non ultima la figura della consorte di Asad, descritta dalla stampa internazionale come una donna bellissima coronante l’idillio della felice coppia presidenziale. Tutto parlava sin dall’inizio insomma di ansia da legittimazione… fino a spingersi alla negazione dei più fondamentali diritti umani.

Come ha reagito la comunità internazionale di fronte a queste prime avvisaglie?

L’Onu non interviene grazie al veto incrociato di Cina e Russia. Non è peraltro un mistero che la Russia veda nella posizione geopolitica della Siria un possibile sbocco sul Mediterraneo… Da parte sua Assad ha autorizzato i raid americani in Siria almeno al confine dove ormai l’Isis si affacciava come nemico comune.

La rivolta siriana parte come pacifica di fronte a queste violazioni dei diritti umani per poi sfociare in guerra civile: esiste una spiegazione per questo cambio di rotta che prevede l’utilizzo delle armi?La rivolta siriana al regime di Asad parte grazie a movimenti pacifici e per lo più omogenei nei metodi di sensibilizzazione. Improvvisamente, anche a fronte della impietosa repressione subito operata dal regime, frange più estremiste dell’originario focolaio si distaccano e rispondono con una resistenza armata…

Qual’è l’atteggiamento di Asad di fronte a questa strumentalizzazione di interesse riguardo alla primavera araba del suo popolo?

Asad continua ad autorizzare in Siria interventi internazionali statunitensi al suo confine, ma allo stesso tempo continua a perpetrare al suo interno una impietosa repressione. Il numero dei morti è al di la dell’umana immaginazione…non so se nessuno riuscirà mai a documentare la radicale distruzione di questo popolo, della sua storia, della ricchezza dei suoi centri divelta dalla violenza della repressione…Per dirne una in Siria vi è una città intera in cui si parla ancora l’aramaico. È un paese ricco di cultura e di etnie. E ad oggi la stima più recente è di circa quattro milioni di profughi…

La professoressa prosegue parlandomi della crocifissione di uomini e bambini, di torture inumane tutt’oggi perpetrate a danno di intere famiglie siriane. Subito mi viene da pensare… dove fuggono?

Erdogan, il capo di stato turco ha recentemente aperto le frontiere del nord ai siriani…

La posizione di Erdogan ha dell’ambiguo anche rispetto alle posizioni in seno alla Nato…

Anche a questa domanda ricevo una risposta vaga ma mi sembra quantomeno doveroso stimolare una riflessione nei lettori circa la penetrazione islamica nello stato Turco, in primis nel sociale, e della quale l’avanzata Isis potrebbe ragionevolmente avvantaggiarsi. È bene precisare che a tutt’oggi Erdogan non ha preso una chiara posizione di contenimento dell’avanzata militare del califfato islamico, pur stimolato in tal senso ed in seno alla NATO, anche dal presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Ma la Turchia forse pesa più in sede NATO di quanto la NATO stessa non pesi sulla Turchia.

Isis ed islamismo: quali sono le conseguenze dell’operato del califfato sulla religione islamica nel mondo? 

L’Isis è un eterogeneo agglomerato che nasce da fazioni integraliste ed estremiste a loro volta distaccatesi da movimenti islamici di stampo terroristico più ampio. Mio marito mi spiegava che tra di loro ci sono anche parecchi taglia-gole siriani… L’Isis sta chiaramente mettendo in crisi modelli europei interculturali di convivenza, danneggiando gravemente l’immagine dell’islamismo nel mondo. Questo nefasto ritorno ad archetipi di integralismo religioso ed intolleranza, è condannato in primis dagli stessi islamici occidentali che pure hanno vissuto esperienze di integrazione positive. Per intenderci, il rischio è che alle masse venga consegnata la pericolosa equazione “islamismo uguale Isis”. Al proposito sono significative le riflessioni di un antropologo americano di origine indiana Arjun Appadurai. In un suo saggio intitolato “modernità in polvere”, propone vari piani di lettura sul mondo e tra questi la realtà di internet e dei network che, pur eguagliando culture tra loro molto diverse che vengono messe nelle condizioni di poter comunicare tra loro grazie al web, soffre di un latente e mal soppresso desiderio di recupero identitario da parte dell’individuo che vive nella confusione dello scambio culturale globale.

Lei ha parlato di globalità anche nella cultura; come si spiega questa sensibilità alla causa Isis di ragazze e ragazzi europei partiti alla volta dell’Iraq per unirsi all’esercito del califfato? E allo stesso modo quella delle masse arabe che ormai soffrono inevitabilmente l’incontro-scontro con la modernità? La prima forza dell’Isis che recupera archetipi nefasti dell’islamismo antico, è l’ignoranza delle masse arabe. Nella stessa Siria è sicuramente ravvisabile una repressione della coscienza critica mediante l’indottrinamento di massa operato dal regime di Assad. Quanto ai giovani che partono alla volta dell’avanzata militare Isis come combattenti…immagino che dietro ci sia la promessa di un guadagno, forse. Ma non è chiaro quanto gli stati di provenienza centrino con questo…

Tra primavere arabe, guerra civile siriana e avanzata isis, il mondo arabo sembra sull’orlo dell’implosione…

Il vero problema dei Paesi Arabi è che manca loro…come dire, un esercizio di democrazia. Ma la democrazia non è qualcosa che si impara, quasi potesse essere trapiantata dal mondo occidentale nei paesi arabi. Essa è in realtà un fenomeno endogeno lento che si alimenta di passi successivi e progressivi. Nei Paesi arabi stiamo assistendo ad una lenta emancipazione e forse queste ventate di integralismo possono ben inquadrarsi nell’ultimo baluardo di un mondo che sta scomparendo, gli ultimi colpi di coda di una civiltà antidemocratica ormai agonizzante, il rifiato velenoso di un fondamentalismo ormai morente. Sul perché di tutto questo, volendo cercare una ragione storica e antropologica, mi vengono in mente le parole di un sociologo e antropologo algerino, Fouad Allam, secondo il quale gli Arabi non avrebbero mai metabolizzato la cacciata da Granada. In un suo libro racconta come molte donne, madri di famiglia marocchine, tenessero ancora conservate nelle loro case le chiavi dell’abitazione famigliare a Granada.

Il mondo arabo è un mondo complesso, contraddittorio e quasi incomprensibile?

Quasi. Basterebbe conoscere un po d’arabo per accedere a fonti online che raccontano di realtà spesso inascoltate o comunque inespresse persino dalla stampa internazionale più accreditata. Si vedrebbe una Siria dimenticata ed abbandonata ai bombardamenti di Assad che proseguono danneggiando impietosamente la popolazione. Si scoprirebbe in generale una marea di notizie, come ad esempio il ritardo, di almeno qualche anno, con cui nel mondo ci hanno parlato della ripresa dei bombardamenti a Gaza. Quando ce ne parlarono diffusero fotografie di massacri e distruzione…in realtà quelle foto documentavano il conflitto siriano.

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